Omelie di don Marco
Archivio anno 2024
XXXII Domenica del T.O. - 10 novembre 2024
Spiccioli di vita
A due passi dalla passione, croce e morte di Gesù, prima di toccare con mano e di adorare un Dio morto per amarci, ecco che Marco ci offre questo delizioso quadretto: nel tempio, un rito consolidato dalla tradizione, un gesto antico fatto da secoli; ma l’evangelista non guarda ciò che vedono tutti ma ci fa osservare la scena con gli occhi di Gesù.
Curioso che nel vangelo vengano messi in primo piano i personaggi più insoliti, più secondari, le comparse! Gesù li prende e li pone al centro, ce li indica come maestri, come modelli. Come se ci dicesse: ‘Non fidarti delle apparenze, non guardare il quanto, non badare a ciò che uno fa o dice, guarda il cuore, guarda la sua vita, cerca di vedere le persone e le situazioni nascoste, non quelle più appariscenti o evidenti, indossa gli occhiali di Dio, guarda tutto e tutti secondo la lente del Vangelo, non andare dietro la massa, del così fan tutti; Dio non fa come tutti’.
La scena ci presenta 2 personaggi, 2 tipi, 2 vite diverse, meglio opposte; gli scribi descritti da Gesù li vediamo ripiegati su se stessi, in mostra, si pavoneggiano come tanti divi e vip che noi ammiriamo. Ci fanno invidia, ammettiamolo sui tappeti rossi, mentre ricevono onorificenze, sotto i flash dei fotografi, con ville, auto di lusso, yacht e milioni in banca. In fondo anche a noi piace un po’ di successo, di protagonismo, ci piace che gli altri ci ubbidiscano a ogni schiocco di dita, ci piacciono anche le persone autoritarie, che dettano legge, che mettono tutto e tutti a posto, calpestando la dignità degli altri. Ogni riferimento fatti a persone è puramente… voluto! Ci piacciono quegli scribi perché le loro monete pesano, servono tanto, risolvono i problemi. Come le persone di cui amiamo circondarci.
Ieri come oggi, la cultura è intrisa di malattia di protagonismo, di apparenza, di desiderio di primeggiare e dominare la scena, il tutto sotto la maschera del servizio e del fare, per sentirci più vivi.
Ma Gesù è dall’altra parte, sempre, per nostra fortuna: lui guarda il cuore. E accende i riflettori sulla vedova, povera, che dona solo qualche spicciolo, tutto ciò che ha. Non è visibile, non ha lunghe vesti, non è salutata da nessuno per strada, non sta nei primi posti nei banchetti, sa che il suo posto in sinagoga e nei banchetti è sempre l’ultimo, ammesso che sia invitata. Ma è lei che profuma, è lei che Gesù loda, è lei che ha capito tutto, è lei che vive per quei 2 spiccioli che offre con gioia. La vediamo con occhi vispi, vigili, non rassegnati, non preoccupata per sé ma per quel tempio e quel Dio che le hanno insegnato ad amare a costo di perdere tutto, di lasciare, di donare perché ha capito che Dio è così: povero, spogliato, servo, dono. Dio è nel tutto donato, è in un bicchiere d’acqua e in 2 spiccioli, è in un po’ di tempo perso per ascoltare qualcuno, è in un biglietto di auguri insolito e inaspettato, Dio è nascosto ai potenti ma visibile per i puri di cuore, Dio è là dove non ti aspetti, Dio è accanto agli ultimi della vita e del mondo, nei letti di ospedale, accanto a chi soffre, con chi veglia un amico. Dio è in chi fa spazio, in chi vive in chi rimane affascinato e a bocca aperta di fronte a queste pagine di vangelo nuove, forti, potenti che abbiamo sentito centinaia di volte ma che non ci hanno mai scaldato il cuore.
Se non ripartiamo dalla passione per questo Vangelo, restiamo sempre ancorati al gesto di scribi e farisei, più attenti a farsi notare che a donare la propria vita a Dio.
O Signore amante degli ultimi, dei nascosti, di chi non ha voce: fà che i nostri gesti assomiglino sempre più a questa vedova nascosta del vangelo, vittima di usurpatori ma che non protesta e non alza la voce come fanno troppi anche vicino a noi! Insegnaci a donarci come tu ti doni a noi, a non trattenere ma a fare dei nostri gesti quotidiani una preghiera innalzata a Dio, una offerta ai nostri fratelli per celebrare e annunciare che il vero povero, il vero servo, il vero crocifisso pe r amore sei solo tu.
XXX Domenica del T.O. - 27 ottobre 2024
Veri ciechi!
Gesù sta per entrare a Gerusalemme, in cammino verso la croce e la resurrezione: in mezzo alla folla ma in realtà solo, come spesso ci accade nella vita. Due domeniche fa il giovane ricco non lo segue, troppo attaccato ai suoi beni; domenica scorsa Giacomo e Giovanni pensano solo al posto privilegiato nel regno di Dio.
Ma oggi c’è Bartimeo, figlio di Timeo, cieco, ai margini della strada e della vita, solo: uno scarto della società, uno da tenere alla larga, se gli era accaduta la malattia era segno che aveva commesso qualche grave peccato.
Ma Bartimeo cerca il Signore, grida, lo vuole incontrare; non ha alcun merito Bartimeo, solo il desiderio di un tocco, una parola nuova, solo il desiderio che qualcuno lo ascolti.
All’inizio non chiede la vista ma: ‘Figlio di Davide, abbi pietà di me’. Riconosce che quel maestro lo può perdonare, dentro, nel cuore: gli chiede la vista del cuore prima che degli occhi. La cosa più importante.
Ma la folla non ci sta, lo sgrida, lo vuol fermare perché da fastidio: ma non hanno calcolato che a questo viandante verso la croce piace chi da fastidio e allora lo chiama. Questa folla è la Chiesa che a volte può essere un ostacolo, a volte uno strumento prezioso per far incontrare Gesù.
‘Coraggio, alzati, ti chiama’. Allora getta via il mantello, la sua casa, balza in piedi e va da Gesù. Bartimeo si sente chiamato da Gesù, e parte. Finché tutto parte da noi, ogni progetto finisce presto, crolla, non si realizza: ma quando c’è dietro il Maestro, quando senti che è lui a chiamarti, quando gli chiedi di rialzarti, allora tutto cambia!
Chi è il vero discepolo? Ci chiede Marco. Il vero discepolo non è quello che crede di vederci chiaro a tal punto da chiedere il primo posto, ma il vero discepolo è chi sa di essere cieco e ha bisogno della vera luce, ha bisogno di essere rialzato da Dio.
Abbiamo bisogno di essere rialzati da lui, da questo viandante verso la croce: per riconoscerlo in croce come il figlio di Dio, abbiamo bisogno di sentirci ciechi e allora potremo vederci chiaro e seguire il Maestro sulla via della croce.
Nel suo racconto “Il paese dei ciechi”, George Wells narra la storia degli abitanti di una valle isolata in Ecuador, dove a causa di una malattia, tutti hanno perso la vista. In seguito a una frana, la valle è rimasta isolata e dopo diverse generazioni gli abitanti si sono adattati alla cecità, sviluppando gli altri sensi in modo formidabile. Col passare del tempo hanno dimenticato il mondo al di fuori dell’isola. Un giorno un ragazzo che ci vedeva, precipita accidentalmente nella valle durante una arrampicata. Trovandosi davanti agli abitanti ciechi, il ragazzo cerca di spiegar loro come è il mondo esterno e cosa significa vedere, osservare, e poi la differenza tra luce e buio, ma essi non capivano. Lo consideravano un diverso, un visionario perché parlava di cose senza senso, come i colori, la luce, le ombre, il sole. Inoltre lo ritenevano un incapace perché non era capace di usare il tatto, l’olfatto, l’udito come loro.
Così pian piano si adatta al mondo dei ciechi. Un giorno si innamora di una ragazza del villaggio e chiede la sua mano. Per poter sposare la ragazza gli viene chiesto di farsi togliere gli occhi per adattarsi pienamente a loro: anche la ragazza gli chiede la stessa cosa per essere felici per sempre! Non svelo il finale del racconto.
Ma la domanda vera è: che cosa sceglieremmo noi al suo posto? Accecarci per amore adattandoci a un mondo di ciechi oppure cercare di vederci sempre meglio rischiando di perdere l’occasione? Per gli abitanti del paese dei ciechi perdere la vista è una cosa da nulla, perché non sanno cos’è e non l’hanno mai avuta. Di fronte a molti amici che non credono più, non dobbiamo preoccuparci perché hanno perso la fede, ma piuttosto perché in realtà non l’hanno mai avuta. Allora accecarci per adattarci a chi è cieco oppure affinare la vista per camminare nella luce di Cristo? A noi la scelta! Bartimeo è l’unico non cieco perché cerca l’incontro con Gesù che gli cambia la vita.
O Signore, vera luce del mio buio, aiutami riconoscere che sono cieco nel cuore; insegnami a gettar via il mantello delle mie false comodità per cercarti ed essere illuminato dalla tua luce; solo se mi riconosco cieco, inizierò a vederci chiaro!
XXIX Domenica del T.O. - 20 ottobre 2024
Il Calice del servo
Papà, mamma sei felice? Domenica scorsa ho detto ai bambini di fare questa domanda ai genitori. ‘Quanto sei felice? Che cosa ti da felicità e cosa te la toglie? Come fai a custodirla dentro di te, a non perderla, a donarla agli altri.
E’ la domanda che il ricco del Vangelo ha posto a Gesù quando gli ha detto: 'Maestro, come posso fare per raggiungere la vita eterna?' In realtà la sua richiesta sottotraccia riguardava la felicità nel regno dei cieli e qui in terra.
Anche oggi Gesù spiazza i suoi che discutevano sul primo posto nel regno: 'Concedici di sedere alla tua destra e alla tua sinistra nel regno del Padre'. Era già la terza volta che Gesù annuncia la sua passione, e per la terza volta gli apostoli non capiscono, non accettano, puntano i piedi. Concedimi di essere felice di là e di qua, sempre. Dopo questa richiesta di Giacomo e Giovanni, nasce una discussione tra gli apostoli: litigavano anche loro come noi; siamo loro figli soprattutto nel non andare d’accordo, nel difendere con i denti le nostre opinioni e diventiamo avversari per alcune banalità, diventiamo ostacolo l’uno per l’altro!
“Gli ostacoli sono quelle cose spaventose che ti opprimono quando togli lo sguardo dalla meta”: Gesù invita i suoi a guardare la meta, a fissarla, a non distogliere lo sguardo su di essa, ad amarla, anche se i piedi fanno male, anche se lo zaino pesa, anche se hai le vesciche, anche se alcuni amici rinunciano, gettano la spugna, anche se la croce pesa, anche se la meta è lontana: non temere ti dice Gesù. Io per primo ti ho indicato la via e non abbandono chi si mette per strada.
Ma tu cristiano di oggi non pensare come Giacomo e Giovanni al primo posto: pensa a farti servo, pensa all’ultimo posto come ha fatto Lui che ha lavato i piedi, ricordi? Che ha accettato il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro, ha cercato l’ultimo posto: il posto del servo che non si aspetta niente dal padrone, anzi che ama servirlo.
Ma come? Il catechismo di una volta ci diceva ( e l'ha citato anche don Angelo al funerale di Benvenuto mercoledì): 'Perché Dio ci ha creati? Per conoscerlo, amarlo, servirlo in questa vita e goderlo nell’altra'. Ma Gesù va oltre: non rinnega questo ma lo completa: 'Siamo stati creati per essere amati e serviti da Dio, qui e sempre. Dio esiste per amarti e farsi servo per te, per donarsi a te, anche quando non ne vuoi sapere e dici: NO GRAZIE, ho cose più importanti da fare!'.
‘Sono venuto per servire’ c’è sulla carta di identità di Dio; sulla nostra cosa c’è scritto? ‘Cerco il primo posto’, ‘Ho ragione io’. 'So io come si deve fare’. ‘Gli altri sbagliano, io no’. Mentre lui è venuto per servire!
Continua Gesù: “Tra voi però non è così”. Ecco la perla di questo brano: i grandi della terra, i governanti, ma anche i piccoli pensano solo a se stessi: tra voi non è così! Non dice sarebbe meglio se, potreste fare, tra voi non dovrebbe essere così! Tra voi non E’ così. ‘Chi vuol essere il primo, sia il servo di tutti’.
Invece di rimproverarli, dire che non hanno capito niente, invece di cacciarli via perché dopo alcuni anni con lui non lo conoscono, Gesù li perdona, abbassa il tiro, e indica la via del servo, quella che lui percorrerà fino alla fine!
Ma mi chiedo: si vede che tra noi non è così? Che forse nei nostri ambienti le cose girano diversamente, che tra cristiani ci si vuole un po’ più bene, che si è disposti a servire, a essere all’ultimo posto? Qual è la caratteristica principale che deve avere un credente oggi? Chi si affaccia alla Chiesa, alla nostra comunità respira un’aria diversa o c’è sempre un po’ di puzza e non il profumo del Vangelo?
C'è un calice da bere, Signore, per chi si dice tuo discepolo, per la Chiesa di oggi, un calice pieno di voglia e fatica di servire gli altri, di parlare lingue nuove, di stare accanto, di scegliere l’ultimo posto: molto più comodo brindare alla tavola di questo mondo senza farsi grossi problemi, divertendosi senza guardare chi sta peggio. C'è un calice delle tragedie e delle sofferenze dei fratelli, un calice che attende qualcuno che lo beva. E’ la sfida del momento: o far finta di niente, dire che non tocca a noi e seguire la massa oppure berlo fino in fondo per seguire Gesù il vero servo.
XXVIII Domenica del T.O. - 13 ottobre 2024
Ti offro un caffè?
Innanzitutto la strada: ce lo ricorda sempre Gesù! Sulla strada della vita incontri, accogli, trovi nuovi volti, nuove sorelle e fratelli con cui intrecciare il futuro, come un’edera che si diffonde, così il Vangelo attraverso i mille incontri di ogni giorno. Gesù ha amato la strada, la piazza, i non luoghi che per lui erano i veri luoghi di incontro di missione.
Un tale, senza nome, è già un dettaglio importante: non ha un volto perché pieno di sé, perché ha già incasellato tutto nella sua vita, persino Dio e quella domanda: ‘Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?’ Gesù risponde stando nell’orizzonte di quel tale: non si sposta. Lui chiede cosa deve fare e anche Gesù parla di ‘fare’. Come quando un collega ti chiede 5 minuti per un caffè; e intuisci che dietro quel caffè, quei pochi minuti c’è altro: c’è il bisogno di uno sguardo amico, un incontro, un entrare nella vita, un cercare semplici risposte a domande non espresse.
Quel tale cerca Gesù con una domanda profonda: lui pensa di fare altre cose rispetto a quelle che fa già, crede di salvarsi aggiungendo sacrifici, preghiere, offerte. Ci siamo dentro anche noi qui perché anche noi riempiamo di tante cose la vita che non sappiamo più perché le facciamo: troppo attenti al che cosa, dimentichiamo il PERCHE’!
E qui arriva Dio! ‘Fissò lo sguardo su di lui e lo amò’! La svolta del brano. Fino ad ora per Gesù era un tale, adesso diventa un fratello da amare: solo l’amore ti permette di giudicare, di osservare nel modo giusto, ti permette di trasformare un caffè in una occasione per toccare il cuore e lasciarti toccare il cuore!
In realtà la domanda dell’uomo era meravigliosa, e andava alla radice: come se chiedesse a Gesù: come faccio ad essere felice? Cosa mi da la felicità? Perché tutto quello che possiedo non mi da la felicità? Perché con tutto quello che faccio non sono felice? Perché vedo altri felici e io no? Perché Dio non mi rende felice?
Le sue domande sono anche le nostre: che cosa mi dona la felicità e che cosa me la toglie? Come posso alimentarla, custodirla, donarla agli altri?
Dona , dice Gesù, non trattenere, non accumulare, vivi leggero: sarai felice non quando sei pieno di cose e di persone di amici in facebook ma quando lasci, quando sei disposto a perdere, quando ti doni. Tutto qui? Certo, tutto qui. Talmente facile da sembrare banale, eppure impossibile per chi ha il cuore troppo pieno di cose, troppo pieno di sé; semplice per chi è già allenato a lasciare, a cercare l’essenziale e a perdere.
Improbabile e forse impossibile imparare a donare e a lasciare come è impossibile che una grossa fune (cammello) passi per la cruna di un ago.
Difficile entrare nel regno di Dio per chi cerca di conquistarlo a suon di opere buone: facile per chi non ci pensa, vive leggero, capace di donare e donarsi: chi vive così lo ha già iniziato qui il regno di Dio e gli verrà donato pienamente dopo la morte.
Chi lascia tutto per seguire il Maestro, trova in realtà 100 volte tanto in difficoltà ma soprattutto in gioia, sorelle, fratelli, compagni di viaggio, gente che con il caffè ti offre molto di più.
O Signore , vieni a bere un caffè con me? Mi basta il tuo sguardo, il tuo sorriso, le tue parole di speranza e di gioia. Una felicità racchiusa in una stretta di mano, in un ‘dai che ce la fai’, ‘non sei solo’, continua anche se le cose non vanno per il verso giusto. Una cosa sola ci manca, Signore: la fiducia nelle tue parole, il coraggio di lasciare, di perdere, l’unico modo per passare per la cruna dell’ago, l’unico modo per arricchirci davvero, l’unico modo per guadagnare, come un astuto mercante di anime, il regno di Dio.
XXVII Domenica del T.O. - 6 ottobre 2024
Una carne, un sogno, un cammino, solo
Chissà quanti, mentre soffrono a causa di situazioni matrimoniali o semplicemente di coppia un po’ precarie e critiche, saranno a disagio di fronte a questo Vangelo. Chissà quanti diranno che c’è in ballo molto di più e non solo definire se e come ci si può separare o divorziare; chissà quanti hanno o avranno bisogno di aiuto, di conforto in momenti in cui non si vede più niente di chiaro nel rapporto di coppia.
C’è in ballo molto di più! E’ quello che Gesù dice a scribi e farisei che riducono tutto a: “è lecito o no? Si può o non si può? Cosa ha detto Mosè? “
C’è in ballo la vita, c’è in ballo imparare ad amare, c’è in ballo la bellezza e la fatica di diventare coppia, giorno dopo giorno, c’è in ballo il bisogno di rinunciare un po’ a se stessi, alla mia comodità, al mio e tuo per far nascere il ‘nostro’.
Già il fatto che i farisei usino l’argomento del divorzio per trarre in inganno Gesù, la dice lunga: a loro non interessa tanto il progetto di amore di Dio sulla coppia, ma dimostrare che questo qui non è il messia, nemmeno il figlio di Dio, ‘non ci serve un dio così che non accetta le nostre belle tradizioni!’ Perché di tradizioni umane si tratta non del progetto originario di Dio che creò la donna e l’uomo, creò l’una e l’altro perché ciascuno uscisse da sé, lasciasse padre e madre iniziasse l’avventura dell’amore: amare per essere amati. Scribi e farisei non hanno capito che Dio vuol vincere la solitudine dell’essere umano, lui vuole che ognuno sia circondato da affetto: “Non è bene che l’uomo sia solo“ dice la Genesi in modo perentorio.
Al centro di tutto c’è l’amore, c’è il perdono, c’è la coppia che riflette l’amore di Dio, anzi che è Dio stesso! Non c’è la divisione ma l’unione!
Il cuore del matrimonio è il desiderio di diventare una cosa sola, una carne sola: unire progetti, risorse, sogni, unire anche le fatiche, le sofferenze, unire le differenze e dar vita a qualcosa di inedito, di nuovo: 2 atomi di idrogeno e uno di ossigeno, uniti, non rimangono idrogeno e ossigeno ma diventano acqua! L’unione tra donna e uomo come segno del legame vero che esiste tra Dio e l’umanità.
Gesù rifiuta la logica perversa e cinica dei farisei che cercano tutti i pretesti per condannarlo: Gesù porta l’attenzione sul piano dell’amore, la vera forza capace di vincere, di far crescere, di far diventare nuovi, di ritornare ‘a immagine e somiglianza di Dio’.
Anzi, la Genesi ci rivela un aspetto unico e meraviglioso: in ebraico uomo e donna di dice: ish e ishà, dove le lettere presenti solo in ciascuna delle 2 parole formano l’inizio della parola Jahwèh, Dio: come per dire che nell’incontro tra le diversità di uomo e donna si rivela Dio, il suo volto, il suo amore. Grande verità oggi faticosa da capire e da intuire, eppure Dio si è nascosto proprio lì nell’incontro, nell’abbraccio, nell’unione di vita tra una donna e l’uomo. Dove vediamo oggi l’amore di Dio? Nell’incontro, nella comunione tra la donna e l’uomo: per noi le diversità dividono, per Dio le diversità possono unirsi e creare l’armonia primordiale, creare il cielo, generare la vera bellezza che è Dio stesso.
Il rischio è che questo abbraccio questo incontro diventi ‘malato’: malato perché ci si chiude e non si vede né prima, né oltre, cioè non vedi che Dio ha messo in moto tutto e che tutto porta a lui; malato perché l’abbraccio può anche stritolare quando diventa possesso, egoismo, prevaricazione sull’altro; malato perché può essere corrotto dalla gelosia che uccide; malato perché può essere infedele e, anziché vedere una crisi come un momento di crescita e verifica, lo si vede come la fine (è stato bello ma adesso è finita, ci siamo sbagliati!); malato perché asfittico, perché è un abbraccio in cui non gira l’aria nuova del Vangelo, l’amore come dono, perché al centro ci sono i figli e non la coppia.
Oggi è ancor più difficile credere a questo progetto di amore di Dio sull’uomo e la donna: più faticoso mettersi insieme, amarsi, aspettarsi, condividere, sopportarsi: molto più facile restare ciascuno a casa propria e vedersi a fine settimana: più semplice, meno impegnativo, più economico. Ma ti perdi i sogni, la bellezza di dar vita a qualcosa di nuovo, ti perdi la rinascita per diventare una persona nuova.
‘Se tornassi indietro mi sposerei prima’, mi ha detto un amico: inizierei prima a crescere, a prendere responsabilità e a gettar via le mie paure.
O Signore, il tuo regno appartiene a chi si fa piccolo come un bambino; donaci di capire col cuore la bellezza del tuo progetto di amore, la bellezza dell’amore tra una donna e un uomo, la grandiosità del tuo gesto di seminare la tua presenza nello sguardo, nell’incontro della coppia: ogni solitudine è vinta per chi si affida a te.
XXVI Domenica del T.O. - 29 settembre 2024
Bodyguard!
Le sbagliano tutte gli apostoli (oggi Giovanni); da Pietro che viene definito da Gesù ‘satana’, dalla discussione lungo la strada mentre dibattevano su chi fosse il più grande, a oggi in cui dicono: ’Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo perché non ci seguiva’. E Gesù: ‘Non glielo impedite: … chi non è contro di noi, è per noi’!
Domanda interessante quella degli apostoli: impedire, proibire, tener tutto sotto controllo, una specie di polizia segreta che sorveglia su Gesù e tiene lontano i pericolosi: i bodyguard del Figlio di Dio. Interessante la domanda perchè ci fa capire che cosa significava per loro essere apostoli, discepoli: Gesù vuole trasformarli da guardie del corpo a testimoni, a gente capace di accogliere, di cercare i germi di bellezza già presenti, di vedere, approvare, favorire gesti di bontà che potevano esserci anche se magari chi compiva quel gesto ‘non era della cerchia degli eletti’ .
L’atteggiamento degli apostoli è stato quello della Chiesa per troppi secoli: il desiderio di difendere, proteggere, chiudere le porte, custodire regole, precetti, norme ha prevalso su quello di diffondere, testimoniare, cercare il bene già presente, intuire dove il Signore aveva già seminato l’amore, togliere gelosie e invidie. E soprattutto il pensiero che Dio non è solo nella Chiesa, che i suoi tesori c’erano già prima della Chiesa che ci saranno sempre anche se finirà la Chiesa, che tutto ci supera, che la sua Grazia e bellezza sono ovunque: tocca a noi avere occhi, piedi, mani adatte a vedere, cercare, accogliere tutto il bene già presente nel mondo.
Ecco il nostro compito! Per fortuna Dio è più grande di noi, dei nostri schemi e della nostra idea di Chiesa! Allora questo significa che tutto ciò che la Chiesa fa non serve a niente? Significa che celebrare, fare catechesi, educare, organizzare eventi non serve a niente? Tanta fatica per cosa, se Dio comunque arriva ovunque e semina il bene ovunque anche senza di noi? Tutto serve purché sia fatto non per proteggere ma per cercare nuove vie, nuovi modi di fare anche ciò che abbiamo sempre fatto, ma anche gesti nuovi che raggiungano le esigenze di oggi.
Anche un solo bicchiere d’acqua che qualcuno dona a noi o ad altri, oppure che noi offriamo a qualcuno è già il segno che c’è qualcosa dentro, nel cuore.
Tutto sta in quel bicchiere d’acqua, in un cesto della Caritas, in un po’ di tempo passato con quel ragazzo, in un abbraccio a qualche solitudine, in un favore fatto al vicino di casa, in un momento di preghiera fatto in casa o in parrocchia: anche un solo bicchiere d’acqua può essere il segno che qualcosa sta accadendo.
Invece a volte rimpiangiamo il passato, anziché guardare avanti e cercare nuovi modi per essere testimoni nel mondo non per custodire privilegi ma per servire e cercare germi di speranza che Dio ha già seminato nel cuore di tanti fratelli e sorelle.
Continua Gesù: ‘Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, meglio che gli venga messa al collo…’ Scandalo è una pietra che ti fa inciampare, ti impedisce di camminare, di andare avanti. Che grande responsabilità che ha la Chiesa oggi, che responsabilità abbiamo noi: quella di non creare inciampo, non allontanare, non proibire ma aprire, accogliere. La Chiesa si è sempre preoccupata di difendere un territorio, una idea, i principi belli forti, giusti ma ha dimenticato la persona, ha dimenticato i cuori, ha dimenticato che lo Spirito soffia dove vuole, anche là dove noi crediamo che Dio non ci sia. E abbiamo dato scandalo, eccome. La caccia alle streghe non è ancora finita: abbiamo qualche strega ancora da uccidere ma dentro di noi, abbiamo qualche pregiudizio che ci ostacola e ci impedisce di essere liberi di guardare negli occhi quella sorella, quel fratello per scoprire che Dio era passato prima di noi e il suo passaggio ha portato frutto .
Mano, piede, occhio possono dare scandalo oppure possono annunciare la venuta del regno di Dio.
O Signore che semini i tuoi tesori in ogni cuore, rendici capaci di cogliere i tuoi passi nel mondo: fa’ che non ci sentiamo i detentori della verità, i difensori di confini creati da noi, non da te ma ci sentiamo collaboratori di gioia e amore che tu hai già donato ad ogni vivente.
XXV Domenica del T.O. - 22 settembre 2024
Lungo la strada della vita!
Avevano ancora nelle orecchie e nel cuore quella risposta tagliente di Gesù a Pietro: ‘Vai dietro a me satana, perché non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini’. E lui rincara la dose: “Il figlio dell’uomo viene (non verrà) consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno”. Parole dure che gli apostoli non capiscono o non vogliono capire! Non piace a loro e nemmeno a noi un figlio di Dio indifeso, catturato, incatenato come un delinquente e messo in croce. Noi che come gli apostoli desideriamo il primo posto, quello del più importante, noi che applaudiamo solo chi sta sul podio, noi che mettiamo sul piedistallo i nostri idoli, noi che abbiamo il nostro posto al sole nel mondo, nella società, nel lavoro, nel gruppo di amici, in famiglia e guai a chi osa metterci in discussione. Noi che: 'quella persona lì proprio non la sopporto', che pensiamo subito ‘non tocca a me’, noi che, per paura del diverso, qualche muro di divisione lo alziamo, noi che non ci schiodiamo da quello che ci hanno insegnato e non andiamo in crisi mai! Tutti d’un pezzo, ancorati alle nostre 4 idee, spesso senza passione per gli altri e nemmeno per Gesù!
Proprio il contrario di questo Vangelo forte, tremendo ma che ti apre alla novità della croce e della resurrezione.
‘Di che cosa stavate discutendo lungo la strada?’ Chiede il maestro che sapeva bene ciò che agitava i loro pensieri. Di che cosa discutiamo quando ci incontriamo? Cosa agita il nostro cuore? Quali preoccupazioni? Mi direte: i figli, il lavoro, a volte una malattia, tanta fatica per tirare la carretta! Dovremmo imparare a discutere di ciò che conta davvero: come faccio a custodire le sue parole? Come faccio a vivere secondo questo Vangelo? Come posso convertirmi, e non pensare di aver sempre ragione io? Partiamo da qui e tutto il resto verrà di conseguenza.
Gesù conosceva bene ciò che c’era nel loro cuore e nel nostro eppure non li rimprovera, ma riprende: “Se uno vuol essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Semplice, addirittura banale ma lontano dal nostro egoismo. Scegli l’ultimo posto, scegli di mettere l’altro al centro, cerca nello sguardo degli altri il sorriso di Dio, non fermarti all’apparenza e impara a decifrare ciò che l’altro ti sta dicendo perché anche se non la pensa come te, c’è sempre un fondo di bellezza in lui!
Gesù va contro la logica del mondo, la logica del più forte, la logica del ‘fanno tutti così’, o anche se non ragioniamo come chi si crede il più forte, però siamo ancora lontani da quel: ’servitore di tutti’ che ci chiede Gesù. Noi subito pensiamo: ‘Ma come è possibile diventare servi in un mondo di violenti, di delinquenti, di ladri che entrano in casa nostra, di datori di lavoro che trattano male i dipendenti, in un mondo dove far quadrare il bilancio è sempre più difficile, in un mondo così dobbiamo far crescere i bambini, i ragazzi.
Ci viene in aiuto Giacomo nella lettera: ‘Da dove vengono le guerre e le liti in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni… Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere'.
Gesù vince la logica dell’avere, dell’accumulare, del controllare tutto, del metterci al centro di tutto: ci parla della logica opposta, quella del donare, dell’amore, della rinuncia, della croce, del farci servi: la vera rivoluzione è questa: solo chi vive così cambia le carte in tavola, decolla, e fa della preghiera la linfa vitale per imparare a vivere da servi.
Solo la logica di Gesù vince, e tocca a noi esserne convinti e testimoniarla con i fatti.
Infine prende un bambino, lo mette al centro, lo abbraccia: ‘Chi accoglie uno di questi bambini…’ Un bambino al centro perché senza diritti, senza parola, senza dignità: chi sono gli ultimi di oggi da mettere al centro delle nostre attenzioni, chi sono i senza parola, senza diritti oggi? Essere servi significa guardare a chi non ha voce, a chi è di serie B, a quelli che non contano e hanno sempre l’ultimo posto.
O Signore, Dio servo, apri il nostro cuore perché impariamo a ragionare non come ragiona il mondo, ma insegnaci a partire dagli ultimi, a mettere al centro i perdenti e a dar voce a chi non è ascoltato da nessuno. Come hai fatto tu che ti sei fermato a curare i poveri e ti sei fatto servo, hai lavato i piedi ai tuoi: un Dio servo non è facile da seguire, sconvolge i nostri piani, capovolge l’ordine stabilito ma ci apre la strada per essere liberi, senza pregiudizi e imparare ad amare come te, senza misura.
XXIV Domenica del T.O. - 15 settembre 2024
Da convenzione a convinzione
Questo capitolo ottavo del vangelo di Marco descrive il momento della crisi tra Gesù e gli apostoli, ma anche tra Gesù e scribi e farisei: crisi perché dopo i prodigi compiuti, dopo i momenti sereni e gioiosi insieme, dopo tanti consensi, adesso Gesù alza il tiro e chiede: ‘Ma per la gente io chi sono? Cosa pensano di me?’ Però non un sondaggio, una indagine di mercato diremmo oggi, per vedere se quel prodotto va, se quel politico piace, se quel cantante piace: Gesù lo chiede per altri motivi.
E iniziano a tirar fuori i commenti sentiti su Gesù: ‘Sei Elia o Giovanni Battista’ , i grandi del passato, il predicatore pazzo del deserto, il profeta che ha sfidato e battuto i profeti del dio Baal. Forse credevano che assomigliasse a loro, forse pensavano che ritornasse Elia o Giovanni a cacciare i romani e imporre il regno di Dio! Tutti personaggi del passato, morti e sepolti, che hanno fatto tanto per il popolo; i Giudei vorrebbero il ritorno di Elia e Giovanni: una specie di ritorno al passato, ai bei tempi di una volta come a volte diciamo anche noi! Un po’ come quando vediamo i video dei ragazzi degli anni 70-80: i motorini, l’abbigliamento, gli amici di una volta, le lire, e via così. Se è bello ricordare il passato, è anche un po’ triste non cercare vie nuove e non adattarsi alla situazione di oggi.
Gesù non ci sta a rimpiangere il passato e a ricostruire i bei tempi andati, ma guarda avanti e chiede ai suoi: ‘E voi chi dite che io sia?’ Per te per la tua vita, per la tua felicità, io chi sono? Come un profeta di 700 anni prima? Come un guaritore, un santone?
E per me, per te oggi chi è? Perché dopo 2000 anni ci poniamo ancora la domanda? Ce l’hai nel cuore, nel pensiero, ti sostiene, ti da fiducia e speranza o no? A giudicare da come vive la gente, direi proprio di no. Ma Gesù lo chiede a me e a te oggi adesso, non ad altri. Pietro da la risposta giusta, ma Gesù taglia corto: ‘Pietro, la risposta giusta devi darla sotto la croce, sotto la mia croce, e quando tu dovrai portare una croce pesante: lì si vede quanto la fede in me ti sostiene!’
Pietro prende la parola con il suo entusiasmo: ma le parole di Gesù non gli piacciono: ’lo prese in disparte’ come fece Gesù domenica scorsa col sordomuto e lo rimprovera. Anche a noi piace un Dio dei prodigi, che sta nel suo cielo, ogni tanto lo preghiamo: ma a lui non sta bene! Infatti dice a Pietro ‘Vai dietro a me satana’. Non metterti davanti, ma seguimi. Quante volte ci mettiamo davanti a Cristo e gli insegniamo come deve fare, come deve comportarsi, anziché umilmente cercare di capire cosa ci sta dicendo, cosa ci sta insegnando, su quali vie ci porta, quali novità ha portato con la sua parola. Tocca a noi abbandonare un modo superato di pensare a Dio per costruire strade nuove per essere figli di Dio oggi.
A volte ci lamentiamo che le chiese si vuotano; dice Paolo de Martino: ‘Oggi le chiese si svuotano, ma la vera domanda da porci non è perché si svuotano, ma di cosa le avevamo riempite! Stiamo finalmente passando da un cristianesimo sociologico, per convenzione, a un cristianesimo di convinzione’. Dalla convenzione alla convinzione!
Se hai un vero amico, o un hobby, una passione non lo fai per convenzione ma perché ti soddisfa, ti piace, ti fa star meglio.
Abbiamo ridotto la vita di fede a ‘portare la croce’ come se essere credenti fosse un debito da pagare o una medicina amara da bere: invece la croce è la promessa di Dio che ci ama in modo nuovo e ci invita ad amarci e a ‘perdere’ per ritrovare.
O Dio nuovo, amante, alla ricerca di ogni figlio disperso: donaci il desiderio di conoscerti e seguirti perché solo tu hai parole che mi fanno vivere da risorto già ora. La tua croce ci fa capire il senso del dono e del trasformare ogni difficoltà, ogni caduta, ogni sofferenza in un motivo per ricominciare non come prima ma meglio di prima.
XXIII Domenica del T.O. - 8 settembre 2024
Ha fatto bene ogni cosa!
Gesù cammina, passa, incontra, si ferma a e si prende cura: in questi gesti c’è dentro tutta una vita, c’è un progetto, c’è il cuore di un Dio che si fa uomo, che dona la salvezza del Padre. E va nella Decapoli, dieci città pagane, lontane da Gerusalemme, città non ritenute degne neppure dell’annuncio: una partita persa, diremmo noi! Eppure Gesù va, parla, ascolta il grido del misero e lo salva. Nessuno è straniero per il nostro Dio.
Il sordomuto: non sente, non parla. Non sente e non ascolta, non è in relazione, non può arricchirsi per le parole degli amici, non può donare le sue parole a qualcuno. Tagliato fuori dalla vita: come fosse morto. Siamo noi quel sordo quando non ascoltiamo la Parola, quando siamo sordi e non porgiamo l’orecchio agli altri, non ascoltiamo con orecchie e col cuore, quando non ci fermiamo perché fermarci costa fatica, più che correre, perché vuol dire metterci in discussione e non mettere nulla tra noi e gli altri, tra me e te, nudi, fragili, vulnerabili.
In ascolto della Parola e delle parole non dei rumori che ci invadono nell’intimo e ci tolgono la serenità. Dobbiamo anche imparare a selezionare le persone che ascoltiamo, le voci che lasciamo entrare in noi e quelle da tenere lontane, da non ascoltare. Dobbiamo imparare non a sentire, ma ad ascoltare cioè a intuire ciò che gli altri ci dicono tra le righe, tra una parola e un’altra!
Come stavamo bene noi ragazzi degli anni ’70-’80 senza social, senza Tik-Tok, senza Instagram e Facebook: non era tutto facile, ma c’era più essenzialità e tempo per ascoltare voci e parole. E per passare tempo con gli amici giusti; oggi troppe voci, troppi disturbi rubano tempo e possibilità di incontri ai nostri ragazzi e anche a noi.
Lasciamoci guarire orecchie e cuore, per ascoltare la Parola e le parole, Dio e sorelle e fratelli, ma anche ascoltare noi stessi, il battito del cuore, i sentimenti dentro, le cose più belle che ricordiamo e ciò che vogliamo realizzare. Troppe parole vuote diciamo, troppe insignificanti ne ascoltiamo. Solo il Signore ci può guarire nel profondo e darci ancora la possibilità di ascoltare le parole vere, quelle che ci salvano da una vita senza senso.
Bello anche il fatto che qualche amico conduce il sordomuto da Gesù: la Chiesa dovrebbe essere questa mano amica, questo sguardo attento, questa famiglia che accoglie per portare a Cristo, per indicare la via; non siamo i perfetti e i migliori, ma sorelle e fratelli che hanno incontrato il Maestro e invitano altri a incontrarlo: questa è la nostra vocazione! Non siepe che protegge e allontana e pensa di difendere qualche privilegio, ma compagni di viaggio, luna che riflette la luce del sole, scialuppa di salvataggio, ospedale da campo direbbe il papa.
Il futuro della Chiesa è in Asia sembra dirci papa Francesco: là dove c’è più fame di parola, c’è bisogno di ascoltare il grido dei popoli, là dove lo scontro con altre religioni può diventare incontro, là dove la Chiesa può annunciare parole nuove di speranza.
Martedì scorso abbiamo fatto un breve pellegrinaggio e don Andrea ci ha proposto di comunicarci a gruppetti di 3, in quali occasioni della nostra vita abbiamo sentito Dio vicino, accanto, dentro. La novità consiste nel dircelo, nel comunicarlo reciprocamente, nell’ascoltare in silenzio il racconto degli altri, gustarlo, farlo mio e aprire il cuore a un fratello, sorella. Parte da questo scambio una comunità: parte dal rendermi conto di quando il Signore mi ha aperto orecchie e cuore, parte dal desiderio di raccontarlo a qualche amico, di gridarlo, di partire lasciando il di più per trovare il centuplo.
‘Lo prese in disparte‘, sottolinea Marco, ‘lontano dalla folla’: prendiamoci in disparte, in silenzio, lontano dai rumori per ascoltare parole nuove e per dire parole nuove, parole di senso, parole che raggiungono la vita, parole che rialzano chi è caduto, accendono speranza in chi l’ha persa, donano luce dove c’è il buio del peccato.
O Dio, la tua Parola ha creato tutto all’inizio del mondo, la tua parola oggi vogliamo ascoltare; apri le orecchie del nostro cuore perché solo le tue parole ci danno speranza. Hai fatto bene ogni cosa, hai fatto bene noi: fa’ che ci rendiamo conto dei tuoi doni inestimabili, li sappiamo accogliere e annunciare a chi cerca la vera felicità nella sua vita.
XXII Domenica del T.O. - 1 settembre 2024
Vedere oltre
E’ la domenica delle Paralimpiadi, anzi delle vere olimpiadi perché questi atleti hanno 2 sfide da affrontare: prima quella della loro vita e poi quella del campo di gara.
‘Vedere oltre’ si chiama l’associazione presieduta da un cieco che costruisce progetti a favore di ragazzi con handicap.
Abbiamo tutto da imparare!
Puro e impuro si dice nel vangelo: Dio è puro e l’uomo spesso impuro; dicevano scribi e farisei che bisogna purificarsi per incontrare Dio; ci sono situazioni che rendono l’uomo impuro: ad esempio il contatto con una persona di altra religione, il contatto con cibi impuri e con un cadavere, i giorni del ciclo femminile, ecc .
Era tutto un elenco di attività, situazioni e persone da evitare: bastava quello per sentirsi a posto e poter incontrare Dio. Tutto qui? Tutto qui!
Fino all’arrivo di Gesù che parla un’altra lingua e parla di ‘dentro’, di cuore, parla di un incontro che avviene dentro nell’anima: i veri sì li dici nel silenzio, dentro di te, quando sei solo: poi viene il volto, le mani, il corpo. Per i Giudei osservanti era il contrario: solo fuori e non dentro!
In realtà Gesù non getta via il passato e non inventa un’altra religione: ma ritorna alle origini quando i profeti stessi 800-700 anni prima invitavano ad adorare Dio col cuore, a pregare con tutto te stesso non solo con la voce e a rispettare gli altri, a prendersi cura degli esclusi, ad accogliere, non a respingere! Gesù parla del Dio dei padri non come di un giudice da temere ma come di un padre da amare perché per primo ha amato il popolo scegliendolo tra altri popoli e affidando loro un compito, un progetto di salvezza per sé e per tutti. Invece scribi e farisei hanno pensato solo a loro stessi, hanno considerato un privilegio quella chiamata, anziché un invito a parlare a tutto il mondo.
Anche noi credenti di oggi dobbiamo farci un bell’esame di coscienza: anche noi a volte siamo attenti e assorbiti da tante cose da fare, da iniziative, da impegni nella Chiesa, nella nostra comunità e mettiamo l’essenziale in secondo o terzo piano; magari tante iniziative lodevoli, pensate bene e riuscite meglio. Dobbiamo toglierle? No, dobbiamo però mettere altro al primo posto: l’incontro mio con la Parola, la preghiera come un desiderio di intimità, non come tante parole da dire, la comunicazione della fede con altri credenti per sentirci una cosa sola, per affrontare la vita: altrimenti le iniziative, le attività ci sovrastano, ci tolgono il respiro e addirittura rischiano di rovinare i rapporti, creare tensioni.
Lucidiamo anche noi qualche sepolcro, ma dentro c'è ben poco o addirittura il marcio: il Vangelo di oggi ci invita a “vedere oltre”, oltre quelle persone, quei ragazzi, quella storia e capire dove c’è dentro Dio, come sta lavorando Dio in quel fratello, sorella, cosa chiede a me, a noi per salvare quello là o anche solo per raggiungerlo e farlo sentire meno solo, e parlargli di Dio o almeno fargli capire che qualcuno pensa a lui.
Questo è il compito di una comunità cristiana oggi nel mondo, in mezzo a chi non crede: il coraggio dell’incontro, il desiderio di sfrondare qualcosa per essere, prima di fare.
Tempo fa parlando con una signora non più giovane che viene spesso a Messa mi diceva: ‘ma il Signore ogni tanto si dimentica, è sordo, non risponde, non ascolta’. 70 anni di ascolto della Parola di Dio e siamo ancora lì? Non è cambiato nulla nella sua vita? Ho detto: ‘Siamo noi che non abbiamo ancora capito cosa ci sta dicendo il Signore qui, oggi. Siamo noi i distratti o lui? Non è che lui ha già parlato, fatto e detto tutto quello che ci serviva e adesso tocca a noi?
Un altro incontro: una giovane coppia di fidanzati chiedono di sposarsi; due parole per conoscerli e capire le vere intenzioni, poi lei mi dice: ‘sai don che mi ha stupito, lui così timido, al mare nell’albergo mi ha fatto la proposta di matrimonio dopo solo poco più di un anno di convivenza: ho pianto come una fontana! E adesso inizia il cammino! Però inizia bene’.
O Signore, Dio antico e sempre nuovo: quando ti capiremo? Noi distratti, bravi a giudicare chi non rispetta le regole, ma non altrettanto bravi a incontrarti nel cuore! Tu ci hai già fatto la dichiarazione d’amore e la proposta di una alleanza cioè di matrimonio. Fa’ che ritorniamo all’essenziale , al gusto della tua Parola, del sentirti nel cuore, a far sentire ai nostri fratelli che dopo averti incontrato, la vita è fiorita: non sei tu distratto e a corto di memoria, ma sono io che faccio fatica a cercare l’essenziale, a mettere in secondo piano la frenesia del fare e dell’organizzare anziché il desiderio di sentirti vivo in noi.
XXI Domenica del T.O. - 25 agosto 2024
Niente like!
Ancora pane, ancora un Dio che si dona, ancora Gesù che cammina con i suoi: ha sfamato i discepoli, ha accolto il dono del ragazzo che ha donato pani e pesci, ha detto che se ti nutri di lui vero pane avrai la vita piena già ora; ma la folla e i suoi non capiscono, preferiscono il dio usa e getta, bastone e carota, premio e castigo: un dio da rispettare, non da ‘mangiare’.
Gesù sente sulla pelle questo rifiuto della folla, ma anche dei discepoli: sente che il famoso consenso che piace tanto ai politici e a noi, vien meno. Infatti i discepoli stessi affermano: ‘Questo linguaggio è duro ’ e nota anche Giovanni: ‘Da quel momento molti dei discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui’.
Come quando la tua ditta è in perdita, o i tuoi figli ti rifiutano, gli amici ti voltano le spalle e ti senti uno schifo.
Ma questo Gesù – pane invece, butta lì agli apostoli, ai più vicini, a quelli per cui darà la vita: ‘Volete andarvene anche voi?’ Niente sconti mi dispiace, la posta in palio è troppo alta, c’è qualcosa di grosso in ballo: la tua salvezza, il senso della tua vita, il modo in cui incontri, vivi, ami; non può e non vuole fare sconti come un bravo insegnante che a malincuore da l’esame a uno studente per il suo bene, senza sconti perché sa che c’è in ballo non solo il 6 e la promozione ma l’impegno, lo studio che gli salverà la vita.
Forse delude un prof così, forse delude questo Dio, forse gli diremmo: ma cosa vuoi ancora? Non vedi che siamo rimasti in 4 gatti? Non vedi che i giovani se ne sono andati? Non vedi che le suore sono mosche bianche e i seminari deserti? Non vedi che pochi si sposano ancora in chiesa? Stai calmo, non tirare troppo la corda, altrimenti perdi anche i pochi rimasti!
Ma Lui non guarda le oscillazioni della borsa, nemmeno i like su facebook, nemmeno se qualcuno lo osteggia e nemmeno se qualcuno se ne va sbattendo la porta. Li lascia liberi e ci lascia liberi, sempre, comunque sia! Anche di dirgli: no grazie, non mi servi!
‘Volete andarvene anche voi?’ è la proposta - invito - provocazione di Gesù: non ci promette una vita facile e scontata, non ci fa i saldi di fine stagione, non c’è il pacchetto vacanze che comprende viaggio, albergo, gita in barca, guida turistica: c’è una promessa di vita vera, c’è un pane da mangiare, c’è l’invito a diventare pane per gli altri, c’è un Dio nuovo, diverso che considera tutti suoi figli, che non pretende ma si offre sulla croce e nel pane.
Pietro butta lì la sua risposta, netta, intensa, come una fiammata, come un lampo che squarcia la notte, come un cespuglio fiorito in primavera che ti inonda di profumo, come un sorriso amico in una giornata storta: ‘Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna’.
O Signore pane per il nostro cammino: sai a volte ci deludi con le tue affermazioni, con la tua vita diversa, con quel modo di spezzare la tua vita. Però ci lasci liberi, liberi di alzare i tacchi, cercare un altro dio o diventare noi dio di noi stessi: solo le tue parole ci danno fiato, ci fanno volare, ci schiudono un’altra vita, un altro modo di vivere, un altro modo di amare, una vita vera che ha il profumo fragrante del pane, che ha il tuo profumo!
XX Domenica del T.O. - 18 agosto 2024
Un Dio da mangiare
A Cafarnao Gesù continua a parlare di pane, di cibarsi di lui, del Padre che lui solo conosce. Ma non è capito, proprio nella sinagoga là dove si accoglie la Parola, si legge la Toràh, là dove echeggiano le profezie, il vero profeta non è accolto. Gesù parla di un Dio diverso da quello invocato dai giudei: non più un dio da onorare, pregare, riverire, un Dio severo che sa punire come premiare; Gesù spalanca nuove prospettive e parla di un Dio che è Padre, un Dio pane da mangiare, da condividere, come ha fatto il ragazzo che ha messo i pani e i pesci nelle mani degli apostoli. Un Dio non da meritare a suon di buone azioni ma un Dio a disposizione, un Dio che si dona, un Dio pane che ti riempie non lo stomaco ma la vita. Non ti chiede chissà quali sacrifici, rinunce o riti da compiere ma solo un cuore accogliente, pronto a dilatarsi per fargli spazio e accoglierlo.
Sembra un po’ presuntuoso Gesù dicendo di conoscere il Padre anzi di saper mostrare il volto del Padre: infatti le reazioni di rifiuto sono forti. Ma dimostrerà di conoscere veramente il Padre dalla croce quando con la sua vita spezzata per amore si donerà come pane fragrante a ciascuno di noi.
Le altre divinità avevano simboli di forza, potenza o legati alla conoscenza della verità (il sole, l’arco di cupido, lo scudo invincibile): il nostro Dio ha scelto come simboli la croce e il pane, il dono e la condivisione, l’amore donato e l’amore spezzato. Un Dio da mangiare!
Ti chiede solo di nutrirti di lui, di cercare quel pane, di sentire la fame vera del pane del suo amore; di non cercare altro pane non perché lui sia geloso ma perché non esiste un pane come il suo.
Durante una cenetta con alcuni ragazzi si parlava di felicità: cosa significa essere felici? Ma sei davvero felice? Cosa serve per essere felici? Gli altri possono darti la felicità oppure devi cercarla tu in te stesso? Domande certo impegnative da fare e farsi almeno alcune volte nella vita (i ragazzi ci aiutano in questo). Non esistono ricette e istruzioni: esiste il mondo, la vita e il desiderio di ciascuno di essere felice. Ma mentre il mondo ci parla di possedere, di accumulare, di godersi la vita, di pensare a se stessi e se avanza qualcosa magari ad altri, Gesù ci parla di imparare a donarsi, a fare come lui: ti dice di nutrirsi di lui per la vita eterna, di cercare il suo volto, di sentire fame di lui e di farti dono come lui si è fatto dono, si è fatto pane, si lascia mangiare da noi.
Volete essere felici ragazzi? Imparare a donarvi, spezzarvi come un buon pane, a offrire tempo, ascolto, passione per qualcuno che forse non se lo merita nemmeno. Felicità non è una idea che asseconda la tua intelligenza, ma il desiderio di un pane nuovo, diverso e il desiderio di offrire la tua vita come Gesù, vero pane!
O Dio pane spezzato che desideri essere mangiato da me: quanta fame ho ancora nella mia vita? Quanto ti cerco, ti desidero? Sì perché parte tutto da lì, dal mio bisogno di te. Solo questo pane mi spalanca le porte dell’eternità e mi promette la vita eterna cioè una vita piena, alla grande già ora, qui. Solo il tuo pane mi da una felicità senza misura perché mi dice che il bello della vita è imparare a donarla, spenderla, spezzarla: come fa Dio pane!
XIX Domenica del T.O. - 11 agosto 2024
Quale pane cerchi?
Si parla ancora di pane, disceso dal cielo, pane donato dal ragazzo che ha messo a disposizione il suo cibo, la sua vita, che ci insegna a passare dal mio al nostro. Questo è il VERO MIRACOLO !
Anche la vita di Cristo è stata un passare dal mio al nostro: dal suo cielo alla nostra terra. Dal suo corpo al nostro corpo: la Chiesa.
Un pane disceso dal cielo, un pane donato gratis, che noi non meritiamo. Come per Elia che nel deserto vuol morire perché ha dichiarato battaglia al dio Baal e la regina Gezabele non glielo perdona. Elia fugge perché Gezabele lo vuole morto ma l’angelo lo salva: ‘Alzati, mangia perché è troppo lungo per te il cammino’. Elia mangia il pane e si salva.
Anche per noi è lungo il cammino della conversione, il cammino per diventare figli, il cammino per imparare ad accogliere questo pane Gesù e ringraziarlo con tutta la vita. Quanto cerchi questo pane, quanto ne avverti il bisogno? Quanta forza ti da per affrontare le insidie del male? A giudicare dalle nostre messe, da quanto non prendiamo in mano il Vangelo, dai riti dell’estate, dalle nostre preoccupazioni che ci tolgono il sonno, a giudicare dai gossip estivi e dall’indifferenza verso i reali problemi, non avvertiamo tanto il bisogno di quel pane di vita.
"Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre". Dice Gesù ai Giudei. In questo invece siamo bravi. Non perché le nostre osservazioni siano sbagliate, ma perché crediamo che a cambiare, a convertirsi debbano essere solo gli altri. Come i Giudei che non riconoscono Gesù come vero pane, vero Dio. Mormoriamo contro tutto e contro tutti forse per pulirci la coscienza, forse perché evidenziare gli errori altrui toglie l’attenzione dalla nostra negligenza, dal nostro non voler cambiare nulla. La miglior difesa è l’attacco, da sempre. Ma la mormorazione è figlia del demonio, non di Dio.
Un Dio a disposizione, ecco chi è Gesù: Dio gratis. Non ci chiede patenti e certificati come nei nostri uffici amministrativi, ma ci dice che il suo pane è per ogni sorella e fratello. Siamo noi a non essere tanto a disposizione di chi non è dei nostri: infatti facciamo pesare loro la nostra presenza, persino il nostro saluto; facciamo gli altezzosi, la mettiamo giù dura per far vedere che noi siamo i cristiani doc, quelli veri, quelli che non deviano dalla retta via, quelli che ci sono sempre (quando fa comodo). Quelli che difendono le sacre tradizioni, dimenticando che l’unica vera tradizione da difendere è questo Pane, la sua Parola, e la croce. Il resto, meglio che passi e finisca in fretta.
Infine “Chi crede ha la vita eterna”. Non dice ‘avrà’ ma ‘ha la vita eterna’ . Entriamo già ora nella vita eterna, ci siamo già se accogliamo questo pane, se ci lasciamo attrarre da lui, se viviamo già ora da risorti, se crediamo che questo pane è l’unico a salvarci, se non cerchiamo altro pane perché solo questo ci da la vita vera. Siamo già nella vita eterna se anche noi ci spezziamo e ci doniamo come Cristo fa con noi. L’eternità è entrata nel tempo, è qui ora per noi.
O Signore vero pane, continua a spezzarti anche se noi cerchiamo altro pane. Continua ad attirarci a te: solo il profumo della tua vita donata e fragrante come il pane appena sfornato può farci venire il desiderio di non mormorare più ma di cercarti come il vero cibo per il cammino di ogni giorno.
XV Domenica del T.O. - 14 luglio 2024
Polvere sul cuore!
Dopo essere stato rifiutato in patria, a Nazareth tra i suoi, Gesù riparte dai 12; lui non si arrende, non dice: "Non mi volete, arrangiatevi" ma riparte unendo i 12 , facendo di loro una cosa sola e mandandoli a 2 a 2.
Due che è l’inizio di tanti, di un popolo, 2 per sostenersi e per far vedere come si vogliono bene, si cercano, si incoraggiano: è lui che chiama e invia, non dimenticarlo! Ti ha chiamato alla fede, al Battesimo, all’incontro con la comunità: ti ha chiamato e ti invia, discepolo di oggi, a raccontare a tutti i suoi prodigi, la gioia che ti da la sua Parola.
Li manda liberi, leggeri, senza le 2 tuniche dei ricchi, senza bisaccia cioè senza ricchezze, senza pane perché avranno bisogno di chiedere da mangiare, senza denaro: meglio liberi e poveri che troppo attaccati ai beni della terra; meglio con le tasche vuote ma con il cuore pieno. Una Chiesa libera di parlare, di annunciare ma anche di denunciare ciò che non va.
La Chiesa di oggi ha bisogno di recuperare la semplicità delle origini, ha bisogno di ripartire per dire il Vangelo e quella bella notizia, ha bisogno di guardare ancora ai 12 e a quello slancio di partire come Abramo, senza sapere dove sarebbe andato ma solo con quel comando: "Lascia la tua terra e vai dove ti indicherò". Ce lo indica lui dove dobbiamo andare: ad incontrare qualche cuore desolato, qualche volto triste, ma anche a portare gioia e speranza là dove è stata persa.
Liberi e capaci di scuotere la polvere dai sandali, capaci di restare se stessi: e se gli altri non accettano e rifiutano la Parola, allora non per questo gettiamo la spugna ma continuiamo a partire, andando altrove a cercare un cuore che ha sete di acqua che zampilla per la vita eterna. La nostra vera forza non sta dentro di noi ma fuori: sta nella potenza del Vangelo, nel desiderio di annunciare, nel pane che ci nutre, nel vino che riscalda il cuore. Gli applausi, le ovazioni, i ‘che bravo’ finiscono per fortuna e ci fanno capire che dobbiamo fondare la nostra vita su ben altro!
Noi siamo ancora convinti che tocchi al prete, qualche frate e suora e pochi addetti ai lavori annunciare il Vangelo; e accampiamo mille scuse del tipo: ‘non sono all’altezza, non ho studiato, non tocca a me!’ Siamo ancora Chiesa dietro le quinte, in sordina, ai blocchi di partenza anziché capace di partire libera verso il mondo o verso il mare aperto; siamo Chiesa che ancora fatica a lasciare il comodo porticciolo dove ci sono ancora le solite 4 barchette di amici e simpatizzanti, per avventurarsi in mare aperto dove ci sono tante incognite ma anche la possibilità di incontrare navi piene di gente che non ha ancora sentito l’annuncio o lo ha dimenticato, o cerca qualcuno che annunci la stessa Parola con gesti nuovi.
I discepoli ungono con olio gli infermi: versano l’olio della guarigione e della speranza. Siamo chiamati anche noi a curare chi è malato dentro, chi sta cercando un senso nuovo alla vita, chi incrociamo occasionalmente sulla nostra strada. Siamo chiamati non a custodire il passato, qualche bella tradizione, qualche festa come quelle di una volta, o qualche nostro ambiente o chiesa: siamo chiamati a cercare l’uomo, a uscire in strada, a dire con la vita e, se serve anche a parole, la gioia di un incontro che ci ha trasformato e che ci fa vivere leggeri, solo innamorati di una voce e in ascolto della vera parola che ci salva.
O Signore, tu per primo hai percorso le strade del tuo mondo per guarire chi era ammalato nel cuore; hai mandato i tuoi armati solo di te, del tuo sguardo, della tua fiducia, di bastone e sandali. Donaci lo stesso entusiasmo per continuare la tua missione nel mondo: la polvere dell’egoismo e della poca fede non si attacchi al nostro cuore e fa’ che fondiamo il nostro annuncio sulla roccia della tua Parola.
XIV Domenica del T.O. - 7 luglio 2024
Cosa vuole quello lì da noi?
Apparentemente quello di oggi sembra un vangelo insignificante, quasi banale: Gesù torna a Nazareth dove è vissuto per molti anni. Tanti lo riconoscono, sanno chi è per questo lo rifiutano e lo criticano: ‘Ma non è il falegname, il figlio di Maria? 'E’ uno di noi? Perché parla così? Chi si crede di essere?'
Ecco le parole e il pensiero dei suoi di Nazareth: credono che non sia un profeta perché non risponde all’idea di profeta che avevano in mente loro. E lo rifiutano! Gesù sentenzia: ‘Nessuno è profeta in patria’: nessuno è accolto tra i suoi quando fa qualche segnale di novità, quando fa riflettere, quando riporta all’essenziale, quando pone a se stesso e ad altri alcune domande forse scomode ma che aiutano.
Infatti non compì nessun prodigio.
Apparentemente è un Vangelo insignificante, in realtà rappresenta una svolta e un richiamo forte per tutti noi; sì perché anche noi abbiamo una nostra idea di Dio e guai a chi ce la tocca: anche noi abbiamo una idea di religione e guai a chi la mette in dubbio, come abbiamo una idea di insegnante, di medico, di politico, di prete, di catechista, di cristiano e tutto deve rientrare nei miei schemi, tutto deve sovrapporsi, coincidere, altrimenti mi giro dall’altra parte e non sto al gioco, punto i piedi, e mi lamento sognando un passato che in realtà è morto e sepolto.
Millenni fa i pesi venivano messi su gli animali o sugli uomini che dovevano trasportarli, poi qualcuno ha provato a trascinarli e ha notato che faceva meno fatica, o a metterli su una barca e lasciarsi condurre dalla corrente; infine qualcuno li ha messi su un tronco e ha visto che facendolo rotolare, un peso anche maggiore poteva esser trasportato più facilmente. La fatica, l’ingegno, la volontà di migliorare e il coraggio di cercare nuove vie, hanno permesso di inventare niente meno che la ruota. E la rivoluzione è iniziata.
Anche Marco con questo Vangelo inizia una rivoluzione!
La rivoluzione di un Dio che sconvolge i piani, cerca nuove vie, è il vero profeta rifiutato dai suoi amici e conoscenti ma accolto dagli ultimi, dagli improbabili da chi si fida di lui, da chi non si attendeva più nulla dalla vita, da chi non aveva una propria idea di Dio e di profeta per cui si lascia affascinare dal suo modo di fare.
Argomento quanto mai attuale nella Chiesa oggi, tra cristiani, spesso divisi come siamo tra chi segue un teologo o l’altro, una madonna o un’altra, un vescovo o l’altro, un prete o un altro e mettiamo prima le persone rispetto al tesoro che abbiamo tra le mani. Ci appassiona molto di più quel sacerdote, quella catechista, quell’educatore, quella chiesa rispetto al messaggio, al vangelo, a quella Parola di vita. Stupiti e ammirati da quel predicatore, ma incapaci di passare dalla ammirazione alla fede vera.
E’ come se di fronte a un quadro noi guardassimo solo la cornice e non l’opera d’arte, o se acquistando un buon vino, fossimo più attenti alla decorazione della bottiglia rispetto alla prelibatezza del suo contenuto.
Troppo distratti sull’essenziale, rischiamo di perderci il bello di questa Parola, di questo pane nuovo, i veri tesori posti nelle nostre mani.
Dice Stefano De martino: ‘Le nostre comunità si lamentano di essere sempre in pochi, e poi se arriva qualcuno di nuovo lo controlliamo a vista, diciamo: ‘ma chi è? Da dove viene? E’ di qua? Cosa vuole da noi? Ci infervoriamo per le Messe oceaniche o i pellegrinaggi ai santuari più in voga e poi non riusciamo a dare una mano al nostro vicino di casa di cui spesso a stento conosciamo il nome e la vita.'
Forse anche noi abbiamo incontrato qualche profeta anonimo, senza corso di laurea né aureola ma che con semplicità ci ha annunciato la Parola senza fronzoli, né mezze misure: magari anche noi lo abbiamo rifiutato ed evitato.
“Quando sono debole, e’ allora che sono forte”, dice Paolo ai Corinzi; cerchiamo una forza che non consiste nei muscoli, nel non chiedere mai, nel ‘meglio soli che mal accompagnati’ (o un uomo solo al comando); cerchiamo una forza che consiste nell’affidarci a lui, vero profeta, nella ipocrisia del nostro mondo.
O Signore entra nella vita della Chiesa, plasmaci a tua immagine e sapremo riconoscerti come il vero profeta; fa’ che a nostra volta diventiamo profeti e testimoni della tua presenza tra noi.
XI Domenica del T.O. - 16 giugno 2024
A piene mani
E’ di scena il regno di Dio. Gesù è venuto a iniziare, o meglio a dare compimento a ciò che il Padre aveva già iniziato da tempo. Qualcuno ha seminato tempo fa, quando noi non c’eravamo; ha seminato la Parola, la speranza, tanti gesti di pace e noi oggi ne godiamo i frutti. Non conosciamo chi ci ha preceduto nella Chiesa, nella nostra comunità, nelle famiglie, eppure ci hanno donato tutto ciò che abbiamo e che siamo.
E dobbiamo essere molto riconoscenti.
Ma soprattutto dobbiamo ringraziare il vero seminatore che getta il seme della sua Parola, del suo amore ovunque, sempre, senza tregua, anche là dove tutti gli dicono che non ne vale la pena; il seme arriva ovunque e prima o poi porta frutto, germoglia, in modo inatteso e insperato, quando meno te lo aspetti, il seme produce frutto.
Noi vediamo spesso i semi di morte, di dolore, di tragedia seminati dal male; ma il vero seminatore vede e semina solo semi di pace e speranza.
Lo sa bene un genitore, un educatore: semina per anni, si aspetta qualche germoglio e non arriva, si aspetta che quel ragazzo, finalmente capisca qualcosa ma niente, i frutti non arrivano. Poi, all’improvviso, quando meno te lo aspetti spunta qualcosa, un sorriso, un gesto di aiuto, un regalo, due parole più serene: il seme seminato per anni e decenni ha prodotto frutto.
Certo ci vuole pazienza, e speranza: ci vuole tenacia e credere nell’opera del seminatore che prima o poi porta frutto.
Il regno viene da solo, non è merito nostro: noi creiamo le condizioni ma la forza sta nel seme: dobbiamo semplicemente limitare i danni, non complicare le cose, spianare la strada alla forza del seme, alla forza della sua Parola.
Ma il vero problema è un altro: ‘io che terreno sono? Come accolgo quel seme? Quanto desiderio ho di accoglierlo, di farlo nascere, di custodirlo in me e dunque di diventare diffusore di quel seme?’ Quanto sono disposto a rendermi casa accogliente per la Parola che salva, quanto ne sento la novità, la freschezza, la bellezza?
Troppe ansie, a volte abbiamo noi credenti, troppo desiderio di avere tutto e subito, di attendere i risultati che vogliamo noi, i tempi che vogliamo noi e insegniamo a Dio come deve fare, allo Spirito santo dove deve soffiare. Crediamo di sapere tutto noi.
L'altra immagine è quella del granello si senape, piccolo ma non il più piccolo tra i semi, germoglia e diventa un grande albero, enorme, inatteso e accoglie addirittura gli uccelli che nidificano. Quel seme è partito 2000 anni fa da un maestro inerme, povero, docile, misericordioso, è partito dal sì di 12 inesperti, presi qua e là, è partito dai primi cristiani che hanno sfidato il grande impero romano, è partito da tanti piccoli grandi santi e ed è diventato un albero immenso, con tanti rami e radici profonde. Tocca a noi prendere qualche seme di quell’albero e diffonderlo, seminarlo altrove, diventare seminatori di speranza ovunque.
Gesù, vero seminatore, tu non ci prometti raccolti abbondanti, chiese piene, conversioni immediate, miracoli che ci piacciono tanto: ci prometti ancora di più: che ci sarai sempre, che semini ancora, che quel seme ha una forza grandiosa e che noi dobbiamo accogliere quel seme in noi, esserne gelosi custodi e seminarlo a piene mani, senza aspettare i frutti ma solo desiderosi di imitare il tuo gesto, la tua passione nel portare quel seme a ogni sorella e fratello. Grazie per ogni volta in cui ci regali la tua Parola e il tuo pane: non abbiamo bisogno di altro: ci basta solo osservare te che a piene mani non risparmi nulla e ci regali i tesori del tuo amore.
X Domenica del T.O. - 9 giugno 2024
Fuori per andare dentro... al cuore
E’ Fuori questo Gesù: fuori di testa, fuori dagli schemi, fuori dal tempio per raggiungere tutti, fuori in preghiera per stare con il Padre, fuori dalla sua famiglia di origine, fuori per incontrare chi è stato buttato fuori da un gruppo, dagli amici, per condividere la sorte di chi non può decidere se stare dentro o fuori!
All’inizio del vangelo di Marco Gesù parte in quarta: trasgredisce il comandamento più grande, quello del sabato, guarisce i lebbrosi, caccia via i demoni. Scribi e farisei tramano già di farlo fuori: un Messia così era dirompente, rompeva gli schemi della loro falsità. Dava fastidio perché parlava di Dio in un modo nuovo, come un Padre. E poi chiama i 12: sceglie i più lontani, i più improbabili senza studio, senza fede, senza onore; parte dalla periferia per arrivare al centro, al centro del cuore! Non i migliori ma i più bisognosi: la Chiesa non è composta dai primi della classe ma dai più bisognosi, dai meno adatti, ricordiamocelo. La Chiesa è nata così, da un Dio che sceglie i suoi non per i meriti ma perché capiscano che li accomuna il suo amore, la chiamata, quello sguardo che li ha raggiunti e trasformati. Noi cristiani siamo legati insieme non dalla parentela, dal tifo per una squadra, o dal territorio che abitiamo ma da una chiamata, dal fatto che lui ci ha scelto, siamo uniti da un incontro, dalla sua Parola nuova: questo ci unisce e ci salva!
In questo terzo capitolo, Gesù e i suoi non riescono neppure a mangiare talmente la folla li accerchia: e questo da fastidio a scribi e farisei che lo accusano addirittura di essere alleato con satana, il divisore. Ma Gesù ribalta il discorso e parla di Spirito santo: ‘Tutto sarà perdonato agli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo non sarà perdonato’ .
Cosa significa bestemmiare contro lo Spirito santo? Significa che la vera bestemmia è quella che dici col cuore, i veri tradimenti sono quelli fatti col cuore, il vero rifiuto di Dio è quello fatto col cuore quando, dopo tutto quello che ha fatto per noi, diciamo: ‘No grazie, non mi interessa, ho altro da fare’ e pretendiamo di insegnare noi cristiani, noi credenti allo Spirito che cosa deve fare. Bestemmia contro lo Spirito santo vuol dire rinnegare ciò che hai ricevuto, sputare nel piatto in cui hai mangiato, rifiutare la vita nuova che hai dentro, nel cuore.
Continua Marco: ‘Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo’. Chi sta veramente fuori non è Gesù ma sua madre e i suoi fratelli che non vogliono aver a che fare con quei pezzenti che Gesù ama. Assomigliano tanto a qualcuno che dice: ‘Io con quei ragazzi lì non voglio aver niente a che fare; quelli là non sono dei nostri; quelli lì non meritano niente. Chi è davvero fuori? Forse noi che ci sentiamo dentro la Chiesa, fin da bambini, da sempre, che facciamo tanto, ma Gesù ci direbbe: ‘Stai attento perché proprio perché ti senti ‘dentro’, significa che rischi di essere fuori, fuori dal mio abbraccio, dalla mia Parola perché dai più importanza alle tue parole che alle mie’.
Infatti quando gli dicono: ‘Ci sono fuori tua madre e i tuoi fratelli che ti cercano’, Gesù risponde: ‘Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?’ ‘Chiunque fa la volontà...’
E Maria ha capito che da madre, doveva diventare serva, discepola, credente per stare vicino a quel figlio Messia.
Solo se facciamo la volontà del Padre, possiamo dirci davvero sorelle, fratelli, madri, padri di Cristo: solo se lo seguiamo nella nostra vita, possiamo creare una nuova famiglia, un nuovo popolo, un legame nuovo ancor più forte del sangue; non vuol dire che rinnego la famiglia ma significa inserirsi in un'altra famiglia, più grande dove il vero legame è essere chiamati da lui e seguire la sua Parola.
‘Dove sei?' Chiede Dio ad Adamo nella Genesi: e lui, Dio va fuori per raggiungere Adamo ed Eva che erano fuori in cerca di libertà. E Paolo nella seconda lettura ci invita a ‘fissare lo sguardo sulle cose invisibili’ quelle più vere, quelle dentro per diventare fratelli e sorelle del Maestro.
O Dio vivo, fuori, fuori come un balcone, fuori dove c’è un povero da soccorrere, un abbraccio da donare, dove c’è una speranza da portare; insegnaci l’arte di essere anche noi un po’ fuori per incontrarti, fuori perché tu sei un Dio che va fuori, nel mondo per annunciare a tutti la salvezza, fuori per salvarci e per salvare! Saremo tuoi fratelli, sorelle, madre se al centro avremo messo la tua Parola e la tua chiamata ad andare... FUORI.
Santissima Trinità - 26 maggio 2024
Lascia il segno!
I misteri della Chiesa sono immensamente difficili oppure immensamente semplici. Difficili se cerchi di capirli, di dimostrarli, di farli tuoi; semplici se ti fidi, se ti lasci andare, se accogli il più grande di te, il Dio infinito, il Dio amante. Trinità vuol dire modi diversi in cui lo stesso Dio ci ama: volti diversi, ruoli diversi che convergono intorno al mondo, alla Chiesa pe r accompagnare e stare accanto nel cammino della vita.
Come in una famiglia, pur nella diversità dei ruoli, tuttavia si è una cosa sola, una comunione di vita: anzi nella Trinità c’è la gioia di condividere, scambiarsi la propria essenza e donarsi quell’amore che ci salva e affascina.
Trinità è l’esperienza di un amore folle e senza misura: non è tanto il famoso triangolo, un tempo simbolo di Dio trinità, neppure il forcone con 3 punte, nemmeno sole, raggio, calore sulla pelle, ma Trinità è abbraccio, è incontro, è eliminare barriere e ostacoli, è raggiungere i lontani, è fare come Maria che corre da Elisabetta a annunciare la bella notizie dell’attesa di quel Figlio, è partire senza indugio come i 2 di Emmaus, è lo slancio della prima Chiesa che corre in ogni angolo e vince la paura, rischiando la vita e domandola come i martiri.
Trinità è creare amicizie e legami là dove non ci si guarda più, è salutare ancora quel parente, è cercare ancora quel ragazzo mezzo sbandato, è uscire dalle nostre case troppo comode; trinità è allacciare nuove amicizie, mettere radici là dove vivi, perché ogni terra è terra santa, luogo che Dio ha scelto per sua dimora.
Trinità è là dove 2 o 3 si incontrano, si vogliono bene, fanno nascere qualcosa di bello: lì è la trinità, lì si rivela Dio, lì la famiglia del Padre, del Figlio e dello Spirito santo si uniscono e accolgono anche noi nella loro famiglia.
Curioso che Matteo dica: ‘I discepoli si prostrarono, però dubitavano’. Il dubbio li accompagna sempre e ci accompagna sempre. Il problema non sta nella rivelazione del mistero: il problema sta nella nostra poca fede che fatica a cogliere il mistero; come il problema non sta nel sole ma negli occhi ammalati di chi non vede.
Dice ancora Matteo: ‘Fate discepoli battezzandoli (immergendoli nell’amore sconvolgente di Dio) nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito, insegnando…’ Insegnare significa fasciare un segno: stupendo. La Trinità lascia il suo segno in noi che siamo a immagine di Dio perché noi lasciamo un segno nel cuore di tante sorelle e fratelli: il segno di un amore che supera ogni violenza, ogni odio e trasforma il male in bene.
O Trinità, mistero di un Dio folle di amore, lascia un segno nella mia vita, traccia un solco nel mio cuore affinchè diventi capace di spendersi e portare l’intimità della famiglia di Dio nel mondo; immergimi nel mare del tuo amore per rinascere a vita nuova libero e innamorato, capace di trasformare ogni gesto di morte in alba di vita nuova.
Domenica di Pentecoste - 19 maggio 2024
Vento che demolisce e fa risorgere
Ci siamo, lo Spirito arriva: accoglilo, apriti, lasciati accendere dal suo fuoco, lasciati sconvolgere da quel vento impetuoso che libera il tuo cielo da pensieri tristi, lascia che ti parli perché tu possa parlare le lingue nuove dell’uomo di oggi.
Gesù risorto, asceso al Padre ti toglie stampelle e rotelle per diventare protagonista, senza dimenticare di restare un tralcio unito alla vera vite: dona lo Spirito, che ti parla, ti accende, ti trasforma in sorella, fratello per chiunque, senza distinzioni e differenze. E ti ricorda, questo Spirito, che tu sei destinato al cielo, all’eternità, sei destinato a far risorgere ogni gesto di bellezza che hai donato al mondo.
A volte parlando con qualcuno, salta fuori la domanda: qual è il segno più evidente che Gesù è risorto? La tomba vuota? Le bende piegate? La sua assenza nel sepolcro? Le apparizioni? No, il segno più grande è la fede, la gioia, la forza degli undici prima impauriti e poi coraggiosi, trasformati dallo Spirito. ‘Andate - dice il Signore - il mio Spirito sarà sempre in voi per suggerirvi come vivere nel mondo'. Ogni volta che rifiuti lo Spirito, emerge la paura; ogni volta che hai coraggio di parlare, di amare, di perdonare, vuol dire che lo Spirito abita in te.
Che cosa è, chi è questo Spirito santo? Qualcosa studiato a catechismo? Una invenzione? Non si vede, non si sente… Anche l’amore per la tua famiglia, per le persone che hai nel cuore non si vede, eppure ti fa vivere, ti fa fare sacrifici immensi, ti da forza, ti fa spostare le montagne. Così lo Spirito, come l’aria che respiri, come l’acqua che ti disseta, come il calore di una festa tra amici: capisci quanto sono importanti quando sei in affanno e non hai l’aria, o quando sei in montagna dopo ore di cammino, e non hai più acqua, o quando sei stato abbandonato, trascurato, isolato e ti manca quell’abbraccio, quei sorrisi, quei giochi insieme.
Lo Spirito è la forza di vedere il mondo, i fatti, gli altri con occhi nuovi, con la sapienza che ha un certo sapore e da sapore alla vita, con l’intelletto che ti fa leggere la presenza di Dio nei fatti, con la pietà di chi risponde bene al male ricevuto: così è nata la Chiesa, guidata da questa forza invisibile agli occhi, ma non al cuore.
Abbiamo un grande compito, sorelle, fratelli: accogliere lo Spirito, lasciarci inondare, lasciarci trasformare per rinnovare il mondo; tante volte la Chiesa si è posta contro il mondo, si è separata, a volte accusando, giudicando pensando di avere l’unica verità in tasca. Oggi è il momento in cui la Chiesa deve cercare nei fatti, nella vita della gente i segni che lo Spirito ha già seminato da tempo. Dobbiamo andare a cercare i suoi segni vivi nella storia, nel tempo, in ciò che accade ogni giorno.
Alcuni passaggi del testo sono illuminanti: ‘Si trovavano tutti insieme nello stesso luogo’: non conta il luogo, conta INSIEME: uniti come in uno stesso corpo, una cosa sola. Non perché non c’è nulla che ci distingue, ma perché c’è l’infinito che ci unisce, lui lo Spirito santo !
"Come di vento che si abbatte gagliardo": il vento scompiglia , butta per aria, invade, non lo fermi! Alcuni Stati senza libertà hanno bisogno di un uragano per buttare giù i potenti e concedere libertà e futuro. Ma anche noi abbiamo bisogno di un vento forte che demolisca un modo di fare e pensare vecchio e ripetitivo, una fede ammuffita, una religione senza incontro con la Parola di Dio, una preghiera che è sterile e lascia tutto come prima. Il vento impetuoso non lascia tutto come prima ma pulisce l’aria, rinnova e dopo il vento il cielo è limpido e riesci a vedere ciò che prima pensavi che non esistesse!
O Spirito santo, così sconosciuto per noi, così vivo in noi: abbiamo bisogno di sentirci inondati da te, rinnovati, purificati, abbiamo bisogno che tu ci faccia vedere il cuore e il futuro dei nostri amici per parlar loro del tuo amore, della tua forza. Abbiamo bisogno di sentirci più uniti in un mondo pieno di divisioni. Abbiamo bisogno che tu ci aiuti a ‘portare il peso’ del nostro peccato, del futuro e della storia. Abbiamo bisogno oggi e sempre di lasciarci trasformare dal tuo vento per buttar giù una Chiesa traballante e ripiegata sul passato e per diventare una comunità nuova, capace di cogliere le sfide del mondo e rispondere con il soffio del tuo amore.
Ascensione del Signore - 12 maggio 2024
Niente stampelle
‘Uomini di Galilea perché state a guardare il cielo?’ Dice Luca negli Atti degli apostoli. Guardate la terra perché Dio ha guardato la terra, ha incontrato ogni donna e uomo, ha lavorato, ha sudato, ha gioito e ha pianto, ha abbracciato, ha guarito: non ha contemplato il cielo e parlato solo con il Padre. Allora anche noi guardiamo la terra, questa terra, questi volti, queste sorelle e fratelli da amare, da accogliere, da perdonare.
Eppure ci piacerebbe tanto, come sarebbe piaciuto agli apostoli che Cristo rimanesse tra noi a guidare la Chiesa, a vincere i nemici, un generale che non abbandona la truppa, che sta sul pezzo, che rimane ad annunciare il Vangelo: sarebbe tutto più semplice, avremmo più autorità, saremmo più ascoltati, poi tutti lo vedrebbero vivo, risorto, sai che colpo di scena! Non ci sarebbero dubbi e molti si convertirebbero; chiese piene, tutti a catechesi, tutti leggerebbero il Vangelo, tutto risolto. Magari sarebbe vinta la povertà del terzo mondo, i capi non farebbero più guerre, ci sarebbe la pace… Più tolleranza, rispetto, tutto più facile.
O no?
Dio fa con noi come un bravo medico che ad un certo punto dice al paziente. 'E’ ora di abbandonare la stampella!' O un bravo insegnante che affida un lavoro impegnativo allo studente dicendo: ‘Ce la puoi fare, sei all’altezza’. O un bravo papà che ad un certo punto toglie le rotelle alla bici della figlioletta: ‘Dai vai da sola; se cadi ti rialzo io, così pian piano impari’. O una brava mamma che dice al figlio ormai cresciuto: ‘E’ l’ora di andare, perché non affitti un appartamento, hai già la ragazza, vai, è l’ora di essere più indipendente da me e dal papà!’ O un bravo prete che, dopo essere andato via dalla parrocchia, lascia liberi i suoi ragazzi e dice loro: ‘Adesso tocca a voi camminare senza rotelle, senza di me: fate le vostre scelte, imparate a testimoniare voi ciò che avete imparato’ e ha il coraggio di tagliare il famoso cordone ombelicale.
Dio ci toglie stampelle, rotelle, toglie la comodità del letto rifatto, dei vestiti lavati e stirati dalla mamma. E dice agli apostoli e a noi: ‘tocca a voi’ io non sono la tua stampella. C'è bisogno di guardare la terra, c’è bisogno di gente nuova, c’è bisogno di risorgere per continuare a vivere come ha fatto Gesù, c’è bisogno di qualcuno che lavi i piedi al posto di mio figlio, qualcuno che annunci la bella notizia, qualcuno che stia in mezzo ai ragazzi, qualcuno che parli al cuore della gente, qualcuno che dica che è bello essere cristiani, non è un vincolo ma una gioia. Io ci sarò sempre in voi e nel mondo, ma in modo diverso.
C‘è bisogno di qualcuno che dica : ‘Mi prendo a cuore io questa cosa, questo compito nella comunità’. Non abbiamo bisogno di stampelle ma abbiamo solo bisogno di ricevere lo Spirito che ci renda nuovi, di qualcuno che non dica: ‘Questo compito spetta al prete, al catechista, a quella brava nonna, l’ha sempre fatto lei!’
Invece satana ci suggerisce all’orecchio: ‘Non tocca a te, non fidarti, hai tante cose da fare. E poi perché proprio te? C’è tanta gente… Cominci qualcun altro.'
Sorelle, fratelli: oggi si gioca il futuro della Chiesa, il futuro di qualche sorella, fratello che cerca un credente risorto, cerca un po’ di speranza, cerca una mano tesa, cerca parole nuove e qualcuno che tocchi il cuore; oggi in attesa dello Spirito, guardiamo la terra perché Gesù è venuto a portare il cielo qui sulla terra. Oggi vogliamo parlare lingue nuove, le lingue di chi è solo e ai margini della vita, vogliamo scacciare i demoni dal cuore nostro e di amici e nemici, oggi vogliamo guarire dal nostro egoismo e far guarire dalla durezza di cuore. Oggi però vogliamo anche contemplare il cielo dove siamo destinati, dove il Maestro ci precede, dove sarà la nostra meta finale.
O Signore, Dio asceso accanto al Padre. Vogliamo ritornare alla terra come esperti contadini che pazientemente attendono che il seme germogli; toglici qualche comoda stampella perché siamo capaci di farcela da soli, ispirati dal tuo Spirito e tocca a noi annunciare la gioia di averti incontrato. Lo Spirito della Pentecoste ci faccia prendere sul serio il nostro ruolo: il Battesimo che abbiamo ricevuto ci dia forza e autorità per essere i nuovi apostoli, i nuovi testimoni, i nuovi missionari della sua presenza nel mondo.
VI Domenica di Pasqua - 5 maggio 2024
Lasciati amare!
‘Alzati, anch’ io sono un uomo’ dice Pietro al centurione Cornelio negli Atti degli apostoli. Adora Dio non me. Qualche idolo ce l’abbiamo anche noi nel cassetto, pronti a tirarlo fuori, lucidarlo e adorarlo, mettendo da parte il vero Dio, troppo scomodo, troppo esigente! Ma dopo questo, Pietro battezza tutti, ebrei e romani, perché lo Spirito era disceso su tutti, dunque tutti possono diventare cristiani, perché amati da Dio padre.
Giovanni nel suo Vangelo denso e ricco ci parla dell’amore: ‘rimanete nel mio amore’. Parla anche di gioia: ‘Vi dico queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena’.
Siamo al cuore della nostra fede, al cuore di Dio, che tocca il nostro cuore; nessuno mai avrebbe immaginato un Dio che ci fa la dichiarazione di amore, che si mette in ginocchio davanti a noi per lavarci i piedi, che si prende cura, che si china e dona la vita, senza riserve.
Dio è solo da ricevere, da accogliere, da lasciar entrare nella vita, nei polmoni come un respiro profondo, come un sorriso della persona che ami, come un abbraccio dopo anni di lontananza.
Il primo grappolo attaccato alla vera vite: LASCIATI AMARE, non reagire, non pensarci troppo, buttati come quando ti tuffi in acqua: più ti lasci andare e più l’acqua ti sostiene, più ti irrigidisci e più vai a fondo. Così è con l’amore di Dio: lasciati andare fidati e sarai ricco della sua gioia. E’ più difficile lasciarsi amare che amare: per lasciarti amare devi capire di aver bisogno di quel gesto d’amore, invece di solito pensiamo che gli altri abbiano bisogno di noi!
Secondo grappolo: amare vuol dire ACCETTARE LA CROCE. Accettare di non capirci più niente, accettare di spogliarsi e diventare vulnerabili, abbassare la guardia che di solito teniamo ben alta. Troppo abusata questa parola, troppo messa in tutte le salse. Nessuno dice che l’amore non è un sentimento ma una scelta, una decisione, un cammino con mille difficoltà per costruire qualcosa di grande, di più grande di noi. Amare vuol dire rimanere, non scappare, restare attaccati a Dio che ti ama e ti insegna ad amare senza misura.
Terzo grappolo: DAI LA VITA. ”Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Più doni e più ricevi, più ti spendi e più guadagni, più apri le mani e più possederai il cuore di sorelle e fratelli. ‘C'è più gioia nel dare che nel ricevere’ ha detto ancora Gesù.
Abbiamo bisogno di gesti, di parole, di fatti per dimostrare questo amore, abbiamo bisogno di contemplare i gesti di Dio per noi per poter imparare a vivere secondo questo amore. L’unico modo per amare è sentire che sei amato da sempre, l’unico modo per perdonare è sentirsi perdonato: sei attaccato a una catena che non ti opprime, ma ti salva quando stai per cadere nel mare in tempesta e allora cerca di tenere attaccata a quella catena quel tuo fratello che sta precipitando.
Un proverbio indiano dice : ‘tutto ciò che non è donato è perso’! Quindi tutto ciò che è donato, è guadagnato per l’eternità!
O Dio amante dell’uomo, insegnaci ad amare come te, senza misura anche quando l’altro non merita il nostro amore e nemmeno la nostra attenzione o solo il saluto: agli occhi del mondo questa è debolezza, ai tuoi occhi è la vera grandezza, è il vero modo di rispondere alla tua chiamata, è il vero modo per essere tuoi figli.
V Domenica di Pasqua - 28 aprile 2024
Rimani!
Nei vangeli del tempo di Pasqua stiamo compiendo un cammino: prima Tommaso che pronuncia la prima professione di fede; poi i dubbi degli apostoli che credono di vedere un fantasma mentre Cristo dona la sua pace; in seguito il bel pastore che offre la vita a differenza del mercenario e oggi la vite vera, mentre noi siamo i tralci potati per portare frutto.
Stiamo camminando per imparare a risorgere ogni giorno dalla paura alla fede, dal buio alla luce, da una vita chiusa nel sepolcro a una vita fiorita per diffondere il profumo di Cristo e della sua Parola.
Oggi Gesù ci ricorda che la vite vera è lui in cui scorre la linfa dello Spirito santo che fa germogliare, fa crescere, porta frutti di amore nel mondo. Dobbiamo solo restare uniti, attaccati a quella vite, non separarci, non spezzare il legame ma anzi curarlo bene e poi diffondere, lasciar passare e diffondere la linfa della grazia, della sua amicizia: più diffondi quella grazia, quella pace e più ti arricchisci!
Però a volte c’è anche la potatura: i rami vengono tagliati per far crescere meglio, per fare in modo che la vite cresca, maturi e i frutti siano abbondanti. Non è Dio che fa la potatura, non è lui responsabile se siamo potati, messi alla prova, se qualcosa va contro i nostri progetti, ma è la vita stessa. Fa parte del vivere questa potatura: Dio, questo saggio vignaiolo ci aiuta a vivere ogni potatura come occasione per crescere, per maturare, per portare altri frutti magari là dove non penserei mai, per risorgere sempre, per diventare a immagine e somiglianza di questo vignaiolo esperto in umanità. L’alternativa è che io consideri me stesso come la vite, che pensi solo ai miei tralci, i miei frutti e che tutto finisca lì senza pensare ad altro, per poi magari protestare se l’acqua alle radici non arriva, se il sole non riscalda, se il terreno non è fecondo. Il Signore ti chiede di entrare nel circolo del suo amore, di pensare in grande, di fidarti per portare frutti speciali oggi e domani; ti chiede di non pensare solo al tuo orticello ma di credere che tutto il mondo è la vigna che Dio cura con amore e che suo figlio per primo è stato potato per portare frutto in noi, nella Chiesa, nel mondo.
Lasciati potare dalla vita, ma impara da questo vignaiolo che ogni potatura, pur nella fatica, è occasione per rinnovarti e diffondere la sua fragranza la dove c’è solo puzza di morte. Lasciati potare e sarai fecondo, la tua vita sarà contagiosa e l’abbraccio del ‘bel’ pastore si diffonderà attraverso di te, nel cuore di tante sorelle e fratelli.
C’è un verbo che domina l’intero brano: è il verbo ‘rimanere’. Rimanere ha il sapore di famiglia, di intimità, di amicizia: ce lo insegnano i nostri ragazzi che su qualche panchina, o in oratorio o sotto qualche portico passano interi pomeriggi e serate apparentemente oziosi senza far nulla, in realtà rimangono uniti, insieme, collegati in un’unica vita, uniti dalla linfa che scorre tra loro; ce lo dimostrano gli innamorati che dai loro sguardi, fanno trasparire quella comunione quel desiderio di essere una cosa sola.
Questa vite ti propone di rimanere in lui, di restare unito, di sentire la sua linfa che ti scorre dentro, capire che l’incontro con lui, che la sua parola, la preghiera ti danno forza e speranza per vivere da risorto e portare frutto sempre.
O Dio vignaiolo sapiente che infondi la linfa del tuo Spirito in ogni creatura, fa’ che sentiamo il desiderio di te, del tuo abbraccio, e di essere illuminati dalla tua luce nuova; in ogni potatura che la vita ci riserva fa’ che restiamo ancora più uniti a te e impariamo a fidarci meno delle nostre idee e più della tua sapienza.
IV Domenica di Pasqua - 21 aprile 2024
Questione di recinti
Stupendo il buon pastore, o meglio il BEL pastore (traduzione corretta): sì perché Dio non è buono, è bello! Suona strano perché noi quando pensiamo al bello, pensiamo al corpo, all’esteriorità e diciamo: non conta essere belli o brutti conta fare del proprio meglio. Anzi sembra che il ‘bello e dannato’ sia un concetto che appartiene al demonio.
Invece Dio è bello perché ti conquista il cuore, Bello perché vede il bello che c’è in noi, non il brutto, bello perché ti affascina non con sguardi ammiccanti ma perché ti ama.
Nell’incontro del consiglio pastorale abbiamo letto l’introduzione della esortazione apostolica EVANGELII GAUDIUM, un caposaldo del magistero del papa: la gioia del Vangelo! Ci siamo soffermati su una affermazione: ‘La Chiesa si diffonde non per proselitismo ma per attrazione’. Che fatica! Molto meglio il proselitismo, molto meglio dare ordini e comandi, meglio il ricatto: più facile, più veloce, più efficace. Per troppi secoli le chiese sono state riempite per proselitismo, incutendo la paura dell’inferno, del peccato, del diavolo: e la gente correva non perché si era convertita ma perché aveva paura o era abbindolata! Per troppo tempo la Chiesa ha dimenticato il Vangelo!
Oggi non è più così e abbiamo un’altra paura, che le chiese si svuotino, che i nostri ragazzi non partecipino più, che dopo il famoso catechismo ci sia il fuggi fuggi. Altre paure! Anziché 100 conquistati per proselitismo, meglio solo uno che si converte per attrazione, perché ha incontrato dei cristiani gioiosi, sereni, aperti, belli non perché giovani, aitanti e muscolosi o ragazze top model, ma perché belli nell’incontrare altri, nel prendersi cura, nel restare uniti, nel diffondere pace e speranza, nel creare un mondo più umano, nel cercare sempre il bello negli altri.
Il bel pastore non ha paura e anch’egli attrae: lui conosce le pecore, ci conosce , ci chiama per nome. Non sempre però noi lo riconosciamo e lo chiamiamo per nome. Spesso abbiamo altri pastori: il potere, l’indifferenza, la chiusura, i nostri idoli, il lavoro, la carriera, i nostri hobbies.
Ma dice un’altra cosa questo bel pastore che non è mercenario ma pastore perché da la vita per le pecore! Dice: ‘Ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare’. Questo pastore allarga gli orizzonti, abbatte i recinti e cerca e ama tutte le pecore, anche quelle più refrattarie e pigre che non ne vogliono sapere di seguirlo: lui le considera sue, soprattutto quella smarrita. Smarrita nelle spirali di odio, smarrita dietro a ideologie di morte, smarrita nel vortice della delinquenza, smarrita nella smania di avidità e di possesso.
E invita noi a buttar giù qualche recinto. La Chiesa spesso ha innalzato recinti dicendo: 'tu non sei dei nostri, tu sei diverso, tu non segui la retta via…’. Invece il bel pastore ci invita a cercare altre sorelle e fratelli, ci invita uscire e a capire che proprio là dove non te lo aspetti, lui ha già seminato il suo amore, la sua Parola, i suoi semi di fede.
Azzurra non ce l’ha fatta ! O meglio, sì! Azzurra era una ragazza dolce e serena che dopo la laurea con 110 e lode scopre di avere un tumore al seno. Viene operata nel 2019, guarisce. Tutto bene. Nel 2022 si sposa a Oderzo (Treviso) con Francesco. Rimane incinta ma il tumore ritorna, aggressivo e violento: lei decide di sospendere le terapie perché la vita di Antonio conta molto di più. Nasce sano suo figlio frutto di un amore senza confini, ma lei muore poco dopo. Il Vescovo nell’omelia ricorda: ‘Non c’è amore più grande di questo, dare la vita per gli amici’.
Il titolo di Avvenire è: ‘Azzurra ha scritto una pagina di Vangelo!’ Azzurra ha seguito il bel pastore, ha riconosciuto la sua voce in mezzo ad altre voci che le dicevano di lasciar perdere. Ha amato quel figlio ancor prima che nascesse e ha amato la vita oltre ogni limite.
O Signore bel pastore, insegnaci a riconoscere la tua voce, la tua Parola e a seguirla per diventare noi stessi pastori; molto più facile essere mercenari magari travestiti da pastori. Tu solo ci doni l’arte di abbattere qualche steccato e recinto che sembra proteggerci, in realtà ci impedisce di trovare i segni del tuo amore che hai seminato nel cuore di tante sorelle e fratelli.
II Domenica di Pasqua - 7 aprile 2024
'Signor mio e Dio mio'
Domenica ‘in albis depositis’: nei primi secoli, per 8 giorni i nuovi battezzati indossavano la veste bianca segno della vita nuova che avevano iniziato. E la toglievano la domenica dopo Pasqua: la loro vita era cambiata: non più adorazione di idoli, della statua dell’imperatore, non più violenza, non più sottomissione di schiavi o azioni contro il matrimonio, ma una vita coerente col Vangelo. Risorti a vita nuova!
Regna ancora la paura tra i discepoli: i Romani erano forti, presenti ovunque e farisei e scribi erano pronti a denunciare i seguaci della nuova religione: l’aria era pesante per i cristiani.
In pellegrinaggio a Roma con i 14 enni abbiamo visto il Colosseo oggi simbolo della Roma imperiale, mentre nei primi secoli è stato teatro di angoscia, torture, violenza verso i cristiani che vi hanno trovato la morte: bruciati, crocifissi, dati in pasto agli animali feroci, costretti a combattere contro i gladiatori per far divertire l’imperatore, il senato e tutto il popolo. Non dimentichiamo la storia, raccontiamolo ai ragazzi: siamo nati da quel sangue, da quei testimoni che hanno trovato in Gesù una nuova fede, un modo nuovo di affrontare la vita. Il sangue di quei martiri è diventato seme di nuovi cristiani!
Gesù appare la sera di Pasqua e Tommaso non c’era. Ma c’erano gli altri ai quali Gesù dona la pace: non è solo un augurio che ti vada tutto bene come pensiamo noi. Non solo deporre le armi, ma una felicità diffusa nel cuore, una sensazioni di serenità profonda, un desiderio di intimità con tutti: solo l’incontro con questo Signore risorto ci da la pace vera quella profonda, che non passa e che le preoccupazioni della vita non ti possono togliere. ‘Occupati ma non preoccupati’ dicevo a qualcuno nelle confessioni prima di Pasqua: occupati a vivere, amare, donarsi, occupati a risorgere anche noi ogni giorno non preoccupati, perché i cento problemi che abbiamo diventano mille e diventano giganteschi se non li guardi con l’occhio di Dio e della fede; se invece li guardi attraverso il Vangelo, attraverso la luce della resurrezione, allora ti sembrano più piccoli e sopportabili.
Belle le vostre confessioni a Pasqua: tante fatiche ma anche tante gioie e il desiderio di cercarlo e amarlo questo Dio che sembra lontano, invece ce l’hai dentro nel cuore.
Cos’è questa resurrezione? Una magia? Una storiella tramandata da qualche invasato? Un miracolo? Una cosa irreale, impossibile? (Siamo seri e razionali per favore!) . Non pensare tanto a Cristo, alla sua resurrezione: tutta la sua vita era già risorta prima di essere ucciso, non pensare a un prodigio, che solo Dio può fare, non pensare tanto a Gesù che esce dal sepolcro con la bandiera della vittoria in mano e le guardie accecate dal bagliore come tanti pittori hanno dipinto! Pensa alla novità del Vangelo, alla sua vita orientata al Padre e agli ultimi, pensa a Maria di Magdala che lo cerca trepidante il mattino di Pasqua, pensa alla corsa di Giovanni e Pietro dopo l’annuncio di Maria, pensa ai 2 di Emmaus che dopo averlo incontrato e riconosciuto allo spezzare il pane, tornano di corsa a Gerusalemme, pensa alla adultera perdonata e risorta, pensa a te e ai tuoi traffici che puoi far risorgere se ti lasci andare come quando ti tuffi in acqua. Più ti agiti e prima anneghi, più ti abbandoni e più l’acqua ti sostiene: così è la fede.
Resurrezione per te è come questa primavera prodigiosa per gli alberi e i fiori: non la vedi ma ti fa scrollare di dosso l’umidità dell’inverno e ti fa correre nel sole a respirare aria nuova.
Anche Tommaso respirava aria nuova che non vedeva ancora nei suoi amici, negli altri discepoli. Avrà pensato: ‘ come posso credere alle vostre parole dopo che avete abbandonato il maestro? Come posso fidarmi di voi’?
Ma 8 giorni dopo, Tommaso farà la sua straordinaria professione di fede: ‘Signor mio e Dio mio’. Poche parole per indicare che non avrà bisogno di toccare le ferite, ma gli basta la primavera che Gesù aveva seminato nel suo cuore: e risorge anche lui, per sempre.
O Signore, ho bisogno di una pace vera che nessuno mi può dare: solo dal tuo abbraccio, dal tuo sguardo posso riceverla. Solo se risorgo ogni giorno posso capire la tua resurrezione: non esistono spettatori con te ma solo pellegrini, viandanti, cercatori della tua presenza e dei segni della tua resurrezione nel mondo. ‘Signor mio e Dio mio’ sia la mia supplica in questa tempo di Pasqua e ogni momento in cui troppe nubi offuscano il mio cielo: solo affidandomi a te posso desiderare, attendere il sole e rifiorire nella primavera dello spirito.
Pasqua di Resurrezione - 31 marzo 2024
Risorgi da vivo, non da morto!
Alcuni volti, alcune immagini ci hanno accompagnato in questa Quaresima. Il centurione che riconosce Gesù come figlio di Dio in croce, il velo del tempio che si squarcia perché non esiste più il luogo di Dio e il luogo dell’uomo, il sacro e il profano, ma tutto è di Dio, lui abita ogni luogo e ogni cuore non per giudicare o comandare ma per donarsi a tutti. L‘agnello è immolato, è sacrificato: non più l’agnello che nella notte di Pasqua aveva salvato il popolo ebraico dalla morte, ma il sangue del nuovo Agnello che si dona a noi come agnello in mezzo ai lupi per mostrarci come si fa ad amare davvero! Infine Giuda traditore, ma sempre uno dei 12.
Come ci sei stato in questa Quaresima? Non che cosa hai fatto, quanto hai pregato, quali gesti hai fatto ma come sei stato dentro, come senti questo Cristo che si offre per noi dentro di te, quanto lo senti vivo a occhi chiusi, in silenzio, quanto lo cerchi, quanto senti il bisogno, il desiderio di lui? E’ scivolata via la Quaresima, non ti sei fermato un istante, la cenere del primo giorno l’hai scossa subito o ti si è attaccata un po’ addosso e nel cuore? Hai cercato qualche sorella, fratello da vedere in modo diverso? Hai convertito sguardo e cuore, hai camminato un po’ nel deserto, sul monte della trasfigurazione, sei uscito dal tuo buio come Nicodemo alla ricerca della luce?
Se hai perso ancora qualche occasione, non temere: il Signore crocifisso ha già pagato il tuo debito e ti aspetta nel giardino per mostrarti a te vivo e risorto. Il giardino della resurrezione ci ricorda l’altro giardino, quello della Genesi, luogo del ‘no’ dell’uomo a Dio; oggi Gesù è il sì detto al Padre per farci diventare figli.
Ci aspetta lì il Signore come aspetta Maria di Magdala la prima ad accorrere perché un cuore che ama non smette mai di battere; allora corre, parte, oltre ogni ragionevolezza. Quando tutti le dicevano ‘lascia stare, è tutto finito!’, lei parte e riparte, corre. Poi corre da Pietro e Giovanni i quali corrono a vedere. Non trovano il corpo, ma una assenza: perché lui è solo dove c’è la vita, non la morte!
E tu dove cerchi il risorto? Al cimitero? Forse qui in chiesa? Dai tuoi genitori anziani? Nel sorriso di tuo figlio? Nel silenzio della tua camera? Cercalo dove vuoi ma ricorda che la resurrezione non è qualcuno che era morto e torna a vivere: resurrezione è risorgere ogni giorno, è essere accesi di lui, è sentirsi in cammino, è non dire mai basta, è finita. E’ sentirlo vivo dentro nel cuore, nello sguardo, è la fede per ripartire dopo una sconfitta, è pregare, è ringraziare e per prepararsi ad affrontare le fatiche di ogni giorno.
Risorgi con me, ti dice il Signore, butta alle spalle l’uomo vecchio dentro di te e corri verso la novità del Vangelo, della gioia che Dio ti semina nel cuore nei fratelli che incontri. Risorgi e corri anche tu verso qualche sorella o fratello spento perché si accenda di luce, di forza nuova, come prima (ieri sera) abbiamo acceso le nostre candele al cero pasquale che rappresenta Gesù risorto.
A maggior ragione oggi in mezzo a conflitti, assenza di pace, mancanza di lavoro, in mezzo a situazioni di violenza e degrado, abbiamo ancora più bisogno di risorgere, oggi, adesso , da vivi, non da morti.
Udienza del papa di mercoledì 27 marzo: Si parla di pace e di pazienza: in prima fila due padri uno ebreo e uno palestinese. Accomunati da un triste destino: entrambi hanno perso una figlia nel conflitto israeliano palestinese. Sono diventati amici! Il dolore immenso e la fede li hanno uniti. Questa è l’alba di un mondo nuovo, questa è la speranza che ha redento il mondo, questa è la forza del risorto.
Ecco la resurrezione: guardare oltre, non lasciarci accecare dall’odio, dalla vendetta, non fermarsi e rialzarsi anche dopo una tragedia come questa perché la vita continua da questa all’altra vita: 'Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, non quelle della terra!' Così san Paolo.
Chi cerca le cose di lassù è già risorto, già vivo oggi, adesso.
Buona Pasqua sorella fratello, sentilo dentro di te il risorto, vivo perché solo lui può farti risorgere adesso, e diventare nuovo, dentro nel cuore e fuori nel mondo. Buona Pasqua!
Domenica delle Palme - 24 marzo 2024
Davvero!
Entriamo nella settimana, quella santa: santa perché Dio la rende santa. Ma tutto il mondo è santo da quando Gesù ha deciso di prendere dimora in noi.
Entriamoci da pellegrini, in cammino, in silenzio, dietro al maestro e, oggi, dietro alla folla che lo acclama in festa prima di inchiodarlo in croce. Sono i giorni del silenzio, dell’ascolto, i giorni in cui il discepolo pensa solo a contemplare un amore folle, immenso, più grande di tutto l’universo per far diventare noi uomini, figli di Dio, figli del Padre.
In mezzo ai mille volti del racconto drammatico della Passione, ci siamo anche noi, la nostra storia, i nostri dolori, le nostre speranze, le gioie, le fatiche, i tradimenti, le paure. Siamo lì in un angolo a osservare la scena, a debita distanza, come Pietro per non farsi troppo compromettere; si sa mai!
E poi c’è la croce, la pesante croce che nessuno vuole abbracciare e accogliere: la evitiamo volentieri, le giriamo attorno, scappiamo via: ma Gesù ci insegna a guardarla in faccia, a starci dentro, a abitare quella croce perché solo da lì possiamo risorgere veramente. Che si chiami malattia, delusione, solitudine, tradimento, povertà, poca fede: ogni croce ha un denominatore comune: ci prostra a terra, ci toglie il fiato, ci deprime, in una parola ci inchioda! E’ proprio lì in quell’essere immobilizzati che scopriamo chi siamo, la nostra fragilità: è proprio lì che solo guardando la croce di Gesù, il suo abbandono al Padre, il suo perdono a chi lo uccideva, il suo essere spogliato di tutto che possiamo risorgere, possiamo diventare nuovi, e rinascere dall’alto, dallo Spirito come Nicodemo.
Marco nel suo Vangelo ci dipinge un Gesù che soffre, che prova angoscia, che è assalito dal dramma della scelta che sta affrontando: può anche rifiutare la croce e vivere con i suoi altri anni e insegnare e compiere gesti di guarigione, seminare ancora la Parola del Padre, parlare di misericordia e perdono oppure accettare la croce per amore, solo per amore del Padre e amore nostro.
C’è un personaggio che esiste solo in Marco: il centurione che riconosce Gesù come figlio di Dio: un pagano intuisce, accoglie, proclama quello che gli apostoli non hanno avuto il coraggio di annunciare. Tutto il Vangelo di Marco è una tensione verso la vera risposta alla domanda: chi è Gesù per te? La risposta non viene da Pietro, dai discepoli, ma da un lontano, un pagano: è l’annuncio che verrà portato fino ai confini della terra, l’annuncio di un mondo nuovo, l’annuncio che determinerà la morte dei martiri, l’annuncio che risuona nelle chiese come nei letti di ospedale, nelle carceri affollate, nelle periferie degradate, nel cuore di tante famiglie dove qualche tragedia bussa alla porta, nel cuore di chi porta qualche croce come in chi è in festa.
Ripetiamo anche noi le parole del centurione: ‘Davvero costui è il Figlio di Dio’. Davvero solo con lui sono felice e la mia vita fiorisce nuova, sempre. Davvero questa è la Pasqua: riconoscerlo vivente nella Chiesa, nel mondo di oggi.
O Signore in cammino nella mia vita, accanto, dentro, come ospite e compagno di viaggio: la tua passione cioè la tua sofferenza ma anche il tuo amore per me è la risposta di Dio a tutte le mie domande. Dio non è estraneo ma talmente vicino da aver provato prima di me tutto ciò che attraversa la mia vita, i miei pensieri, tutte le mie angosce. Prendimi per mano e fammi inginocchiare davanti alla tua croce per poter accettare e abbracciare la mia.
V Domenica di Quaresima - 17 marzo 2024
Passa parola
Si avvicina la Pasqua, l’ultima Pasqua di Gesù e lui sa bene che cosa gli stanno preparando.
Purtroppo sappiamo già come va a finire la ‘storia’ di Gesù e allora non ci interessa tanto: invece dovremmo pensare che non è una fine ma un inizio. Per lui e per noi.
Oggi di scena i greci, i saggi i filosofi mossi da curiosità ma anche da onesta ricerca vogliono conoscere di persona Gesù perché è nuovo, diverso, parla di Dio come nessun altro: ‘Dio non ha mandato il figlio per condannare il mondo ma per salvarlo …’ . Allora cercano, partono un po’ come i magi, cercatori di luce, come uno che vuol conoscere quell’attore, quel calciatore ma non solo perché è bravo ma perché la sua vita lo stimola, lo appassiona.
Giriamo la frittata: quanto mi appassiona il suo Vangelo, questo pane, questo vino? Quanto mi mette in movimento questo Dio diverso, per le strade, che va a cercare gli scarti del mondo e li fa diventare figli prediletti? Quanto lo desidero, o quanto lo rifiuto, non ne sento il bisogno, non mi dice niente: forse non l’ho ancora incontrato, forse mi manca un amico che mi porti da lui, me lo faccia incontrare, forse basta poco: occhi chiusi, una preghiera… Forse sono più vicino di quanto io stesso non pensi. Forse la vita mi ha un po’ deluso e mi sono arenato. Forse...
Stupendo nel Vangelo il passaparola, i greci cercano Filippo, greco come loro; Filippo va da Andrea, poi insieme si fanno forza e cercano Gesù. Il Vangelo vince 10 a 1 sui gruppi whatsapp che ci piacciono tanto: c’è bisogno di contatto, di contagio, c’è bisogno di volti nuovi che buttano giù le nostre barriere e creano legami, amicizie, incontri. C’è bisogno di parole e gesti diversi: la forma migliore di comunicazione è sempre il tu per tu, gli occhi, un abbraccio, una lacrima, la passione che ci metti.
Cosa rivela Gesù a Filippo e amici greci: non il dio dei filosofi, non un dio che trionfa sui nemici, non il dio che muove tutte le cose, ma un Dio seme che cade nel terreno, marcisce ma porta frutto, un Dio che sembra scomparire per risorgere vincente accanto al Padre, un Dio luce che vince sulle tenebre, un Dio che perde la propria vita, la dona senza misura per regalare a noi una vita nuova, per renderci figli di Dio.
Chi è Dio, Filippo? Dio è un seme che hai dentro, il seme dell’amore, del dono e del perdono, un seme da accogliere e proteggere ma da far germogliare, con gesti di dolcezza, di bellezza, di gratuità. Morendo in croce i suoi semi sono stati sparsi in noi, ciascuno ha ricevuto un seme di Dio dentro, nei pensieri, nelle mani, nel cuore.
Gesù è giunto al momento decisivo della sua vita: è il punto di non ritorno. Sa che deve decidere se tirarsi indietro, salvare la vita ma non portare avanti il progetto di amore del Padre, oppure continuare, perdere la vita ma guadagnare il mondo intero, sconfiggere il male, far diventare noi, figli del Padre. Gesù porta a termine l’opera, il progetto di Dio, il seme che marcisce ma produce frutto.
Che cos’è la Quaresima? Il tempo in cui anche tu devi far morire qualcosa dentro, rinunciare al seme infestante del male, del peccato, e far spazio, renderti un nido pronto ad accogliere la parola di Dio, la sua vita.
Qual è la logica di Gesù? Donarsi: il contrario del possedere! Tutti ti dicono di accaparrare, farti furbo, non farti mettere i piedi intesta, goditi la vita fin che puoi, di non farti mancare niente, di soddisfare ogni desiderio. Gesù ti dice: accogli il seme di Dio in te, fallo crescere, impara a non stringere ma ad aprire la mani, cerca chi ha bisogno di una parola nuova, diversa, fai germogliare l'amore in te e negli altri, diventa tu Dio per chi è alla ricerca.
Gesù non si tira indietro di fronte alla croce: nelle nostre piccole croci, quando siamo immobilizzati e quella situazione ci paralizza, allora guardiamo a lui innalzato da terra, seme donato per noi: solo lui ci salva da una vita spenta, opaca, chiusa, soffocata, senza respiro.
O Dio, seme gettato per farci vivere una vita piena: anche noi come i greci vogliamo vederti e incontrarti ma poi pensiamo che tu sia troppo lontano, troppo impegnativo, un Dio in croce è scomodo, atroce, pensiamo che i bambini si impressionino. Invece sei il Dio dell’amore, innamorato, innalzato in croce, seme donato per farci diventare figli del Padre: un Dio nuovo da accogliere per farci risorgere finalmente nuovi.
IV Domenica di Quaresima - 10 marzo 2024
In quale Dio credi?
Dopo aver incontrato satana nel deserto, dopo lo splendore sul monte Tabor, dopo aver dichiarato che il vero tempio da adorare è il suo corpo, oggi Gesù incontra Nicodemo il maestro della legge, il dottore, attento conoscitore di tutti i cavilli dei precetti da osservare ma poco esperto del cuore umano; si ferma Nicodemo, avverte un vuoto dentro, sente che c’è qualcosa di più, qualcosa di meglio, sente che se la radice è marcia, i frutti non possono essere buoni, se le fondamenta vacillano, la casa non sta in piedi, se Dio non ce l'hai nel cuore, non puoi nemmeno averlo sulle labbra.
Nicodemo sente un vuoto dentro e intuisce che quel rabbì così diverso, può aprire un varco nel cuore, una strada nuova, un modo nuovo di incontrare Dio: con Gesù, quel Dio che Nicodemo pensava essere così lontano, improvvisamente diventa vicino, accanto, dentro: non è più il Dio della legge, dei precetti sterili e complicati da osservare, ma un Dio innamorato, che viene a cercarti, che si preoccupa per te, che vuole solo donarsi e non chiede nulla in cambio. Un Dio Padre!
Mai nessuno gli aveva mostrato un Dio così, un Dio altro, diverso, per cui vale la pena lasciare il suo buio e cercare la luce, val la pena rischiare di rinascere dall’alto, rinascere a vita nuova.
Ecco perché oggi è la domenica della gioia! Nicodemo ha trovato un Dio della gloria, un Dio della festa e dell’abbraccio; mentre prima di incontrare Cristo, era il Dio lontano, lugubre, il Dio dei perfetti, di coloro che non sgarravano mai e rispettavano tutte le norme: un Dio da meritare a suon di sacrifici e preghiere. Ma domenica scorsa Gesù, insieme a capre, asini, pecore, monete, ha gettato per aria proprio questo modo di pensare a Dio.
Il problema per noi oggi non è chiederci se credo o non credo in Dio ma in quale Dio credo! Nicodemo ha capito che Gesù gli parlava non di un altro Dio ma di un modo diverso di abbracciare Dio, o meglio di lasciarsi abbracciare da lui.
‘Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto’. Mentre tutti i maestri della legge dicevano che Dio giudica e giudicherà il mondo, questo nuovo Maestro Gesù afferma di essere venuto per salvare il mondo. Dio ci vuole salvi, liberi dal male, ci vuole con sé nel suo regno, ci chiede solo di accoglierlo, non pretende in cambio.
Proprio per questo sarà innalzato sulla croce questo maestro nuovo, nuovo nell’amore, nell’essere servo, nuovo nel desiderio di spalancare le braccia sul mondo senza misure, senza riserve. Come Mosè innalzò il serpente nel deserto per salvare gli israeliti dal morso dei serpenti velenosi, così verrà innalzato in croce Gesù vincitore del primo serpente che, ingannando Adamo ed Eva, iniziò la storia di male, di ribellione, di egoismo.
‘La luce è venuta nel mondo ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce’: già nell’introduzione al suo Vangelo, Giovanni parla di luce e tenebre. Nicodemo dal buio approda a una luce vera, dentro, nell’intimo: Quaresima è proprio cercare questa luce, lasciare qualche tenebra, qualche serpente che ci morde ancora e ci da la morte per orientarci alla luce della Pasqua.
O Dio maestro della gioia: ho bisogno anch'io di lasciarmi inondare di luce, di un sole nuovo, quello del mattino di Pasqua. Sono ancora immerso nelle tenebre, nel buio se non mi affido alla tua luce. Solo la Pasqua col suo bagliore sfolgorante mi può far entrare nella gioia vera e come Nicodemo ti cercherò perché solo l’incontro con te è la vera luce che mi salva.
III Domenica di Quaresima - 3 marzo 2024
Abusivi!
Giovanni ci accompagna oggi e nelle prossime domeniche: scava nel profondo, va alle fondamenta e ci pone le domande cruciali, forti, taglienti, non si ferma alla facciata ma va dritto al cuore.
Anche al cuore dei Comandamenti che non sono precetti da osservare per evitare il castigo ma già un invito, una parola d’amore, il desiderio da parte di Jahwè di fare alleanza con il popolo eletto, e con noi. Ancor più le Beatitudini ci spalancano un modo nuovo di pensare a Dio non come un dispensatore di doni per chi se lo merita ma un Padre che vuole solo donarsi, senza riserve, rinunciando persino al proprio figlio.
I mercanti del tempio assomigliano tanto a quei venditori abusivi che troviamo nelle grandi città agli incroci, circondati da un capannello di avventori e di curiosi, alla ricerca di una facile vincita, pronti a raccattare tutto e sparire in un batter d’occhio se l’aria si fa pesante. Abusivi i venditori nel cortile del tempio ma soprattutto abusivi noi sotto la croce, in contemplazione del vero tempio cioè il corpo di Gesù: abusivi perché non meritiamo quel “ben di Dio” che è il suo corpo, il suo amore per noi, donato, sprecato, squarciato dalla lancia per far uscire il profumo di Dio per la salvezza del mondo.
Anzi facciamo di peggio: lo barattiamo quel tesoro che è il corpo del Signore, lo barattiamo, ne facciamo commercio, lo vendiamo ancora una volta scambiandolo non con buoi, pecore e colombe ma con le nostre preghiere, le nostre offerte, le nostre Messe illudendoci di essere a posto così e di meritarci dunque quell’amore senza fine, quelle piaghe, quel ‘Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno’ sussurrato da Gesù in croce. Non ce lo meritiamo affatto, sono sempre un dono ‘in perdita’ perché Dio non ci chiede nulla in cambio, pronto a salire ancora in croce e a regalarci il tesoro del suo corpo e del suo sangue.
Ecco, i mercanti del tempio di oggi siamo noi: almeno quelli di Gerusalemme impedivano che l’effigie dell’imperatore entrasse nel tempio profanandolo. Mentre noi offuschiamo l’immagine di Dio impressa in ogni creatura (‘Date a Cesare quel che è di Cesare…’) ogni volta che non ne sentiamo il bisogno, ogni volta che non contempliamo con i nostri bambini e ragazzi quel tempio, quel Dio in croce per amore.
Ogni volta che prego per ottenere qualcosa, o ricevo i sacramenti e poi chi si è visto si è visto, ogni volta che penso di non aver bisogno della confessione perché non ho peccati, ogni volta che la Messa è un dovere e mi lamento se Dio non mi tratta come vorrei io, divento mercante delle sue cose e non riconosco la bellezza di quel corpo di Cristo donato per me.
Dio vuole dirci semplicemente che la sua Grazia, il suo Amore sono gratis, senza prezzo: non ti chiede una percentuale, né pagamenti anticipati, né una sfilza di preghiere: ti chiede, se vuoi, se entri nella sua logica, di diventare tu stesso tempio di lui, di spezzare la tua vita come ha fatto lui, di diventare tu il suo corpo e il suo sangue, ti chiede, se vuoi, di far brillare nel mondo il suo amore e di portare la luce della trasfigurazione ovunque, ti chiede di scrivere tu il tuo vangelo e di diventare ‘bella notizia’ per chi è lontano.
Non ci vuole niente per 'distruggere ancor oggi il suo tempio': basta girarsi dall’altra parte, basta non accorgersi della sua croce, basta far finta che non ci sia il suo amore, basta chiudere porte e finestre e poi lamentarsi che non c’è il sole. Lo distruggiamo quando rifiutiamo l’altro, quando non facciamo spazio nella vita, non perdoniamo, quando dimentichiamo che ogni sorella e fratello è tempio vivo dell’Altissimo, che l’Infinito ha preso dimora in lei, in lui, chiunque sia. Lo distruggiamo ancora quel tempio, oggi!
O Signore vero tempio; bastano 3 giorni a Dio per ridonarci il figlio risorto a Pasqua: ma a noi a volte non basta una vita per accorgerci di te e del bisogno che abbiamo di contemplare il tuo tempio, di lasciarci abbracciare da te, di sentire il desiderio di una tua Parola che ci salva. Siamo troppo presi dal fare, dal conservare, da costruire pensando così di ‘pareggiare i conti con te’: invece di implorare il tuo perdono, il tuo dono, e di immergerci nella tua luce.
La Quaresima sia l’occasione per contemplare il suo tempio donato in croce per me, per te.
II Domenica di Quaresima - 25 febbraio 2024
Qual è il tuo monte?
Tutto il Vangelo di Marco si snoda attorno ad una domanda rivolta ad ogni lettore: chi è Gesù per te? Chi è questo Maestro, questo Signore? Che cosa dice alla tua vita?
E’ solo uno che guarisce e scaccia i demoni, oppure c’è qualcosa d’altro? E’ uno fra i tanti o è l’amico fidato, il compagno di mille avventure, lo sposo atteso e cercato?
Marco ci prende per mano e ci porta sul monte, in alto per farci toccare con mano la luce della Pasqua, della resurrezione. Ci porta in compagnia di Mosè ed Elia, il condottiero e il profeta, che hanno intuito una luce nuova nella chiamata di Dio e l’hanno seguita; in compagnia di 3 ragazzi scapestrati e maldestri: Pietro il testardo, duro come la roccia e Giacomo e Giovanni brontoloni, che pensano più a se stessi che agli altri.
Innanzitutto sul monte, in alto, vicino al cielo, vicino a Dio: qual è il tuo monte dove ti rifugi? Quando cerchi di stare più vicino a Dio? Quanto lo cerchi? Cosa fai per avvicinarti a lui? Quaresima è cercare il tuo monte, il tuo spazio, i tuoi 3 minuti per accorgerti che lui è già dentro di te, ti aspetta per donarti la sua luce, quella del Tabor, quella della trasfigurazione. Come Mosè sul monte ricevette la luce dei Comandamenti, così anche noi abbiamo bisogno di fare fatica per salire in alto, guardare la nostra vita dall’alto, lasciare qualche preoccupazione non per dimenticare ma per affrontarla poi nel modo giusto: da illuminati.
Mi sono chiesto: ma perché proprio quei 3 e non altri? I migliori? Selezionati? Come una squadra dei migliori per vincere il campionato, la champions? Come i laureati con 110 per vincere una malattia? Come scelgo gli amici più fidati per quel viaggio, lontano? No, assolutamente no! Ha scelto loro perché avevano più bisogno di vedere la sua bellezza, la sua luce; perché erano i più tentati da satana, perché erano più dubbiosi, perché facevano più fatica, perché Gesù nella sua premura li voleva tenere più vicino, perché Dio agisce così.
Perché Dio ha chiamato noi a fare il prete, il catechista, l'educatore, il cantore, anche a sposarsi, a fare figli? Perché? Perché siamo i migliori e convertiamo il mondo? Perché sbaragliamo il nemico? NO, perché siamo i più lontani, i più bisognosi, i più dubbiosi, i più tentati da satana. E lui ci tiene vicino, ci dona la sua luce, ci fa vedere da vicino la sua bellezza unica, come quella del sole che non puoi fissare ma lo vedi riflesso in tutto ciò che illumina.
Sul quel monte allora ecco la luce, la bellezza, lo splendore come non avevano mai visto prima. La bellezza che Dio ha seminato nel mondo: un panorama, una persona bella, uno sguardo, un sorriso, un bambino che ride, un vecchio che ti saluta per strada: abbiamo bisogno della bellezza vera non da dive anoressiche, non da manichini truccati, non necessariamente da un’isoletta nel pacifico: la bellezza di casa nostra, semplice, da cogliere al volo. La Chiesa può riflettere questa bellezza nel mondo quando non parla di se stessa ma aiuta a salire sul monte per contemplare il volto del Risorto.
Una bella festa, un incontro tra amici, una visita a un ammalato, una coppia che si ama, un genitore che abbraccia il figlio: questa è la bellezza che Dio ha seminato a piene mani e una bellezza che ci scalda il cuore e che ci accompagna quando scende la notte, quando viene buio dentro, nel profondo: proprio in quei momenti dobbiamo ricordare, conservare in noi quella bellezza, quando qualche Calvario compare nella nostra vita: e allora devi avere dentro quel fascino, quel raggio di luce, quello splendore: e sarai solo a combattere, non ci sarà nessuno con te! Tu, il Calvario da affrontare con la luce di quello splendore e con le tue sole forze!
'Tardi ti amai, bellezza tanto antica e tanto nuova (s. Agostino): il mio amore, se c’è, è sempre in ritardo sul tuo! Portami sul monte con te perché da solo non ce la faccio ad affrontare il mondo, portami con te per gustare la tua presenza, il tuo abbraccio, il tuo sguardo, per sentirti vivo in me, per me. Solo la tua luce, il tuo splendore mi permette di vivere da illuminato, da risorto, per non aver paura se qualche croce, qualche Calvario appare nella mia vita, se qualche tentazione rischia di aver la meglio. Il ricordo del tuo abbraccio sul monte è già promessa di vita eterna.'
I Domenica di Quaresima - 18 febbraio 2024
“Ricordati che sei polvere”… di stelle !
Siamo entrati in questa Quaresima, forse per tradizione, dopo le feste del carnevale, senza farci troppe domande (e questo è un problema!)
Non per far diventare tutto un problema, ma per renderci conto di ciò che ci accade, ogni giorno. Quaresima non è il tempo prima della Pasqua come l’Avvento non è il tempo che precede il Natale. Quaresima è tempo di ascolto, è aggiustare ancora il tiro, è contemplare la croce di Gesù, è chiederci quanto desidero stare con lui, stare nel deserto, dirci ancora che il tempo della salvezza è qui, ora.
Quaresima è ricordarci che siamo polvere ma polvere di stelle (gli atomi di cui siamo composti, qualche milione di anni fa, erano stelle): non orientati a scomparire, dispersi dal vento, ma tornare a risplendere un giorno come le stelle!
‘Laceratevi il cuore, non le vesti’: Quaresima è l’occasione per pensare al mio cuore, a come batte per Dio e per i fratelli e sorelle, se sa palpitare, se piange con chi piange, se ride con chi ride, se è un cuore grande come quello di Dio, se è indurito, se sa pompare sangue verso le mani per aprirle e verso il cervello perché usi l’intelligenza per vincere il male e scegliere il bene. Un cuore che sa vedere le necessità di qualcuno e portare il bene là dove qualcuno ha seminato il male.
In questa prima domenica Gesù viene sospinto nel deserto; dallo Spirito. E già la cosa non ci piace tanto. Arriva subito il demonio che non è quello che ci hanno descritto da bambini: è bello, attraente, all’inizio anche simpatico; prima ti porta in alto, ti esalta e ti loda, ma poi ti butta giù, ti deprime, ti dice che non puoi farcela, non sei all’altezza, che Dio ti ha abbandonato. Così diventi schiavo dei tuoi limiti, delle tue paure e getti la spugna!
Ci dice Marco: fai come Gesù, non fuggire le tentazioni, sono pesanti, a volte ti mettono davvero in ginocchio ma ti fanno crescere, ti fanno capire chi sei, ti fanno capire cosa rimane in piedi dopo l’uragano, così comprendi finalmente ciò a cui devi attaccarti per salvarti, ti mettono a nudo davanti a te stesso e davanti ai fratelli; se le attraversi e non le fuggi diventerai davvero grande agli occhi di Dio e scoprirai che solo con Lui puoi farcela. Anzi: dovresti ringraziare quella tentazione, è provvidenziale: è l’unico modo per superare e vincere a testa alta, con la schiena dritta, prima sul Golgota e poi al sepolcro vuoto.
La piantina in laboratorio è riparata dalla tempesta ma non sprigionerà la sua energia ai raggi del sole; un bambino tenuto in casa per non contaminarsi e non prendere malattie al parco giochi non sarà mai capace di superare due linee di febbre; un ragazzo, ragazza che non si innamora e rischia di essere lasciata/o non apprezzerà mai la bellezza di crescere per prepararsi all’incontro speciale della vita e non capirà mai cosa vuol dire amare. Un cristiano solo da Messa alla domenica, preghiera da solo a casa e fioretti quaresimali non sarà mai capace di essere testimone credibile in famiglia, al lavoro, nella comunità, non sarà mai desideroso di innamorarsi del Vangelo e contagiare così tante sorelle e fratelli.
Gesù nel deserto accetta la sfida di satana, la attraversa e donerà la sua vita per far capire a noi che Dio è il vero salvatore e che la sua Parola è davvero nuova: il male è ripetitivo e monotono, solo il bene è creativo, fantasioso e trova nuove strade per portare l’amore di Dio a ciascuno.
‘Convertiti e credi al Vangelo’ questa è Quaresima: fermati, cambia direzione, cambia modo di vivere, cambia il cuore, la testa, lo sguardo, cambia strada, non credere che quella che hai sempre percorso sia per forza quella giusta!
O Signore, il tuo arcobaleno sulle nostre nubi è il vero segno di speranza, è l’inizio del tuo regno, è una promessa che tu hai già vinto ogni male, ogni tentazione, ogni dubbio, ogni fallimento; ho bisogno che i colori del tuo arcobaleno risplendano in me sempre e mi facciano camminare in qualche mio deserto, alla luce del tuo Vangelo e della tua promessa!
VI Domenica del T.O. - 11 febbraio 2024
Lo voglio!
Oggi è la volta del lebbroso, dopo la suocera di Pietro, dopo l’indemoniato: non miracoli ma gesti, segni, raggi di luce che squarciano le tenebre, feritoie di speranza in un mondo immerso nel male. Nelle mani di Dio ogni malattia, ogni lebbra, ogni male non è la fine, non è la tomba ma l’inizio di una resurrezione di speranza e di pace. E Lui lo sa bene di essere venuto per ridare speranza e vita oltre ogni morte. Noi dobbiamo ancora crederci.
Il vero problema non era la lebbra ma l’ignoranza e la mala fede che riteneva il malato colpevole di qualche grave peccato e dunque lo escludeva dalla società, dalla famiglia, da ogni incontro: senza abbracci, senza una carezza, senza affetti. Morte sicura prima per la solitudine e poi per la lebbra in sé. Per la serie: i danni peggiori li facciamo noi, non la natura nè tantomeno Dio!
Il lebbroso grida, invoca, cerca e il Cristo si ferma ascolta risponde. Dalla richiesta del lebbroso, comprendiamo che c’è qualcosa di speciale , di particolare in questo incontro: ‘Se vuoi puoi purificarmi’ . Non dice puoi guarirmi ma purificarmi! Sì perché la vera lebbra è quella nel cuore, nello sguardo, nel possesso, nell’ intelligenza che ti dice che tu sei al centro del mondo, che Dio ti tratta male, che non hai bisogno di nessuno e che, in fondo, non sei tanto peggio degli altri; e poi che non fai male a nessuno e dunque ti meriti molto di più rispetto a ciò che hai e che sei… questa è la vera lebbra, la nostra, quella che ci consuma dentro, ci toglie il respiro di Dio, ci toglie la nostalgia del cielo, ci toglie il desiderio di abbracci veri, di parole vere, di gesti veri.
Ecco la nostra lebbra dalla quale solo Dio ci può purificare!
Non ti chiede medaglie sul campo, titoli onorifici o se sei membro del consiglio pastorale, amico di un Vescovo, di qualche suora, non ti chiede quanti numeri di preti hai in rubrica, o se da bambino hai fatto il chierichetto o se non manchi mai a Messa, non ti chiede se hai fatto l’animatore al Grest o se hai letto tutta al Bibbia! Ti chiede di metterti in ginocchio come il lebbroso, di batterti il petto come il pubblicano al tempio, ti chiede magari qualche lacrima, ti chiede solo di gridare e di implorare aiuto: tutto qui! Il resto lo fa lui, sempre lui, solo lui.
Lui prova compassione, nella pancia, nel profondo, sta male lui per il nostro peccato! E VUOLE che noi siamo guariti, vuole la salvezza, è venuto per questo ed è felice quando ci rialza, ci fa risorgere, ci spalanca le braccia per vincere la nostra lebbra.
Infine chiede di non svelare l’accaduto: non per pudore ma perché non erano ancora pronti a capire e lo avrebbero considerato un mago, un guaritore, un santone, quelli che piacciono tanto a noi: un fenomeno da baraccone. ‘Ma quello si allontanò e si mise a divulgare il fatto…’ La bella notizia si propaga, si diffonde come un profumo prezioso, non la puoi trattenere; nemmeno Gesù può arginare la bella notizia venuta nel mondo, cioè la sua persona.
O Maestro, vero Dio che sei venuto solo per liberare me dalla lebbra del cuore: a volte non riesco nemmeno a gridare a te, a cercarti, a sentire il desiderio del tuo abbraccio. Penso di cavarmela da solo e allora la lebbra invade non solo il corpo ma anche il cuore. Perdona le mie rigidità e la mia poca fede: solo tu sei il 'grande profeta sorto tra noi'. La Quaresima sia semplicemente un grido di supplica a te per implorare il tuo amore e il tuo perdono.
V Domenica del T.O. - 4 febbraio 2024
Andiamocene verso altri orizzonti
Entra in casa Gesù, entra nella famiglia, nel luogo degli affetti per purificarli, sanarli dall’interno. Esce dalla sinagoga dove satana era entrato per dividere, separare proprio mentre si sta lodando il Signore. Entra anche nelle nostre comunità il demonio, divide, spezza, mette figli contro padri e padri contro figli. Noi crediamo che satana sia solo dove ci si odia, si uccide, dove c’è violenza, invece è anche qui a casa nostra, nelle nostre chiese, nel cuore della comunità: dove non c’è il coraggio di fermarsi, di chiedere scusa, dove l’altro, se non un nemico, almeno è uno che se sta alla larga è meglio!
Proprio in casa chiede di entrare non per invadere, ma per dire che ogni casa è chiesa, ogni tavola è mensa, ogni corpo è il suo corpo, ogni amore, il più imperfetto e ruvido è il suo amore, ogni figlio è suo figlio, ogni uomo in realtà nasconde un frammento di Dio!
Raggiunge le case della gente, la vita dei semplici, entra per dare vita e darla in abbondanza: entra con i suoi per ridare salute e vita nuova.
La suocera di Pietro è a letto, in preda alla febbre: Gesù non compie segni prodigiosi. Semplicemente la prende per la mano e la rialza. E’ il verbo della resurrezione, dunque lei risorge. Basta poco per rialzarci dalla nostra condizione di posseduti dal male: basta allungare la mano, tenderla, cercare la mano di Dio che ci guarisce e risana. Basta poco per far rialzare qualcuno: è sufficiente condurlo al Signore, a lui. Ci pensa il nostro Dio a fare il resto, a far risorgere.
Dopo la guarigione lei si mette a servire, si mette e a disposizione; non tiene per sé il dono ricevuto ma lo regala, diventa lei stessa dono. I nostri doni, ciò che abbiamo tra le mani sono pe r il servizio per gli altri: o meglio, l’unico modo per conservare e mantenere ciò che abbiamo è quello di donarlo, di spenderlo, di regalarlo con gioia. Come abbiamo celebrato nella festa della presentazione al tempio, anche noi vogliamo presentare i nostri doni all’altare e metterli nelle mani di Dio, dove sono più al sicuro.
Infine, dopo una giornata spesa, Gesù si ritira in preghiera: mentre ‘tutti lo cercano', lui si apparta, preferisce il Padre non per rifiutare gli uomini ma per capire ciò che è accaduto e per prepararsi a nuovi incontri. La preghiera fatta con il cuore rigenera, apre orizzonti, ci mette nel cuore nuovi desideri, ci fa vedere persone ed avvenimenti nel modo corretto.
‘Andiamocene altrove’ dovrebbe essere lo schema, il programma di vita di una comunità cristiana, di un oratorio! Andiamo altrove verso nuovi volti, nuove anime, per dissetare altre seti e per sfamare altra fame. Rischiamo di morire tra i soliti noti, con le attività e gli schemi del passato che a volte, invece di farci decollare ci comprimono, ci schiacciano e ci impediscono di volare. Un po’ incapaci di dire le cose di Dio con occhi nuovi, a persone nuove, in modi nuovi , in nuove direzioni.
O Signore, entra nella mia casa, nella casa che è il mio cuore per trasformarlo e renderlo capace di occhi nuovi; rialzami e diventerò capace di nuovi gesti di servizio verso altri. Fammi uscire da qualche schema vecchio che mi sono cucito addosso per scoprire il fascino della tua Parola e della tua chiamata.
IV Domenica del T.O. - 28 gennaio 2024
Taci!
Chissà quante volte scribi e farisei erano andati in sinagoga a leggere la Toràh, chissà quante volte avranno sentito la Parola, ma quel giorno è accaduto qualcosa di particolare, di unico: questo Maestro ha autorità, è nuovo, diverso, tocca il cuore non le labbra, offre speranza, non spara sentenze, dona un perdono mai visto, non giudica dall’alto. Questa la sua autorità: al centro mette l’uomo non la legge, mette le storie di vita, non il sabato.
E lui, il Maestro si è preparato per 30 anni a questo momento, in silenzio, con pazienza, in ascolto: anche lui ha avuto dei maestri. Lo Spirito Santo, Giuseppe, Maria e poi la vita, le vicende del suo borgo. La vita ci plasma, ci addolcisce, ci leviga come l’acqua di un torrente leviga per secoli i sassi fino a farli diventare lisci.
Entra improvvisamente l’indemoniato e squarcia il silenzio e le parole di Gesù: satana dentro quell’uomo riconosce Gesù figlio di Dio. Pensate: il primo nel vangelo di Marco a riconoscere Gesù è satana, il diavolo, il divisore! Fine teologo, astuto, scaltro avverte che è iniziato un tempo nuovo, il tempo della rovina per lui, il tempo in cui Dio sarà il vero vincitore contro satana e il male nel mondo. ‘Sei venuto a rovinarci’ dichiara satana che, in modo subdolo, invade il corpo di un uomo per scagliarsi contro Gesù. Ma a volte siamo noi invece a dire questo a Dio: ‘sei venuto a rovinare il mio tempo, il mio divertimento, la mia libertà, la mia sessualità; cosa vuoi da me? Perché devo pensare io a chi sta peggio di me? Perché pregare? Perché perdonare quel disgraziato là? Perché impegnarmi quando gli altri non ci sono più? Perché? Infatti tanti voltano le spalle e dicono a Dio: “non mi interessi, non mi piaci, lasciami in pace: ho già i miei problemi, almeno la domenica… Ma si, faccio fare i sacramenti a mio figlio, qualche volta verrò a Messa, ti do anche una offerta ma poi basta così. Ho altro da fare!” Ecco: pensiamo che Dio sia venuto a rovinarci!
Ma Lui il maestro non molla, continua per la sua strada con chi lo vuole seguire, perdonando e amando ancora di più.
C’è anche un’altra cosa: satana entra proprio in sinagoga, proprio mentre si legge la Parola, proprio quando Gesù si rivela a invita a pregare: satana è qui ora nella Chiesa, quando ci raduniamo, quando preghiamo, quando vogliamo seminare il bene. Pensiamo che il male, il demonio sia fuori, dove si ruba, si spaccia morte, dove c’è violenza , invece Marco ci dice che satana è qui in mezzo a noi, ci gira intorno e invade cuore e rapporti umani come un’erba infestante che non riesci a vincere. Ecco proprio qui, e lo dice anche il Papa: il demonio si annida nei nostri sguardi, nei pensieri, nel nostro modo di stare insieme, nella Comunità dei credenti: lui vuole dividerci, Cristo invece vuole unirci!
Proprio qui il Signore vuole entrare per risanarci dall’interno, per purificarci, per renderci comunità viva, aperta, che si mette in ascolto, che esce da chiesa sagrestia, oratorio e guarda il mondo con gli occhi nuovi di Gesù. Per amarlo questo mondo, non per accusarlo, per cercare ciò che di bello c’è già, per dire che satana è vinto e che vogliamo costruire insieme quella pace così attesa.
Infine ‘TACI! Esci da lui’: Gesù vuole mettere la museruola a satana, togliere la parola per far emergere LA PAROLA. Taci di fronte a Dio che agisce: anche noi dobbiamo tacere di più, ascoltare di più e parlare di meno o meglio, parlare con le stesse parole di Dio, con le sue parole. Tacere per far emergere Lui, una fede autentica non demoniaca, perché c’è anche un modo demoniaco di credere, un modo corrotto, sporco, umano quando siamo noi al centro e non la sua Parola. Esci da te stesso, dal tuo orgoglio, dalla presunzione di aver sempre ragione.
O Signore, liberami dal demonio che alberga in me, che invade il mio cuore, la mia vita, i miei pensieri: fammi tacere davanti ai tuoi prodigi, fa’ che riconosca la tua autorità nel mondo e nella Chiesa. Per seguirti sulle strade della vita, là dove tu continui a seminare la gioia di avere un Padre che ci ama e ci salva.
III Domenica del T.O. - 21 gennaio 2024
Una rete di troppo
Si parte. Dalla Galilea, dal posto più infelice e improponibile. Cristo parte dalle periferie del mondo, là dove c’è una insoddisfazione, dove c’è un vuoto, una sete, una stella da cercare e seguire, dove c’è bisogno di uno sguardo diverso. Parte con quella domanda che ci rimane cucita addosso: ‘Che cosa cercate?’ Che cosa stai cercando nella fede, in questo Dio, cosa cerchi mentre preghi, e poi: perché preghi? Perché questo Vangelo? Che cosa ti lascia ogni volta che lo respiri, lo ricordi, ogni volta che ti lasci affascinare?
Gesù parte da 4 sconosciuti: non dai maestri della legge, non da scribi e farisei o dalla scuola rabbinica più in vista; parte dal deserto, dalla Galilea dei pagani. Oggi partirebbe da un carcere, da una comunità di recupero, da una periferia, da una vittima della mafia, da un clochard, da un convertito. Mi piace da matti questo Dio scomodo e imprevedibile: non era il tempo e modo giusto per partire… oppure ogni modo e ogni tempo e ogni cuore è quello giusto per partire.
‘Il tempo è compiuto’ afferma: noi siamo sempre quelli che rimandiamo a data da destinarsi e Lui parte senza pensarci su tanto. Il tempo è arrivato mentre giochi, mentre vai al lavoro, mentre litighi col vicino di casa, ti arrabbi col principale, o mentre piangi un amico, mentre devi tirare la cinghia. E’ questo il momento giusto per accogliere la sua Parola, per convertirti, per annunciare, per dire a tutti che il regno di Dio è già qui in mezzo a noi. Non rimandare, non cercare pretesti: adesso è il momento giusto!
Gesù 'vide Pietro e Andrea mentre gettavano le reti'. Splendida questa annotazione: Gesù vede, scruta, osserva non mentre erano in preghiera o in sinagoga o al tempio; li vede nel momento più normale e ordinario, durante la fatica della pesca. Lui era già lì nei loro dubbi, nella sconfitta e nella speranza. La grandezza di una persona la vedi nelle cose di tutti i giorni, il lunedì mattina, quando non c’è nessun corteo, nessuna manifestazione, nessun palco o red carpet: la bellezza di una donna la cogli quando non ha il trucco e si rivela nella sua semplicità e genuinità. Dio preferisce le periferie, gli ultimi, i senza nulla, i pastori, i peccatori in fila per ricevere il Battesimo da Giovanni: preferisce 2 pescatori analfabeti rispetto ai sapienti maestri della legge.
Dio cerca chi si fida, chi rinuncia a mettersi al primo posto, chi mette da parte le proprie idee e aspirazioni per seguirlo.
‘Venite dietro a me’. ‘Vi farò diventare pescatori di uomini’. Gesù non ha cambiato la natura che avevano dentro: erano pescatori e diventano ora pescatori di uomini: non cambia le radici ma permette a quelle radici di donare frutti nuovi, prelibati.
Nella nostra vita pensiamo alle mille cose da fare: raramente ci chiediamo: ‘Ma io ti sto seguendo? Lascio le mie reti? Rinuncio a capirci tutto? Mi fido della tua chiamata, della tua voce, delle tue orme nel deserto?'
Qual è il cuore dell’essere cristiani? Non è andare sempre a Messa, recitare bene le preghiere, non far del male a nessuno. Essere cristiani vuol dire seguirlo per incontrarlo, per stare con lui senza scappar via e senza inventarci una religione a nostra misura.
Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni ci hanno creduto, sono partiti, lasciando padre e reti: così ha inizio la Chiesa da 4 pescatori analfabeti che però hanno detto di sì e si sono lasciati amare e affascinare da quello sguardo; così continua ancora oggi la Chiesa quando qualcuno accetta di lasciarsi amare da Dio, decide di lasciare qualcosa di caro e prezioso perché ha trovato la perla preziosa e non la lascia più.
O Signore Dio immenso: chissà se mi fido davvero di te! Chissà se ho voglia di incrociare il tuo sguardo, se ti cerco per avere una direzione nuova alla mia vita, chissà se ho voglia di iniziare a diventare anch’ io un pescatore di uomini. Pescato per pescare, amato per amare, innamorato per far innamorare qualcuno di te .
La domenica della Parola ci faccia venire la voglia di ascoltarla e accoglierla e di seguire con gioia Gesù parola del Padre.
Buon cammino, buona avventura dietro il Maestro Gesù.
II Domenica del T.O. - 14 gennaio 2024
Che cosa cerchi?
Agnello: ecco l’Agnello. Dalla mangiatoia al deserto; da un Dio bambino da mangiare, come vero cibo, a un Dio Agnello in mezzo ai lupi, docile, condotto al macello. In entrambi i casi, non ci piace tanto: non seguiremmo mai un influencer così. A meno che non ci convenga per qualche motivo.
Il tempo di Natale ci ha appena lasciato e già si respira un’altra aria nel Vangelo: Dio chiama per nome Samuele nella prima lettura e i primi apostoli: chiama per incontrare un popolo, un cuore, una storia, per farci capire davvero che Lui è il Dio con noi, l’Emmanuele: ma senza enfasi, senza mettersi in mostra, senza aggredire gli avversari come fanno i nostri politici: Dio non ha avversari, solo sorelle e fratelli.
Innanzitutto gli sguardi oggi sono al centro del vangelo: Giovanni fissa lo sguardo su Gesù; poi i due che lo seguono videro dove dimorava, infine Gesù fissa lo sguardo su Pietro e lo chiama. Fermarsi a osservare, a guardare qualcuno con cuore e occhi: non siamo capaci di osservare negli occhi una persona magari in silenzio: sembra che quello sguardo ti penetri, scavi dentro nel profondo, gli occhi non mentono, dallo sguardo di una persona si capiscono tante cose. Forse non guardiamo negli occhi per evitare che qualcuno voglia scrutare dentro di noi. Gesù invece fissa lo sguardo e invita a seguirlo.
Subito una domanda a bruciapelo: ‘Che cosa cercate?’ Nel Vangelo ci sono poche risposte ma tante domande: quelle giuste, quello che non ci facciamo mai e alle quali fatichiamo a trovare risposte. Come ad esempio: chi sono io? Qual è l’obiettivo principale della mia vita? Perché ho cercato un figlio? A ciascuno la propria ricerca, a ciascuno la propria risposta!
La domanda è soprattutto per noi: che cosa cerco in questo Dio, nella fede, nel Vangelo? Perché la Messa? Forse un po’ per paura, o per abitudine, per tradizione, perché vado fin da bambino, o per poter chiedere qualcosa? O perché, come dicevano i primi cristiani: senza la messa non potrei vivere, non posso farcela da solo. Perché ho bisogno di una Parola che mi salva, ne ho bisogno per sentirmi protetto, salvato, amato! Che cosa stai cercando nella tua vita, quale orizzonte oltre il lavoro di ogni giorno, oltre la pensione, oltre la partita allo stadio, oltre l’esame da preparare, oltre la scuola, oltre il sabato sera in discoteca? Oltre! Cerca, non fermarti e chiediti se in questa tua ricerca c’è un posto privilegiato per questo Dio in cammino nella nostra storia. Non smettere mai di cercare, come i Magi, come un esploratore che intuisce qualcosa e parte alla ricerca di nuove terre, come un innamorata/o che da un solo sguardo intuisce un incontro, un futuro, un nuovo amore. Niente prove, niente dimostrazioni: chi ama non le chiede nemmeno. Però le cose importanti della vita nascono da uno sguardo, una intuizione, una speranza che diventa certezza. Da quello sguardo di Cristo è nata la prima comunità, la Chiesa come inizio di un mondo nuovo, un germoglio tra le macerie di Gaza.
I discepoli rispondono con un’altra domanda: ‘Dove abiti?’ Vogliono conoscere questo strano rabbì, vogliono annusare la sua vita, seguirne le orme, cercare i suoi passi e vedere come vive. Vogliamo imparare da te a vivere, a gustare la vita, a non subirla, ma a restare affascinati di ogni alba, ogni parola, ogni sguardo, affascinati anche noi da questo Dio che non ti chiede niente ma vuole solo donarsi, senza misura.
‘Dove abiti maestro? Vieni ad abitare nella mia vita nei miei sguardi, nella mia famiglia, in questo mondo, nelle mie scelte; tu cerchi un mondo in cui abitare, tu profugo ancora oggi cerchi una casa che ti accolga, tu pellegrino cerchi una porta aperta, tu, Dio, cerchi un cuore di uomo che ti faccia spazio, che diventi culla, nido, dove nascere ancora non solo a Natale ma ogni giorno!
Cosa deve fare una parrocchia, una comunità se non cercare questo sguardo, proporre questo sguardo, cercare l’incontro vivo con questo maestro, vedere dove abita, come vive, come mangia, come dorme, come incontra gli ultimi, come prega il Padre, come cerca lui per primo i peccatori, come ascolta, come parla. Forse dovremmo fermarci di più, incontrarci, dirsi gioie e speranze che abbiamo nel cuore, sentirci più uniti e cercare dove abita il Maestro: forse le mille nostre iniziative ci tolgono un po’ la gioia di questo incontro, di questa ricerca, di questo annusare l’aria del Maestro, fissare lo sguardo in lui.
‘Abbiamo trovato il Messia’: questo è l’annuncio da fare al mondo, questo il DNA del cristiano, questo vogliamo dire al mondo con la nostra vita; questo dovrebbe leggere la gente quando ci incontra per strada. Quei cristiani lì, lo hanno incontrato davvero e la loro vita è fiorita! Buon cammino, buon sguardo, buona ricerca, buon annuncio.
Epifania Battesimo di Gesù - 6 gennaio 2024
Un Dio sgravato!
Si manifesta questo Dio bambino deposto in una mangiatoia: vuole essere mangiato da noi affinché noi stessi ci mettiamo a disposizione di fratelli e sorelle. Si manifesta (questo è il significato di Epifania) come luce della nostra vita, ancora di salvezza, occhiali per vedere il mondo, le cose e il cuore di chi incontriamo per scoprire in loro germi di luce.
In un colloquio con un ragazzo diciottenne si parlava di famiglia, di figli e lui mi diceva: ‘come si fa oggi a pensare di mettere al mondo dei figli, con quello che costano? Lo Stato non aiuta, non fa niente’ Gli ho risposto: ‘Se i tuoi genitori avessero pensato così, tu non saresti qui!’ E poi: ‘Certo la politica non facilita: ma mettere al mondo i figli è una scelta profonda, anche con tutti i soldi di questo mondo, ci vuole comunque tanto amore, sacrificio, pazienza… Ci vuole una stella che ci guidi, una luce dentro di noi a cui affidarsi, ci vuole il desiderio di cercare qualcosa di diverso che ci dia un senso, un motivo per vivere’.
Così i magi che da lontano hanno cercato, si sono messi in cammino, guidati da una intuizione, una speranza, un sogno. In realtà erano sapienti, studiosi, non erano indovini, cartomanti, nemmeno re, non si sanno nemmeno i nomi e noi li abbiamo inventati, li abbiamo trasformati in personaggi romantici, quasi delle comparse, dei principi azzurri, avvolti nel mistero. Niente di tutto questo, semplicemente studiosi, sapienti e cercatori: ecco cercatori di verità e di luce. Magi e pastori i primi che hanno cercato e trovato un Dio bambino. I sapienti cercatori di un Messia e gli impuri, i rifiutati: mentre Erode, sacerdoti, scribi pur essendo vicino non l ’hanno cercato, non avevano il desiderio, non si sono messi in cammino.
Che cammino stai facendo, quali desideri hai nel cuore, quale stella ti guida, quale stella scegli nella tua vita, come ti lasci illuminare, che cercatore sei? Domande che oggi lasciamo affiorare nella mente, nel cuore, nella vita. Non importa che ruolo hai, quante cose fai, a quante iniziative della parrocchia o della Chiesa partecipi: conta quanto desiderio ci metti, quanto entusiasmo, conta quanto desideri questo incontro, quanto ci metti del tuo come i maghi dell’Oriente, conta quanto cammini e quanto cerchi. Da solo non ce la fai; spesso anche chi o anche chi ami non sa e non può essere un punto di riferimento. Abbiamo bisogno di una stella fuori di noi, come punto di riferimento, come luce nel buio del mondo.
Questi maghi, meglio che magi, ci insegnano ad uscire dalla nostra a vita, dalle nostre case, dai nostri schemi per cercare in tanti fratelli e sorelle qualcosa di nuovo, una luce diversa: noi spesso siamo prevenuti e diciamo che in quella là, quello non c’è niente di buono; i maghi ripetono semplicemente la vicenda di Gesù inviato dal Padre per uscire e entrare nella nostra storia, nell’umano, nella vita di oggi. Un Dio SGRAVATO direbbero i giovani oggi , un Dio esagerato che non ha limiti nell’amore, nel perdono, nella speranza, nella pace che lascia il suo cielo per sposare la nostra terra e che non ha pace finché un solo figlio soffre e piange.
Questi maghi desiderano l’incontro: noi diciamo di averlo già incontrato e magari lo abbiamo dimenticato, o siamo presi da altre cose, oppure pensiamo che è stato bello ma adesso non mi interessa più, non mi dice più niente; un po’ come quando guardiamo qualche foto di quando eravamo ragazzi: una bella festa, gli amici, una scampagnata, al mare in campeggio . E’ un ricordo che rimane là, nel cassetto o nel computer che non dice più niente oggi, e quegli amici se ne sono andati! Facciamo così con Dio! Invece Lui non fa così con noi perché Lui non ha l’album dei ricordi: Lui ha i nostri nomi scritti sul cuore e ogni giorno ci rinnova il suo dono: il figlio, l’amore, la salvezza… Lui ci desidera sempre. Desiderare significa cercare le stelle, voler raggiungere le stelle, sentire la mancanza delle stelle. La mancanza di Lui!
Ma possiamo anche andare oltre: il nostro Dio ci chiede addirittura di diventare noi stella, punto di riferimento, via per raggiungere Betlemme, per raggiungere la sua vita, per abbracciarlo e dire con i maghi: ‘Siamo venuti per adorarlo’. Se lo abbiamo incontrato, allora la sua luce in noi può far venire la voglia a qualcuno di seguirlo, di cercarlo, di desiderarlo, come i maghi.
O Signore, cercatore di uomini, di figli di sorelle da amare, insegnaci l’arte preziosa della ricerca, senza stancarci, senza pensare di essere già arrivati, senza guardare se gli altri si fermano: oggi tu cammina con i maghi, segui la stella, desidera ciò che di bello hai tra le mani, e nel Giordano insieme ai peccatori incontra Gesù, il figlio prediletto che fa di noi figli prediletti del Padre.