Omelie di don Marco
Archivio anno 2023
IV Domenica di Avvento - 24 dicembre 2023
Non capisco: eccomi!
E’ ormai qui il Natale! Quanto lo attendo, quanto ne ho bisogno? Quanto mi fermo in contemplazione, in silenzio, con gli occhi al cielo! Quanto so fermarmi davanti al presepe, ripensando a queste parole che risuonano oggi: ‘rallegrati Maria, piena di grazia’, non temere, hai trovato grazia presso Dio’, ‘concepirai un figlio, lo darai alla luce, lo chiamerai il Salvatore’.
E’ il momento di fermarsi, prima di partire, non prima delle nostre feste un po’ scontate ma prima di essere noi Natale, prima di lasciarci invadere dalla sua luce, prima di cambiare via come faranno i magi dopo aver incontrato Gesù.
Già..., incontrato! Quanto bisogno sento di incontrarlo, di lasciarmi incontrare, di lasciarmi trasformare e amare da lui: come bambini riluttanti, come una ragazza che tira indietro rispetto alla proposta di un ragazzo, come un amico che ti invita a cena perché ha bisogno di un amico e tu dici di non aver tempo. Lasciati incontrare perché da questo incontro puoi rinascere nuovo, puoi ricominciare non come prima ma meglio di prima.
Maria dubita di essere scelta; dubbi legittimi! Perché proprio io? Cosa significa? Poi accoglie, si apre, diventa madre e fiorisce. Anche tu a Natale puoi accogliere e custodire in te il Dio dei cieli, Dio cerca casa in te perché Lui possa nascere là dove c’è bisogno di Dio, di una luce nuova. Come per Davide nella prima lettura, Dio cerca casa in Maria e cerca casa in te, in me. Natale c’è se io e te diventiamo CASA e non lo rifiutiamo questo Dio pellegrino, sfrattato, migrante, senza fissa dimora. Maria oggi ci insegna a spalancare i nostri angusti orizzonti per accoglierlo e donarlo al mondo. Grande compito nelle nostre fragili mani: come un giorno Dio ha affidato suo Figlio a una ragazza e un ragazzo, così si fida e si affida a noi.
Dio cerca casa lontano dai luoghi del potere, lontano dal tempio, lontano dai re, ma nel deserto con il Battista, nella minuscola Nazareth, in una ragazzina sconosciuta, una fra le tante, fuori! Fuori dai nostri schemi, fuori dai nostri soliti discorsi, fuori per farci capire che lui è dentro di noi.
"Eccomi" dice Maria.
Così afferma Paolo de Martino: La ragazza Maria alla fine si fida, non pensa al futuro ma vive pienamente il “qui e ora”. “Sarò capace? Sarò in grado di essere la madre del figlio di Dio? Non lo so, eccomi”.
“Eccomi”, è l'espressione più bella perché è una dichiarazione d'amore per l'oggi, per il “qui e ora”. Dovremmo imparare a pronunciarlo ogni giorno, più volte al giorno, in ogni occasione. Felici o tristi dovremmo pronunciare il nostro “eccomi”, mi fido. Non mi è tutto chiaro ma metto ciò che sono ora. Il primo miracolo di Maria è non essere scappata. Gesù viene al mondo per la consapevole incoscienza di questa ragazzina, che non comprende tutto e subito, ma dice “Si” a ciò che le è posto dinanzi.
Dio entra nel mondo grazie ai miei ‘sì’: sì a perdonare ancora quello là, si a salutare chi non mi rivolge saluto, sì a donare qualcosa in più, sì a buttarmi alle spalle quel rancore, sì a dire un po’ di no a quel peccato, sì a invitare qualche amico a Messa, sì a una catechesi, a un incontro, sì a uscire di casa quando c’è qualcosa che meriti e non solo in chiesa, sì a dire una preghiera in casa, in famiglia, sì al giorno dell’ascolto, sì a ragionare un po’ di più secondo il Vangelo, quello vero non quello dei luoghi comuni, come ad esempio: “Ci sarà qualcosa di là? Perché Dio permette tutto questo? ECCOMI!
O Signore Dio atteso: il nostro mondo attende la festa, non il Natale vero! A me però non importa il mondo: interessa il mio cuore e il cuore delle persone care. Desidero fermarmi, ascoltarti, diventare grembo fecondato dalla tua Grazia per annunciare il tuo Natale tra sorelle e tra sorelle e fratelli. Grazie perché perché Tu irrompi nella mia vita e mi concedi di rinnovare il mio cuore indurito e il cuore di ogni donna e uomo amati da te e da me.
Buon ultimo giorno di Avvento!
III Domenica di Avvento - 17 dicembre 2023
Ascolta e diventa voce
Domenica della gioia, della festa, in cui ci prepariamo all’incontro. Quanti incontri ci scaldano il cuore e quanti ce lo raffreddano! I nostri ragazzi si incontrano sui social, in facebook, su tik tok: però abbiamo bisogno sempre più di scendere in strada, incontrarci davvero, da cuore a cuore. Abbiamo bisogno di accendere le luci vere, quelle dentro, le luci che ci fanno andare avanti nella vita, ci rischiarano la strada, ci fanno sentire meno soli, ci preparano davvero al Natale.
Quale Natale stai aspettando, quale Natale stai cercando? Quale Natale stai donando ai tuoi, agli amici, ai non amici?
Deserto! Un Natale da deserto! Giovanni battista è alternativo, forse per dirci che anche Dio è alternativo, fuori dai nostri schemi, fuori dalle mura della città, fuori dal tempio, fuori! Dunque fuori dai centri commerciali, dalle corse per il black friday, fuori dalla magia del Natale, fuori dalle vetrine e dai salotti di vip. Fuori! Ecco la prima parola: spesso la soluzione ai tuoi problemi è FUORI, non dentro di te. Esci alla ricerca, il tuo baricentro cade fuori dai tuoi piedi, sei decentrato, hai bisogno di qualcuno che sia fuori per aiutarti a stare in piedi.
Le autorità, i sacerdoti e leviti vanno da Giovanni e gli chiedono: ‘Tu chi sei? Sei Elia? Sei il profeta? Che cosa dici di te stesso?’ Io sono voce!
La logica del mondo dice: sei ciò che produci, sei ciò che appari, sei ciò che guadagni, sei i like che ricevi, sei ciò che conti, sei quanto urli. Giovanni sa che non è così, che è illusoria e menzognera questa logica, che, mai, siamo ciò che possediamo o facciamo. Mai siamo ciò che sembriamo. Mai.
«Chi sei, allora?». Un mistico? Un provocatore? Un profeta? No, Giovanni è voce. Voce, voce prestata ad una Parola di vita nuova, voce che amplifica un’idea non sua, voce, che fa riecheggiare un’intuizione di cui anch’egli è debitore.
Bella la domanda: chi sei? Chi siamo noi?
Quando ce lo chiedono noi rispondiamo sono il figlio di, la moglie di, il papà di, abito…, lavoro… mai che arriviamo al cuore di ciò che siamo, forse perché non lo sappiamo neanche noi. Giovanni è voce. Noi siamo voce, diamo voce a qualcuno, voce di una Parola nuova: un genitore, un educatore, un amico è voce, parla da profeta, da testimone a volte scomodo di un incontro, una speranza, una amicizia. Voce che incoraggia, annuncia, richiama, sveglia, ricorda, sussurra: solo Dio è parola fatta carne, noi diciamo con la nostra vita le parole che Lui ci suggerisce.
Dio ha finalmente squarciato i cieli ed è disceso: l’esilio babilonese è terminato, inizia un tempo nuovo, quello della libertà, della salvezza, ma anche il tempo in cui chi è ritornato in patria a Gerusalemme non è accolto bene: altri hanno confiscato le loro terre, ci sono popoli stranieri, qualcuno se ne approfitta e presta denaro a tassi enormi. Dio ha squarciato i cieli ed è venuto ma l’uomo non è pronto ad accoglierlo, anzi lo rifiuta, lo allontana e allontana sorelle e fratelli nel bisogno.
Allora oggi ci guidano queste parole: gioia, deserto, voce! Vivi la gioia di questo Natale come l’incontro che ti affascina, ti muove dentro: preparati, non addormentarti, non perdere tempo: solo questa gioia può vincere tutto il male e il dolore che incontri nella vita. Entra anche tu nel deserto di parole, di cose superflue, di cibo, di piccoli gesti di chiusura, egoismo, frenesia: hai bisogno di fermarti, di fare il pieno di affetto e di intimità con lui e con sorelle e fratelli, per apprezzare i tesori che hai tra le mani. E infine diventa voce della Parola vera: fai tacere le parole vuote, spente, insipienti e cerca parole di dolcezza e di pace: queste cambiano il mondo! Ascolta la voce di chi ti annuncia cose nuove e diventa voce, profeta delle bellezze che hai intorno a te.
Un Dio tra noi ti chiede di annunciare non solo con la voce ma con tutta la vita ciò che ti ha messo nel cuore e nell’anima: non sei solo, non sei più solo. Chi ha toccato con mano l’amore vero non ha più limiti, non ha confini, non sa voler male a nessuno ma anzi sa trasformare ogni male in un bene immenso.
Buon Avvento, buon cammino!
I Domenica di Avvento - 3 dicembre 2023
Come un uomo che è partito…
Entriamo in punta di piedi in questo Avvento, in silenzio, bisognosi di ascoltare, di fermarci: troppo chiassosi, troppo di corsa, troppo frenetici, troppo noi, troppo al centro di tutto e di tutti.
Come è andato l'anno appena concluso? Abbiamo guadagnato o abbiamo perso occasioni? Siamo migliorati? Abbiamo fatto il pieno della Parola che ci salva o abbiamo fatto come l’anno precedente, senza slancio, senza porci qualche domanda: che ne ho fatto del mio talento? Quanti fratelli sorelle ho sfamato, dissetato, incontrato, cercato, visitato?
Riprendiamo il cammino guidati da Marco discepolo di Pietro per scoprire i segni del vero discepolo di Cristo e diventare anche noi suoi discepoli.
Innanzitutto ‘vegliate’, stai sveglio, stai pronto: pronto a cogliere la vita che scorre, a capire i momenti opportuni, a sentire i segni di qualcosa di grande in te e intorno a te: veglia perché non sai il momento. Quale momento? Il tempo in cui il Signore ti parla, ti raggiunge, ti suggerisce. Devi solo essere connesso con la vita, con i tuoi affetti più veri, con il Signore; lui è venuto nella storia 2000 anni fa, verrà alla fine dei tempi. Ma soprattutto viene oggi, adesso, viene per te: stai pronto a cogliere i suoi passi, non addormentarti, non perderti, non vivere ripiegato su te stesso, guardando solo alla tua pancia, al tuo armadio, al tuo conto corrente, a tenere in ordine la casa, ai tuoi beni: esci, vai incontro a sorelle e fratelli con la gioia di chi ha incontrato una parola nuova, una bella notizia, la gioia di chi sa danzare anche quando qualche nube appare all’orizzonte . Invece del comodo divano, in Avvento dovremmo essere per strada, in cammino, in ascolto silenzioso di chi ti passa accanto e ha una storia da raccontare. Sei acceso o spento? L’ Avvento è il tempo propizio per accenderti ancora e accendere sorelle e fratelli.
Se sei in ascolto, tutto ti parla, tutto ti affascina, tutto ti risuona dentro.
‘E’ come un uomo che è partito…’ Dio per primo è partito, ha lasciato il suo cielo per prendere dimora tra noi. Ma poi Gesù dopo la sua vita terrena è partito e ha lasciato a noi sua Chiesa il compito di vivere da risorti in mezzo ai fratelli: come se ci dicesse: ‘State pronti, con le lampade accese, per accendere chi si è spento nella vita, lavate i piedi sporchi, date a chi vi chiede, date da mangiare, da bere, da vestirsi ma soprattutto date voi stessi, il vostro cuore, partite anche voi per raggiungere le periferie della vita là dove c’è un’anima da ascoltare e di cui innamorarsi’ . Date come io mi sono dato a voi! E questo padrone lascia il ‘potere ai suoi servi’: è il potere steso di Cristo re dell’universo di domenica scorsa: il potere del servo, dell’essere a servizio, all’ultimo posto, sotto non sopra.
Infine Avvento significa che avviene qualcosa, c’è una venuta nuova diversa: in Avvento non stiamo aspettando il Natale, stiamo aspettando un tempo nuovo, occasioni nuove che facciano risplendere e regnare il nostro re nel mondo. Stiamo aspettando la liberazione di altri prigionieri a Gaza, stiamo aspettando segnali di distensione in Ucraina, stiamo aspettando che quel marito buttato fuori di casa riceva almeno qualche parola di conforto e non solo di esclusione, stiamo aspettando di avere la forza di pregare non solo per Giulia ma anche per Filippo perché dopo l’orrendo crimine, si penta, diventi una persona migliore e chieda perdono. Stiamo aspettando di essere un po’ più in comunione tra noi senza accoltellarci alle spalle, stiamo aspettando che il padrone ritorni non alla fine dei tempi ma oggi, adesso .
Ma anche lui sta aspettando: che siamo svegli, in cammino e che il Natale non sia la bella festa di luci, cene, auguri, baci un po’ imbalsamati ma la festa di un Dio che cerca casa, cerca cuori innamorati, cerca lampade accese di gesti di fraternità e perdono.
Buon Avvento sorella, fratello: il Dio che veglia su di te ti faccia uscire dal guscio del tuo quieto vivere per spalancare sguardo e cuore su chiunque bussi alla tua porta e, ancor di più, ti aiuti a cercare qualche cuore spento da accendere con la sua luce.
XXXIV Domenica del T.O. - 26 novembre 2023
Un re servo
Siamo al giudizio alla fine del tempo, la resa dei conti; e le parabole delle 10 vergini e dei talenti ci hanno preparato a questo sprint finale. Cristo re giudica il mondo e a noi la cosa non suona tanto bene: qualcuno dice 'Io non ho fatto niente di male' oppure 'Prima avanti gli altri…' qualcun altro ha davvero paura perché non si sa come andrà a finire. Insomma siamo un po’ sulle spine: ma sarà davvero buono questo Dio? Ma ci sarà l’inferno? E se ci andassi io? E Per quanto tempo? Per sempre?
Fermi tutti! Innanzitutto Gesù è re, davvero, inviato dal Padre: ma un re capovolto, un re diverso, senza corona né eserciti, né guerre da fare, senza nemici: un re servo che va a caccia degli ultimi e dei lontani, un re che tiene sempre la porta aperta per l’ultimo suddito che ha bisogno, un re che vuol fare di tutto il mondo una casa, una sola famiglia. Un re che non si da pace finché qualche figlio soffre, è solo e disperato. Come dice Ezechiele nella prima lettura: 'Andrò in cerca della pecora perduta, ricondurrò quella smarrita'.
Il pensiero va ad altri re che abbiamo ai quali dobbiamo sottostare, che ci impongono regole ferree, ci costringono a ritmi estenuanti e alla fine nemmeno una pacca sulle spalle o un complimento. Sono il re dei mezzi di comunicazione che ci propina tanta spazzatura magari a bambini e ragazzi, il tormento dei social che ingigantisce quello che dovrebbe essere trattato con riservatezza e rispetto, il lavoro ad es. alla domenica ( o magari anche a Natale e Pasqua), l’economia che ci impone tassi, mutui; per non parlare della politica, fatta di tante promesse e pochi risultati. Questi sono i re che entrano nella nostra vita da tiranni, ci costringono, ci limitano, ci rendono veramente schiavi. Ma non ce ne accorgiamo, anzi andiamo a cercarli e lentamente ci imbrigliano e ci rendono davvero schiavi.
Gesù invece siede sul trono della gloria che non è il tempio, nemmeno qualche basilica famosa: lui ha 2 troni dai quali regna, troni non molto ambiti, troni che rifiutiamo volentieri: il primo è la croce dalla quale salva tutti noi, l’altro è il povero, l’ultimo, chi è solo e disperato in questa vita. Da questi troni, il nostro re ci giudica e ci chiede fino a che punto hai accettato la tua croce e fino a che punto hai messo il povero al centro.
Alla fine questo giudice, questo re, non ci chiederà, come il re della parabola non chiede, quante preghiere abbiamo recitato, quante liturgie, quanto siamo stati in chiesa, in sagrestia, quante volte ho ricevuto l’Eucarestia: ci chiederà quanto abbiamo amato il povero, quanto abbiamo dato da mangiare, quanto abbiamo accolto un amico, quanto ci siamo preoccupati di quella persona sola, quanto siamo stati vicino al mio amico senza lavoro, quanto lo abbiamo visto in chi ci sta accanto. Il nostro re sposta l’attenzione: dalla chiesa alla strada, dall’altare a ogni cuore, vero altare in cui si celebra l’incontro tra Dio e l’uomo. Sono gesti e azioni comuni, della vita ordinaria: Dio entra nel mondo non solo a Natale e ci invita a cercarlo a riconoscerlo re, a farlo regnare in qualche cuore desolato e ai margini della vita.
Ci hanno sempre detto che questo Dio giudice conterà i nostri peccati e ci darà quello che meritiamo. La mitologia greca è piena di questi riferimenti: su un piatto della bilancia erano messe le colpe e sull’ altro piatto una piuma; se il piatto delle colpe era più pesante di una piuma, l’anima era condannata.
Invece il nostro re conterà il bene seminato, gli incontri, il perdono che ho concesso, le volte in cui ho portato la croce, i pesi di un altro: non di chi incontro una volta nella vita, il povero a cui dare un euro, ma chi ho a fianco, il mio collega, un familiare, un vicino di casa, uno con cui devo collaborare: lì il Signore mi chiede di farlo regnare e portare amore là dove non c’è, dove si è spento, dove c’è solo odio e violenza.
Seminiamo questo nel mondo e allora saremo figli di questo Padre, saremo cittadini di questo regno e la nostra eternità inizierà qui, anzi è già iniziata.
O re, vero re, donaci di custodire l’olio nelle nostre lampade, di trafficare i talenti di amore che ci hai donato: vieni a regnare nel nostro mondo dal trono della croce e del cuore di tante sorelle e fratelli; e fa che impariamo da te a prenderci cura di chi incontriamo perché doniamo loro la gioia di vivere. Allora avremo un posto nel tuo regno, non quando saremo morti ma già adesso perché da quando sei venuto tra noi, il tuo regno è già in mezzo a noi.
XXXIII Domenica del T.O. - 19 novembre 2023
Il vero talento!
Istintivamente ci vien da dire: ‘Ma perché Dio fai differenza? Perché al primo dai 5 talenti, al secondo 2 e al terzo 1 solo? Come mai queste preferenze? E’ più forte di noi mettere in dubbio la società, la politica, le autorità, la Chiesa e perfino Dio! Tranne noi stessi: io ho sempre ragione! Il problema non è quanto hai tra le mani ma che uso ne fai!
Parabola conosciuta, famosa, addirittura proverbiali quei talenti da far fruttare, da commerciare: sembra quasi un obbligo, un dovere invece di una bellezza; ci vien voglia di dire a quell’uomo: ‘Ma io non li voglio i tuoi talenti, perché devo tenermeli e trafficarli? Chi l’ha detto? Sto bene anche senza!’
Benvenuti nel Vangelo! Sì, perché il Vangelo non devi leggerlo: devi lasciarti leggere dal Vangelo. Lascialo così, accoglilo a braccia aperte come un regalo inaspettato, improvviso, stupendo che ti lascia a bocca aperta! Se non lo vivi così, allora sei uno che conosce a memoria le parabole, sa già come vanno a finire, dice che so già tutto, cioè: non ho bisogno di niente grazie!
Insomma la questione è seria: la tua vita è accesa o spenta? Custodisci il tuo olio nella lampada? Segui l’unico, vero Maestro? Sai amare il tuo Dio con tutto il cuore, l’anima, la mente e sai amare il tuo prossimo?
“Non siete nelle tenebre’ dice san Paolo. Siete figli della luce, figli del giorno”, figli del nostro Dio luce del mondo!
Partiamo dall’elogio che il padrone fa ai primi 2 servi: ‘Bene, servo buono e fedele… prendi parte alla gioia del tuo padrone’. C'è una gioia da costruire, da cercare, da accogliere: se la vita cristiana, se pregare, se leggere la parola non ti da gioia, fermati, scendi dal treno, domandati perché sei qui, cosa ci fai? Perché la Messa, perché iscrivi tuo figlio alla catechesi, perché il Battesimo, perché? Questo padrone è felice, prova una gioia immensa che vuole condividere con te: questa é la fede! Fedele nel poco, ti darà autorità su molto! Fedele nell’amministrare i talenti, avrai autorità nel suo regno.
Ma ciò che ci scandalizza è come il padrone tratta il terzo servo: ne ha ricevuto solo uno, ha paura di perderlo, e teme quel padrone che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso! ‘Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra’. Spento, non acceso!
E dopo la rinuncia per paura a trafficare il talento, anche la condanna del padrone: ‘toglietegli il talento e datelo a chi ha i 10 talenti!’ E la giustizia dov‘è? E la misericordia dov’è?
Tocca a noi capire questo padrone, capire quel talento e pensare che questa parabola non ci dice cosa dobbiamo fare verso gli altri, non è un insegnamento morale ma ha valore escatologico, ci apre lo sguardo sull'aldilà, sul regno di Dio, sull’incontro finale con questo padrone che è Dio Padre.
Tutto sta nel capire cosa è questo talento così prezioso: non sono le nostre qualità, le nostre capacità, la nostra vita da mettere a disposizione degli altri e così poi andremo in paradiso! Questo talento affidato alle nostre fragili mani, bocca e soprattutto cuore è Gesù, la sua Parola, il suo Pane che ci da forza e ci fa vivere con le lampade accese, è lui che ci viene donato senza merito e ci vien chiesto di donarlo, spenderlo, farlo fruttare, contagiare il mondo con il suo sguardo e il suo perdono.
Allora qual è il dramma del terzo servo? Perché il padrone lo condanna? Cosa ha fatto di male? Aveva solo paura: e questo è un peccato? È sufficiente per condannarlo? E poi gli viene tolto anche l’unico talento che gli rimane e viene dato a chi ne ha già 10.
Il terzo servo non ha commesso peccati particolari ma non ha apprezzato, non si è messo in gioco, voleva solo sopravvivere, non vivere: una vita chiusa a conservare il passato e custodire senza lo slancio di Dio, senza innamoramenti, senza orizzonti, da 6 meno meno, senza passione, senza cadere ma nemmeno senza arrivare in vetta! Il terzo servo assomiglia a una bella ragazza desiderata da molti ragazzi che una volta mi disse: ‘Ho conosciuto molti ragazzi, simpatici, amici, sono uscita con alcuni, qualcuno mi piaceva ma appena sentivo che stavo per innamorarmi, lo lasciavo per paura di compromettermi troppo. Temevo di perdere la mia tranquillità, non sapevo cosa sarebbe accaduto dopo’. Paura di mettersi in gioco. Oppure è come chi possiede diversi oggetti anche preziosi ma li chiude gelosamente in cassaforte e non li mostra a nessuno: ogni tanto li controlla, li spolvera e li rimette via, anziché cercare di usarli per il bene di qualcuno.
Il terzo servo ha restituito semplicemente il talento perché non voleva avere debiti con il padrone, non voleva rischiare: come se dicesse: ‘Non voglio debiti con te, eccotelo, siamo a posto, ho pareggiato i conti. Assomiglia tanto ad un cristiano che dice a Dio: ‘Ho fatto quello che dovevo fare Signore, ho pregato, sono andato a Messa, ho fatto qualche offerta, cosa vuoi di più? Siamo a posto! Un amico che dicesse così, non lo vuole nessuno.
O Signore, noi cerchiamo di pareggiare i conti con te per non avere debiti, invece tu ti senti in debito con noi: in debito di amore, di perdono, di speranza, pronto a perdonare i nostri fallimenti e a darci l’ennesima possibilità; rendici ‘accesi’ di te, non spenti. Fa’ che il vero talento posto nelle nostre mani, tuo figlio, la sua Parola il suo amore, lo valutiamo, lo custodiamo come il tesoro più prezioso della vita. Allora gioiremo con te, non nell’altra vita, ma adesso, qui perché avremo fatto della nostra vita un profumo inebriante e contagioso che avvolge chiunque: il profumo di Te.
XXXII Domenica del T.O. - 12 novembre 2023
Sei acceso o ti sei spento?
‘Ecco lo sposo!’: il grido nel cuore della notte squarcia il silenzio e la sonnolenza delle 10 ragazze! Lo sposo atteso non arriva, mentre qualcuno pessimista sospetta già : ‘Non verrà, ha altro da fare, non fidatevi!’
La parabola fa parte del discorso escatologico, quello della fine dei tempi: parole splendide ma impegnative perché ci fanno pensare al domani, al regno di Dio, a oltre la morte, oltre questa vita! Facciamo una gran fatica a fare i conti con il ritorno dello sposo perché abbiamo paura di quell’incontro, abbiamo paura della morte, abbiamo paura di lasciare questa vita, i nostri cari: sappiamo cosa lasciamo e non sappiamo che cosa troviamo. Siamo esseri mortali ma ci comportiamo da immortali!
Eppure la parabola non è lugubre, non genera ansia, non c’è un giudizio di condanna; ma guarda un po’: il Vangelo non è ansiogeno ma ce la toglie l’ansia dal cuore e ci distende, ci fa star bene, è il sole dopo la tempesta, la guarigione dopo mesi di ospedale, l’abbraccio dopo tanta solitudine, la festa dopo la guerra. Siamo noi che non lo abbiamo ancora capito.
Nella parabola innanzitutto c’è uno sposo, una festa alla quale sono invitate le 10 vergini: piace troppo a questo Dio far festa, sentirsi in festa, accogliere tutti, far posto, tenere una sedia libera per l'ospite di passaggio. Nel cuore della notte è strano far festa: per noi ma forse non per i nostri ragazzi che amano la notte.
Al solito manca la sposa, il perché lo sappiamo già: siamo noi quella sposa, siamo noi gli attesi, siamo noi invitati che, come nel Vangelo di alcune domenica fa, abbiamo mille scuse, non abbiamo tempo.
Mi sono chiesto: perché 10 vergini e non 10 altre donne? Proprio non saprei: forse perché la verginità è la condizione di chi sa attendere, sa aspettare, sa prepararsi per l’incontro vero con lo sposo.
Alcuni passaggi sono cruciali nel testo: ‘Poiché lo sposo tardava’. La comunità di Matteo si aspettava che il Messia tornasse da un momento all’altro, aspettava con ansia e trepidazione ma il Cristo non tornava. Ecco perché questa veglia nel cuore della notte: le 10 ragazze rappresentano il popolo in attesa, i credenti, i battezzati con le lampade accese.
'Ecco lo sposo' altra parola chiave. Nel cuore della notte: nelle notti della nostra vita attendiamo un’alba di resurrezione, un’ alba nuova, attendiamo un volto, l’incontro decisivo. Quante madri hanno atteso il ritorno del figlio, quante volte un cuore palpitante ha atteso il ritorno di quell’amico, quel fidanzato, quel fratello. Quel grido è una promessa: lo ritroverai, lo incontrerai ancora quel padre, quel figlio, quella sposa, quello sposo, quell’ amico, lo ritroverai nel regno di Dio dove non ci sarà più lutto, né dolore, né pianto, ma gioia vera ed eterna. 'Ecco lo sposo' della nostra vita, il Signore: lui arriva, attendilo perché ritorna. Tornerà alla fine dei tempi come uno sposo in festa: ma ritorna ogni istante, ogni momento, ogni volta in cui ti fai prossimo, apri il tuo cuore e ti lasci inondare dalla sua luce.
Infine le lampade accese delle vergini sagge e quelle spente delle vergini stolte! L’olio prezioso qualcuno lo ha conservato per il ritorno, qualcuno lo ha consumato, lo ha perso per strada, l’ha usato male e al momento del bisogno non ne aveva più. Cos’è quest’olio? Qualcuno dice la fede, la risposta del catechismo, quella ufficiale, che va bene per ogni domanda - dice qualcuno. Qualcuno ha la saggezza di far scorta dell’essenziale, e mette da parte un po’ di soldi per comprare la casa: tanti sacrifici per uno scopo.
Mi piace pensare invece che quell’olio è tutto l’amore che ci mettiamo, l’amore che seminiamo nel mondo, le volte in cui ho giudicato amando ancora di più e magari ho trasformato l’odio in gesti di fiducia, apertura e conforto. Sei stato acceso dall’amore di Dio per te: accendi quelli che incontri, soprattutto chi si è spento, chi ha perso speranza, chi ha tirato i remi in barca, chi è rassegnato e pensa ormai che lo sposo si sia dimenticato della sposa! Quanto sei acceso quanto ti sei spento? Quante occasioni ti ha dato il Signore per accenderti e quante hai lasciato che la vita ti spegnesse; e quante volte invece hai acceso qualcuno, lo hai infiammato, lo hai riscaldato con la tua gioia, con l’ascolto, con poche parole ma con tanti gesti di fiducia.
Ecco l’olio da conservare: i tuoi gesti di amore. E nessuno può amare al tuo posto, come tu non puoi amare al posto di qualcun altro. Tocca a ciascuno lasciarsi accendere il cuore per infiammare il mondo, la storia e far nascere un germoglio di pace.
O Signore, sposo atteso: spesso mi perdo, chiuso nei meandri della mia vita, credo che quell’olio nasca da me, ce l’ abbia in abbondanza io, peggio ancora, lo conservo solo per me. Questo è il modo giusto per consumarlo: ma se sono capace di gesti di amore verso Dio e verso sorelle e fratelli, allora il mio olio rimane, anzi si moltiplica e lo sposo, al suo ritorno mi troverà in attesa , pronto, con le lampade accese, perché tutta la mia vita è stata accesa di amore verso Dio e verso i fratelli.
Insomma sei acceso o ti sei spento?
XXXI Domenica del T.O. - 5 novembre 2023
Il privilegio del servo!
Grande lezione anche oggi, grandi e forti parole con le quali Gesù firma la propria condanna: ma lui non teme di smascherare l’incoerenza, l’ipocrisia di scribi e farisei che ‘siedono sulla cattedra di Mosè’ senza che nessuno abbia dato loro il diritto e l'autorità. ‘Legano pesanti fardelli difficili da portare... ma essi non li toccano neanche con un dito’.
Parole forti e decise a difesa degli ultimi, delle vittime di soprusi da parte dei farisei che invece ostentavano di essere i veri osservanti della Legge e i difensori della tradizione di Mosè.
‘Allungano i filatteri’, che sono astucci contenenti versetti della legge per far vedere a tutti che loro ce l’avevano addosso quella legge: addosso sì ma nel cuore e nella vita no.
Fin qui tutto facile e in discesa per noi che puntiamo subito il dito contro i dottori della legge, difendiamo chi subisce, applaudiamo a Gesù, e pensiamo che dobbiamo metterci in guardia da qualche fariseo di oggi.
Ma c’è qualche parola che, invece, a leggere bene, non ci lascia così tranquilli, anzi! “Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli”. E poi “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi si esalterà, sarà umiliato, chi si umilierà, sarà esaltato”. E qui allora andiamo in crisi e capiamo che questa pagina in realtà è detta per i discepoli e dunque per noi!
Siamo noi infatti che spesso ci facciamo valere, pensiamo di essere i difensori della patria, che tutto dipenda dalle nostre mani e dal nostro lavoro e pensiamo di insegnare agli altri, e anche a Dio. Magari non ci facciamo chiamare maestri ma quella punta di presunzione ce la mettiamo perché consapevoli di avere dei meriti e perché gli altri non sono al nostro livello e non apprezzano il nostro impegno.
Gesù ci tocca dritto al cuore, non per accusarci ma per farci guardare dentro, in silenzio, cercando la verità nel profondo: per farci battere un po’ il petto riconoscendo quando abbiamo alzato qualche barriera, quando con i nostri no abbiamo allontanato, quando ci siamo messi davanti al Maestro anziché dietro, quando abbiamo messo prima la legge e poi i volti, le storie, i nostri compagni di viaggio; quando, anziché diventare compagni di viaggio e di strada nella vita, ci siamo posti come guide, come potenti, come coloro che avevano l’ultima parola, invece di ascoltare con umiltà.
Che chiesa siamo, che comunità siamo, che battezzati siamo, che prete sono? Che collega sono, che vicino di casa sono, che cittadino sono? Bravi a farci valere e mettere in mostra tutte le nostre belle azioni o un po’ umili, un po’ defilati, un po’ accanto ai drammi, ai volti, alle sofferenze del nostro mondo, e dei nostri fratelli.
‘Chi è più grande tra voi, sarà vostro servo’. Con poche parole Gesù ci pone davanti alle nostre responsabilità con dolcezza ma con decisione. A tutti piace essere ammirati e applauditi: ma il credente cerca l’applauso del Signore, la sua ammirazione, il suo consenso; questo dobbiamo preferire.
Anche perché a volte siamo gelosi se quello là è più ammirato di me, ha più consenso di me!
Gesù ha portato su di sé i pesi degli altri, ha accettato la morte per raccontarci quanto ci ama il Padre, è venuto tra noi per camminare nella nostra vita e farci toccare con mano la tenerezza di Dio, si è fatto l’ultimo, il servo perché essere maestri vuol dire servire e amare senza misura!
O Signore vero maestro, oggi vogliamo riconoscere che non siamo così umili, così pazienti e delicati verso gli altri ma siamo bravi a farci valere, a giudicare e far capire a tutti che il mondo va avanti grazie alla nostra bravura; fa’ che ci mettiamo alla tua scuola, da discepoli innamorati di te, bisognosi del tuo sguardo, delle tue parole anche se sono taglienti e forti. In un mondo ripiegato su se stesso, fa’ che la tua chiesa risplenda per stare dietro di te, in ascolto di te e accanto alle nostre sorelle e fratelli con il tocco dell’umiltà, primo gesto che apre all’incontro con te, vero Maestro.
Tutti i Santi - 1 novembre 2023
Puoi toccare il cielo
'Lo vedremo così come egli è'. Giovanni con pochi tratti ci spalanca gli orizzonti, ci fa volare, ci pennella l’eternità che inizia già qui, ora ogni volta che scriviamo una pagina di amore nella storia nostra e delle nostre sorelle e fratelli! Dove ci si ama, inizia il regno di Dio, inizia l’eternità e oggi noi la tocchiamo con mano.
Santo non vuol dire perfetto, ma 'in cammino' alla ricerca , di corsa perché chi ha incontrato il Risorto corre verso la gioia piena, verso una vita senza fine. Piuttosto santo si coniuga bene con ‘beato’, ‘felice’ e la pagina di oggi ce lo delinea bene: beato non quando sei triste, sofferente, solo. Ma beato quando fai della tua sofferenza non il pozzo per annegare con le tue disperazioni ma per rinascere e pensare che Gesù ha accolto la croce, l’ha attraversata e l'ha fatta diventare da strumento di morte a dono di grazia e salvezza per noi.
Dio ti vuole felice già ora in questa vita e in pienezza nell’altra vita! Inizia già qui la mia, la tua eternità ogni volta che metti da parte te stesso per far spazio a lui nella tua vita e a tutti i fratelli.
Ecco perché le Beatitudini sono il sogno, il desiderio di Dio di una felicità piena, infinita come noi non riusciamo a costruire in questa vita: lui ce la promette e ci dona qui ora dei segnali che questa felicità c’è, inizia e sarà piena nel suo regno. I santi l’hanno capito e mostrato: non chiudiamoli nelle nostre belle nicchie ma portiamoli fuori sulle piazze, sulle strade per annunciare che si può vivere in altro modo, più innamorati della vita, più liberi, più gioiosi, più... santi!
Il nostro dramma della giornata di ieri non è festeggiare halloween, ma quello di non festeggiare i santi, i nostri spiriti; il vero dramma è popolare l’aldilà di mostri e fantasmi e non credere che Dio ci prepara un posto; il vero dramma è che quando parliamo del dopo morte facciamo una gran fatica ad associarlo a d una vita vera, piena, in Dio, quello è il nostro dramma.
Le Beatitudini allora sono la promessa non solo di una vita di là ma una vita di qua già libera da ogni egoismo e male. Allora non i comandamenti ma le Beatitudini sono la legge nuova, la legge di libertà che ci parla di un Dio che non vuole suppliche e riti ma un cuore capace di amare come il suo.
Auguri allora a te che non ti senti arrivato ma gioisci per un Dio che ti vuole felice in modo diverso da ciò che dice il mondo: sei chiamato alla santità, a toccare il cielo già qui quando ami senza misura come fa Dio con te.
XXX Domenica del T.O. - 29 ottobre 2023
Quando si ama, inizia il Paradiso
Ancora una prova per Gesù, ancora un’imboscata; assurdo: la Parola di Dio viene usata dal dottore della legge per mettere in crisi Gesù. La domanda rivolta a Cristo: ‘Qual è il grande comandamento’ nasconde ancora una volta una insidia. I maestri della Legge sapevano bene qual era il Grande Comandamento! Era il sabato, lo shabbat, il settimo giorno al quale Dio stesso si era sottoposto, infatti Dio stesso dopo i sei giorni della Creazione, aveva riposato il settimo, dunque aveva rispettato la legge del sabato.
Ma tutti sapevano che Gesù aveva guarito, aveva camminato, aveva invitato il paralitico a prendere il suo lettuccio...: tutte cose proibite dalla legge. Se Gesù avesse detto che il grande comandamento era il sabato, gli avrebbero risposto: ‘E allora perché non lo rispetti?’
Pensa: Gesù ha avuto i problemi più gravi in sinagoga, nel tempio, nel sinedrio, tra i maestri della legge: invece dagli ultimi, dai lontani, dai pagani è stato riconosciuto, accolto, amato.
Ma lui non si scoraggia e ancora una volta rimette tutto su un piano superiore: Dio ama, è amore, onnipotente nell’amore. Prima di pensare a rispettare i comandi, prima di pensare a cosa fai tu per Dio, prima di mettere in fila le leggi da rispettare col rischio di dimenticarne qualcuna, fermati e senti quanto Lui ti ama. Parti da lui, da quello sguardo, da quell’abbraccio di Padre, da quella parola nuova, da quel sorriso, da quelle Parole di amore che non sono comandi ma dichiarazioni d’amore sussurrate all’orecchio: il resto viene di conseguenza.
Tutti abbiamo in mente un amico che si è fatto in 4 per noi, ci ha aiutato e sostenuto; ma ne abbiamo in mente anche un altro che magari ha fatto concretamente di meno ma ci ascoltava volentieri, ci guardava in modo nuovo, con un sorriso sempre pronto, paziente, con un abbraccio disinteressato, con quel perdono che non meritavo, quella volta là. Il secondo ci rimane nel cuore, nel pensiero, diventa un esempio, uno stimolo. Ecco: solo se ami entri nel cuore, altrimenti entri solo nei pensieri, magari nelle tasche ma non nel cuore.
Dio è così: inizia lui ad amarti, sempre, da capo, ogni giorno di più, proprio quando non te lo meriti, quando gli giri le spalle. Lui vive così con te e con quel dottore della legge che conosceva a memoria tutti i 613 precetti, li rispettava, ma non ci metteva il cuore. Per lui la vita era un percorso a ostacoli per non infrangere nessun precetto e rispettare tutte le regole, incominciando da quella del sabato; per Gesù la vita è un dono da fare ad amici e nemici, è amare in perdita, senza misura, senza parole, senza calcoli.
Il dottore della legge aveva una religione; Gesù ha una fede. La nostra non è una religione ma è una fede: se hai una religione sei tu che fai preghiere e gesti verso Dio, se hai una fede capisci che è Dio ad amare te. Il segreto è accorgerci quanto Dio ci ama, quanto è e fa per noi, quanto ci considera figli. Il resto è la nostra eventuale risposta.
Gesù non considera un nemico il dottore della legge ma uno da perdonare e da amare, questa è la svolta e risponde: ‘Amerai Dio con tutto il cuore, l’anima, la mente’, non solo a parole. Ma lui va oltre: ‘ama il prossimo, ama chi non è dei tuoi, chi non hai scelto, ama chi non se lo merita, ama senza pensarci su troppo altrimenti ti fermi e rinuncia. Ama perché sei amato. Quando ami il tuo prossimo, Dio è già lì, lo scopri lo incontri e lui si dona ancora di più a te! Fai della tua vita un dono di amore a te stesso e ai tuoi fratelli e sorelle, soprattutto a chi non l’ha ancora incontrato o è solo e stanco nel cammino della vita. Se non ami, sei già morto dentro, nel cuore!
Ricorda : "Dove si vive l’amore inizia il paradiso!"
XXIX Domenica del T.O. - 22 ottobre 2023
La sua immagine sul cuore
Terminata la fragranza della vigna, finita la festa per le nozze del figlio alla quale siamo invitati anche noi, per Gesù è il tempo della prova, del banco degli imputati, tempo di tranelli e alleanze inedite quella tra erodiani e farisei: nemici da sempre, alleati per mettere in croce il nuovo Messia, Gesù. Gli erodiani, alleati con Roma, difendevano l’imperatore e il potere romano, certi di ottenere benefici e interessi personali; i farisei difensori a spada tratta della legge, della Toràh che stabilisce che c’è un solo potere riconosciuto quello di Jahwè e nessuno lo può mettere in discussione, nemmeno l’imperatore. Posizioni inconciliabili ma che trovano un accordo quando c’è un nemico comune da condannare ed eliminare.
La questione posta sul tavolo è antica e seria: ‘E’ lecito pagare il tributo, la tassa a Cesare?’ Se Gesù avesse risposto di sì voleva dire che era alleato dei Romani, accettava la loro supremazia, si sottometteva all’imperatore e dunque sarebbe nemico del popolo, avrebbe adorato l’immagine di Cesare e dunque sarebbe un idolatra, un eretico, degno di morte. Se avesse detto di non pagare la moneta del tributo, allora significava che rifiutava i romani e la loro presenza e dunque poteva essere arrestato come oppositore dell’imperatore.
Si affilano le armi contro Gesù e si formano alleanze impensate per farlo fuori. Così va il mondo: ieri come oggi!
‘Rendete a Cesare quello che è di Cesare: e a Dio quello che è di Dio’: questa risposta geniale di Gesù ha attraversato i secoli e ce la ritroviamo anche noi, spesso dandole un significato diverso. Lo Spirito agisce, parla in Gesù e in noi: basta lasciarci ispirare e suggerire.
Innanzitutto la traduzione corretta non è ‘rendete’ ma ‘restituite’: abbiamo ricevuto tutto, e dobbiamo restituite a Dio e a Cesare e ai fratelli ciò che abbiamo ricevuto in prestito. Non siamo i padrini ma i custodi: non dimentichiamolo mai! Custodi del mondo, custodi delle persone che ci sono affidate, custodi degli amici, custodi della pace da costruire, custodi del pianeta, la nostra casa, custodi dell’aria, dell’acqua, della terra; custodi della Parola di Dio affidataci per accoglierla, viverla, amarla, testimoniarla.
Allora restituiamo a Dio ciò che gli appartiene e al potere, al mondo, alla politica, allo Stato ciò che gli spetta. Gesù introduce così una sana separazione tra politica e religione, tra Stato e Chiesa, tra città degli uomini e regno di Dio. Divisione che in altre culture non esiste ancora. Ci direbbe Cristo: ‘Vivi nel mondo, rispetta le leggi, costruisci il bene comune, sii un buon cittadino; e al tempo stesso sii credente, riconoscente verso Dio, sii come un figlio e ringrazialo con tutta la vita per avere un Padre così grande nell’amore.
Ci direbbe ancora: Cesare ha impresso la sua immagine sulla moneta per indicare che lui viene a comandare, ad imporre le sue leggi, a trattarti come un suddito; mentre Dio non ha bisogno di imprimere nessuna immagine, non vuole imporre la sua presenza, lui ti considera un figlio: la sua immagine è nel tuo cuore, nella tua vita, nel tuo pensiero, nel tuo modo di amare tutti come fratelli, nel perdono che doni ad altri pensando a come sei perdonato da lui. La sua immagine la trovi ovunque la cerchi, perché è dentro di te.
Un ultimo passaggio: a volte noi confondiamo le carte in tavola e prendiamo l’immagine di Cesare o di un influencer, o di un personaggio dello spettacolo, o di un calciatore, un politico, o il denaro, la carriera, il successo e la imprimiamo nel nostro cuore e questa usurpa il posto a Dio. Così adoriamo alcuni idoli e altre cose che diventano ‘dio’ per noi. In questo modo uccidiamo ancora Gesù, lo mettiamo ancora in croce, e deturpiamo l’immagine di Dio impressa in noi.
O Signore insegnami l’arte di ricostruire l’immagine tua in me, rifammi nuovo, rendimi l’uomo nuovo come dice san Paolo, fa’ che tutto il mondo partecipi al progetto meraviglioso da salvezza per ogni essere umano come è accaduto con il re Ciro nel libro di Isaia: fai brillare il tuo volto in me affinché io realizzi completamente quel progetto che tu hai mente per me e per ogni donna e uomo sulla faccia della terra.
XXVIII Domenica del T.O. - 15 ottobre 2023
Un Dio da sballo
Dopo tanti incontri, nella vigna, tanti frutti, ma anche delusioni, speranze infrante, promesse, dopo aver invitato a lavorare e ad amarla questa vigna, oggi siamo invitati a una festa, di nozze, per il figlio del re che si sposa.
Un Dio che fa festa non lo aspettava nessuno e forse non lo abbiamo ancora capito neanche noi. Preferiamo un Dio che da regole precise, sta sul trono, con la corona, noi tutti ossequiosi, in preghiera, e chi non ci sta, se ne vada pure: altro che festa!
Eppure... eppure quando nasce tuo figlio, fai festa, quando è il compleanno fai festa, sabato sera fai festa, quando sei promosso fai festa, quando trovi il lavoro fai festa, quando torni salvo dall’inferno della striscia di Gaza fai festa, quando torni dall’ospedale guarito fai festa. Allora come la mettiamo? E Dio non può far festa? No, lui no! Ce l’hanno sempre tenuto nascosto a catechismo qualche decennio fa che Dio ci prepara una festa.
Uno scrittore una volta pensò che voleva diventare ateo poi ci ripensò e disse: ‘Gli atei non hanno feste...”! Allora rinunciò a diventare ateo!
Invece noi, come gli invitati a festa, diciamo tranquillamente di no. E accampiamo le solite scuse, come quelli della parabola: ‘Non ho tempo, ho già mille impegni, non sono interessato, ti farò sapere!’ Perché crediamo che ci sia sotto l’inghippo: ‘Guarda che adesso mi invita alla festa, poi chissà cosa mi chiede, chissà cosa pretende da me'. Perché non ci fidiamo ancora e pensiamo che Dio ragioni come noi. Allora preferiamo le nostre belle festicciole con i 3, 4 soliti amici, senza sbilanciarci troppo, senza tanta spesa, senza sporcare troppo, senza imprevisti: senza gioia! Una festa da 6 meno! Un mezzo funerale.
Notare che lui ci invita non solo per partecipare gratis a una festa, ma per essere noi la sposa del figlio (infatti non c’è la sposa nella parabola). Ci mette al centro, è una festa a sorpresa: una festa col botto!
Di fronte al NO GRAZIE degli invitati, e di fronte ai nostri NO, lui non si ferma, rilancia, non si da per vinto, è un vero padre: ‘Andate ai crocicchi delle strade (e della vita) e tutti quelli che incontrate invitateli alle nozze’.
Due passaggi balzano agli occhi di questa parabola, gioiosa e apparentemente crudele: il primo è: ‘TUTTO E’ PRONTO; VENITE ALLE NOZZE’. Le nozze eterne sono già iniziate, il banchetto è pronto, già qui ora. Cristo è già tra noi, la festa è iniziata: abbiamo il Battesimo, la sua Parola, la fede in lui. Ma abbiamo tante sorelle fratelli che amiamo e ci amano, abbiamo questa vita, abbiamo un mondo, una casa a disposizione, abbiamo un Dio padre che fa festa per ogni invitato che partecipa, non si tira indietro e non considera un dovere lavorare nella vigna o partecipare e a quella festa ma la vive come un dono, una gioia immensa. L’eternità è già iniziata qui ora tra noi, nonostante missili, muri di confine, nonostante tragedie e morte. Siamo già nell’eternità di Dio: servono occhi nuovi per capire, osservare, far festa! Tocca a noi allargare questa festa a tutti, non escludere nessuno, invitare amici e… nemici (forse i nemici ne hanno più bisogno degli amici). Se hai la festa nel cuore, non esiste tragedia che ti può fermare e annientare.
Il secondo passaggio è quello in cui un invitato viene trovato senza la VESTE BIANCA: cosa è? cosa significa? Senza peccati, i migliori, chi dice sempre di sì? Chi è sempre a Messa? La veste bianca è essere rivestiti di Cristo, avere i suoi sentimenti, gioire per uno che si avvicina, pregare per chi si allontana, come fa lui, pregare come fa lui, amare, perdonare, donarsi, servire come fa Gesù: questa è la veste bianca. Chi non vive così, si estromette dalla festa con le proprie mani, si esclude da solo. Rivestiti della sua luce, da vivere e portare nel mondo!
O Dio innamorato: quanto dovrai ancora attendere il nostro sì, il nostro eccomi? Siamo ancora lontani dalla tua gioia e dal tuo cuore! Tu, come un amico fedele continui a invitarci, a preparare la festa, a prepararti il cuore per la nostra venuta ma noi rifiutiamo, non ci fidiamo, crediamo di avere tante cose da fare e l’essenziale lo mettiamo alla fine, mentre il superfluo invade le nostre giornate! Donaci la veste nuziale del tuo amato figlio e fa’ che anche noi diventiamo figli che, saltando di gioia come i bambini, viviamo la vita come una festa.
XXVII Domenica del T.O. - 8 ottobre 2023
Cosa farà il padrone?
Ancora parole forti, taglienti, ma intense come un abbraccio dopo una litigata furiosa, come un vento che sconvolge tutto ma poi il cielo è terso, come un Dio apparentemente adirato e che però non demorde ma continua a credere in quella vigna, a sperare nei frutti, a invitare operai a lavorare, e a cercare nuovi vignaioli, degni, affidabili, coraggiosi. La parabola ci appare cupa e di altro taglio rispetto ai brani dell’inizio del vangelo in cui Gesù guarisce, chiama i suoi, invita, sfama chi è affamato.
A noi balza subito agli occhi il finale tragico e violento, rosso come il sangue dei vignaioli omicidi: sembra che il padrone sia più violento di loro. Ma quando ti sta a cuore qualcosa o qualcuno, sei disposto a tutto.
Mi piace che Matteo chieda: ‘Cosa farà il padrone?’ Come domenica scorsa ha chiesto: ‘Che ve ne pare?’ Chiede non solo ai vignaioli ma anche a noi, gli interessa ciò che pensiamo, ci ascolta.
Al centro di questo brano non ci sono i vignaioli ribelli, nemmeno quella vigna dai dolci frutti, e nemmeno i servi che vanno dai contadini a chiedere i frutti ma al centro si staglia questo padrone, e il figlio! Lui ama la vigna e vuole frutti maturi per sfamare tutti i suoi figli: non considera figli solo chi lavora ma tutto il mondo. Lui è attento ai tutti, non ai pochi e chiede ai contadini di collaborare con il suo progetto, chiede di avere lo stesso sguardo, la sua passione, chiede di guardare tutti come fratelli e sorelle, non come potenziali rivali.
La vigna è sua, non nostra: il mondo è suo non nostro, questo oggi noi non lo abbiamo più chiaro, infatti mettiamo le mani su tutto, abbiamo eliminato Dio dalla nostra vita.
Il messaggio allora è chiaro: come il popolo eletto non è stato capace di allargare gli orizzonti, parlare e tutti, donare a ogni uomo i frutti maturi della vigna cioè quel regno di Dio annunciato dai profeti, così anche noi rischiamo di non aprire i nostri orizzonti, di considerare solo per noi questo Dio, questa Chiesa, questo mondo; rischiamo di guardare troppo a noi e poco agli altri, rischiamo di perderci il bello di questa vita, di questo mondo, di questa chiamata a esserci, a far festa perché questo padrone considera tutti suoi figli e non dorma di notte se uno solo si è perso.
Invece di aprire anche noi mente e cuore, ci chiudiamo, andiamo avanti come sempre senza farci tante domande che riteniamo inutili; e allora roviniamo, adulteriamo, cambiamo le carte in tavola e invece di buttar giù qualche barriera, ne costruiamo di altre per proteggerci da chi viene a ‘pretendere’ a casa nostra. Dimenticando che i frutti della vigna non sono solo per noi ma per tutti, che la Parola di Dio è per tutti, che il mondo è per tutti, che i beni della terra sono per tutti non solo per gli occidentali, che l’aria è per tutti, che la terra da coltivare è per tutti non solo per chi ha i soldi per comprarla, che la libertà è per tutti e ogni uomo ha il diritto di cercarla anche al di fuori del proprio Paese, che la scuola è per tutti non solo peri più intelligenti, che quel figlio che ti è stato donato è per il mondo, andrà per il mondo, non è a tua disposizione, per riempire il tuo vuoto o per accompagnarti nella tua vecchiaia, che la Chiesa, comunità non dei migliori, ma dei servi, è per tutti.
Dovremmo leggerla più spesso noi educatori questa parabola: brucia un po’ sulla pelle e nello stomaco, ma ci fa bene: siamo ancora troppo ripiegati su di noi, magari anche a contenderci tra contadini della parabola qualche grappolo d’uva anziché cercare di produrne ancora di più per tutti.
Come i contadini hanno ucciso i servi e soprattutto il Figlio, così anche noi continuiamo a ucciderlo ogni volta in cui gli diciamo di star fuori dai nostri traffici, di fare le sue prediche e non darci fastidio, gli diciamo che siamo capaci noi di decidere, e che prima i frutti sono per noi e poi, se avanza qualcosa (ma certo non avanzerà niente), daremo qualche briciola agli altri, ma solo perché noi siamo bravi e generosi.
Così va il mondo; ma noi chiamati da Gesù ad amare questa vigna non ci stiamo e cerchiamo di allargare i nostri orizzonti a volte un po’ troppo strettini!
Il papa ci ha donato una breve enciclica LAUDATE DEUM, ascoltiamo: “Sono passati ormai otto anni dalla pubblicazione della Lettera enciclica Laudato si’, quando ho voluto condividere con tutti voi, sorelle e fratelli del nostro pianeta sofferente, le mie accorate preoccupazioni per la cura della nostra casa comune. Ma, con il passare del tempo, mi rendo conto che non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura. Al di là di questa possibilità, non c’è dubbio che l’impatto del cambiamento climatico danneggerà sempre più la vita di molte persone e famiglie. Ne sentiremo gli effetti in termini di salute, lavoro, accesso alle risorse, abitazioni, migrazioni forzate e in altri ambiti.
O Signore, quando capiremo il tuo cuore? Quando imiteremo il tuo sguardo? Quando ci sentiremo lavoratori nella tua vigna per il bene di ogni donna e uomo di questo mondo? Quando capiremo che tutto quello che è nelle nostre mani non ci appartiene ma è per la felicità di tutti? quando ci comporteremo finalmente non da contadini ribelli ma da figli che imitano te, padre buono?
XXVI Domenica del T.O. - 1 ottobre 2023
Un regno di ladri e prostitute
Va a cercarsele proprio tutte questo Messia che parla apertamente, che accoglie ladri e prostitute e dice che ci passeranno davanti nel regno di Dio. Va a cercarsele davvero lui che dice di perdonare sempre quel disgraziato là e fa capire a farisei e scribi, operai della prima ora che così proprio non va e che devono accogliere anche chi non è giudeo e desidera abbracciare il suo Vangelo. Senza lamentarsi se la paga è uguale a chi ha lavorato soltanto un’ora.
Va a cercarsele, o meglio, va a cercare gli ultimi per farli i primi figli del suo regno e fa capire ai primi che non devono avere delle pretese e devono essere felici se arriva qualcun altro in questa Chiesa santa e peccatrice; starci con lo stile di questo Dio, di questo Messia servo, starci all’ultimo posto quello che noi rifiutiamo perché, al contrario, ci sentiamo degni del primo posto!
Questi 2 figli in realtà non sono soltanto 2 persone distinte ma le 2 anime che coesistono in noi, 2 atteggiamenti: vorremmo dire sì e poi fare sì ma spesso le nostre 2 anime sono in conflitto in noi, lottano e ci tirano una da una parte e una dall’altra. ‘Non faccio il bene che voglio - dice san Paolo - ma il male che non voglio’. In conflitto nel modo di stare in quella vigna che vedono come un obbligo, un dovere, ci stanno col piede alzato, pronti a mormorare, a criticare, pronti ad arrivare all’ultima ora per farla franca; invece quel padre continua ad invitare, a cercare nuovi operai, chiama anche all’ultima ora e si accontenta di questi 2 figli disubbidienti e inaffidabili che vivono come un peso quel lavoro, quella vigna, quell’invito, quel vino buono.
Il messaggio per noi è chiaro: non tanto nello stabilire a quale figlio assomigliamo ma nel domandarci come ci sto nella vigna della Chiesa, con che stile, con quale slancio: per dovere o per scelta, per obbligo o per desiderio, come una tassa da pagare o come un dono immeritato? Come in sala d’attesa dal dentista o come una serata con gli amici? Come ci stai, come guardi a quel padre, come consideri i tuoi compagni di viaggio? Come fratelli di una sola famiglia o come intrusi che rovinano la mia tranquillità? Come ci sto in famiglia, come ci sto in questo mondo? Chiamato per un progetto di salvezza, per tendere una mano, per migliorare questo mondo oppure pronto a recriminare, a lamentarmi, a dare la colpa delle mie disgrazie agli altri? Prometto di starci e di farmi su le maniche o dico di no e poi mi pento e ci vado?
Ladri, farabutti, prostitute, criminali possono passarmi avanti nel regno di Dio perché loro magari, dopo un invito, una proposta, un ‘No’, hanno cambiato idea e hanno cambiato strada. Noi invece invece no, fissi nelle belle idee, facendo tante iniziative ma senza cuore, senza slancio, con l’orologio in mano, aspettando che vadano avanti prima gli altri e poi, forse, vengo anch’ io.
O Signore, padre della vigna, noi siamo peggio di quei figli perché a volte nemmeno ascoltiamo il tuo invito: abbiamo altri progetti, i nostri, lontano dalla vigna, lontano dal tuo sguardo di madre e di padre. ‘Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna’. Insegnaci a imitare la tua passione, il tuo desiderio di fare di quei figli una sola famiglia e di quella vigna una casa accogliente, un nido, spalancando le braccia come hai fatto tu per abbracciare il mondo intero. Donaci il coraggio di fermarci, gustare quel tuo sguardo di padre, il solo che può cambiare qualcosa in noi e farci passare da operai negligenti a figli innamorati.
XXIV Domenica del T.O. - 17 settembre 2023
Perdonati!
Ci siamo! Dopo il ‘vai dietro a me, satana, perché non pensi secondo Dio’ e dopo il ‘Se tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo…’ , oggi tocchiamo il vertice, il cuore di Dio, oggi siamo in vetta, appesi a una corda, abbiamo paura di precipitare giù: oggi Dio è vertigine pura!
Sul perdono noi non ci capiamo niente, perché non fa parte di noi, è una cosa estranea, lontana, che non fa parte dei nostri schemi.
Meraviglioso il testo del Siracide: ‘rancore e ira sono cose orribili e il peccatore le porta dentro. Chi si vendica subirà la vendetta del Signore… Perdona l’offesa del tuo p rossimo…’
Invece Pietro, al solito, ci capisce poco, o niente. ‘Fino a 7 volte dovrò perdonare al mio fratello se pecca contro di me?’ Notare che la legge diceva di perdonare 3 volte, quindi Pietro esagera, pensa di essere bravo, va oltre la legge; ma Gesù rilancia: Pietro, non contare quante volte, perché Dio Padre non fa così con te. Chi ama, non conta, ma usa il 70 volte 7 cioè SEMPRE!
Oltre il buon senso: se cerchi il buon senso non cercarlo nel Vangelo, e se credi di trovarlo nel Vangelo, allora quello é il tuo vangelo, non quello di Cristo! Dio non ha misure, ha solo la misura del sempre (perdono ) e del mai (odio).
Allora Gesù racconta la famosa parabola dei 2 servi: il primo ha un debito enorme verso il padrone; avrebbe dovuto lavorare più di 100 anni per pagarlo, una cosa infinita. E viene perdonato, completamente: ‘il padrone ebbe compassione di quel servo'. Gesù si ferma, osserva, ha compassione, ama in modo viscerale, senza pregiudizi. E perdona: lui è onnipotente… nel perdono.
Ma il servo perdonato trova un altro servo che gli doveva una cifra più modesta ma non lo perdona.
Che cosa è accaduto? Che il primo servo è stato capace di ricevere ma non di donare.
Qual è il senso di questo brano? Ricorda quanto sei perdonato da Dio, ricorda quanto si dona a te, ricorda che non ti ha mai fatto pagare il tuo debito, ricorda che il suo perdono non te lo meriti mai e sei lontano dalla sua misericordia. Ricorda altrimenti non sarai capace di vivere da risorto in mezzo ai fratelli.
Se non partiamo da qui, da questo brano, da questo cuore che ha Dio verso di noi, ogni perdono diventa impossibile, assurdo, disumano persino. Infatti noi diciamo: come posso perdonare se qualcuno fa del male a mio figlio, se qualcuno violenta mia moglie, se qualcuno rovina la mia famiglia, se qualcuno tocca mio fratello, mia mamma anziana?
Disumano, assurdo! Eppure Dio ti chiede di guardare a quanto lui ti ha perdonato, ti invita a guardare il tuo cuore, il cuore di Dio e a non voler male nemmeno a chi ti ha fatto del male.
Se hai odio, risentimento, rancore verso qualcuno ti avveleni la vita, la rovini a te e alle persone che ami; invece chi ha il coraggio dell’amore e del perdono, rifiorisce, rivive, ama ancor di più e semina felicità nel mondo e sa trasformare il male in bene . Sa apprezzare il perdono di Dio e lo sa donare a tutti.
‘Se ami quelli che già ti vogliono bene, cosa fai di straordinario? Ama invece chi ti vuole male o ti giudica’ Allora sarai figlio di Dio.
L’amore vero inizia quando l’altra/o non se lo merita più!
Alla fine del brano il padrone punisce il servo crudele: in realtà Dio non condanna né castiga ma indica che chi odia si condanna con le proprie mani a una vita chiusa, arida, spenta, ripiegata su di sé e senza vie di uscita; una vita che non val la pena vivere.
O Signore, onnipotente nel perdono: fa’ che ricordiamo sempre e ogni giorno quanto tu ci ami, e ci perdoni perché perdoniamo ‘di cuore’ al nostro fratello per 'guadagnarlo' (vedi domenica scorsa) al regno di Dio e perché noi assomigliamo di più a te. Solo il perdono rigenera, fa rivivere, fa rinascere: chi perdona e chi viene perdonato: SOLO L’AMORE E’ CREDIBILE!
XXIII Domenica del T.O. - 10 settembre 2023
Guadagna!
‘Non siate debitori di nulla, se non di un amore vicendevole’. Paolo dice ai fratelli di Roma questa semplice regola di vita: siate debitori verso gli altri, verso gli ultimi, verso tutti. Pienezza della legge è la Carità’. Solo se vivi con carità rispetti totalmente la legge: ma se nel tuo cuore non c’è carità, allora ogni legge diventa falsa, ipocrita.
Perché ci sentiamo debitori? Brutto sentirsi debitori, ti senti sempre in salita, in ansia: vuol dire che non riesco mai a pagare il mio debito? Come un mutuo che non si esaurisce mai? All’infinito? Magari l'altro non si merita nulla? Debitori perché Dio fa così: decide di essere in debito con noi! Ci hanno sempre insegnato che siamo in debito con Dio e siamo sempre in peccato, sempre lontani, sempre in deficit (qualcuno si confessa, fa la comunione una volta e poi basta perché si sente nel peccato, in debito… Questo si chiama paganesimo!). E’ l’esatto contrario: Dio è in debito verso di te e verso di me. Ma siamo sicuri? Un Dio in croce significa proprio questo.
Lo stesso tema affiora anche nel Vangelo: sentiti debitore verso il fratello che ha qualcosa contro di te. Attenzione: non se tu hai qualcosa verso di lui ma se lui ha risentimento, avversione, ostilità verso di te. Un altro paio di maniche! Gesù cambia, porta a compimento, apre nuovi modi di vivere e guardare il mondo e i fratelli! Debitore perché fratello: fratello perché figlio dello stesso Padre. Debitore perché Dio è debitore di perdono e amore verso di te.
Ma la svolta decisiva del Vangelo è data da un verbo che conosciamo bene, che usiamo spesso e il cui significato lo abbiamo ben chiaro: il verbo ‘guadagnare’. “Se ti ascolterà, avrai ‘guadagnato’ il tuo fratello”. Guadagnare per noi ha a che fare con lavoro, paga, aggiungere, ricevere in cambio qualcosa: ‘che cosa ci guadagno?’ mi chiedono i ragazzi se dico a loro di pulire una stanza dell’oratorio. Se faccio un favore a qualcuno mi chiedo: ma io cosa ci guadagno? Giustamente chi lavora deve guadagnare per la famiglia. Difficilmente facciamo qualcosa ‘gratis’. Ma se lo facciamo siamo più felici.
C ‘è un altro passaggio nel Vangelo che parla di guadagno: ‘Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la propria anima?’
Matteo va oltre il solito significato di guadagno! Sembra che il cristiano sia sempre quello che china il capo, accetta tutto, le prende da tutti, mentre noi insegniamo ai ragazzi che bisogna farsi valere, difendersi, non farsi mettere i piedi in testa da nessuno!
Gesù rilancia: prova a guadagnare il fratello, prova a rispondere con un’altra moneta, prova a fargli vedere che c’è un modo nuovo di amare. Allora parla personalmente, digli ciò che non va; poi con 2 amici vai da lui, poi dillo a tutti. L’importante è cercare di ‘guadagnarlo’, di non perderlo! Guadagnare cioè non perderlo nel regno dei cieli, non perderlo in paradiso, non perdere la sua testimonianza in cielo; perché nel regno dei cieli avremo bisogno di qualcuno che ci difenda, ci presenti a Dio, che presenti il nostro curriculum e dica a Dio: ‘Occhio: questo qui si è preso cura di me, mi ha cercato, mi ha guadagnato, ha perso tempo, pazienza, soldi con me: te lo raccomando!’
E Dio ascolterà gli umili e gli ultimi.
Guadagna tua sorella, tuo fratello e ti sarai ‘guadagnato’ un posto non solo in cielo ma già qui in terra: il posto che non vuole nessuno: quello accanto al Signore, quello del servo!
XXII Domenica del T.O. - 3 settembre 2023
Onnipotente nell’amore
Non se lo aspettava certamente Pietro di essere trattato in quel modo e essere chiamato addirittura: satana. Lui che voleva difendere, proteggere il maestro dai farisei, dai Romani. Lui che lo ha seguito fin dalla prima ora e avrebbe dato la vita per lui. Ma questa volta, Gesù ha esagerato e chissà cosa ha provato Pietro, chissà che angoscia e forse delusione. Gesù all’inizio era diverso, noi discepoli eravamo una cosa sola, la gente ci seguiva, lui parlava del Padre, faceva molti gesti e noi abbiamo lasciato casa, lavoro, e lo abbiamo seguito ma adesso, è cambiato tutto.
‘Per favore possiamo tornare indietro, alle origini? Era così bello, prima...’ Recita un bellissima canzone di Jesus Christ Superstar.
In realtà, Gesù ama Pietro più ora rispetto alle origini, in realtà Gesù sta mettendo in crisi una idea sbagliata di Dio che aveva lui e abbiamo anche noi.
Troppo bella, troppo umana l’idea di un Dio vincente, onnipotente, che sbaraglia tutti e vince su tutti; troppo lontana da un Dio grande nell’amore, un Dio che si rivela non quando fa qualche bel miracolo ma quando si dona in croce, quando accetta la croce sulle spalle, quando paga di persona , quando perdona chi lo sta uccidendo, quando su tutto prevale sempre quell’amore totale, unico, incondizionato.
Gesù sta facendo capire a Pietro e a noi che all’origine del male e del nostro peccato c’è una idea sbagliata di Dio che ci porta fuori strada: ogni volta che cerchi un Dio potente, vincente, un Dio che castiga i cattivi e premia i buoni, ogni volta che hai in mente un Dio a tua immagine, sei fuori strada, stai imboccando la strada del demonio, in te agisce il demonio, anzi SEI satana verso te stesso e verso i tuoi amici.
Ma ogni volta che accetti la croce, la porti sulle spalle, ogni volta che accetti una ingiustizia, ogni volta che trasformi il male in bene, ogni volta che perdoni chi non se lo merita, ogni volta che metti da parte il tuo io e ti lanci perché hai intuito che lo Spirito ti porta in quella direzione, ogni volta che rinunci a capire tutto con la tua testa e ti lasci guidare dal l’amore, allora non sei satana ma sei discepolo, stai portando la croce, stai seguendo Gesù.
Quando leggo questo Vangelo mi viene sempre in mente la storia di una mamma in attesa del secondo figlio; durante la gravidanza le viene diagnosticato un tumore che necessita di radio e chemio terapia. Ma le rinuncia alle cure per evitare di danneggiare il feto: intanto la malattia procede. Il bambino nasce sano e lei inizia le cure ma è troppo tardi e non sopravvive. Caso limite? Forse. Senz’altro il caso di chi ha preso sul serio lo sguardo, le parole, la croce di Gesù e l'ha portata fino alla fine mettendo al primo posto l'amore e quel Dio appeso in croce.
Allora Dio non è onnipotente, se ha lasciato morire quella mamma? Non poteva salvarla? Non poteva salvarci in un altro modo? Per forza la croce?
Dio è onnipotente solo nell’amore: può vivere l’amore in modo totale, pieno, senza misura, ma non chiedergli di essere un dio come vogliamo noi, un dio da ‘troppo comodo il mio divano’, un dio da ‘così buono il panino del Mc donald’, un dio usa e getta, un dio ‘fammi andar bene l’esame’, un dio ‘a mia immagine e somiglianza’, un dio ‘vado a Messa quando me la sento…’, un dio ‘l’importante è non far male a nessuno’ . Un dio così non ha mai cambiato la storia; il Dio di Gesù ha cambiato il cuore dell’uomo e poi la storia.
O Signore, sempre più innamorato di Pietro e di me: sono satana ogni volta che ti riduco al mio basso profilo. Tu ci hai fatti per volare in alto, per portare la croce e per salvare il mondo. Certo, sei tu che lo salvi, ma chiedi a me di fidarmi di più della tua Parola, del tuo sì e del tuo modo così poco umano ma molto divino di vedere le cose.
Il rischio è perdere la propria vita, sciuparla, non viverla a pieno: con te invece posso rifiorire e diffondere nel mondo insieme alla pesantezza della croce, anche la gioia di una vita vissuta per amore.
XXI Domenica del T.O. - 27 agosto 2023
Sondaggi
Erano già di moda a quel tempo i sondaggi: cosa dice la gente, cosa pensa? Come mi vede, come mi giudica? Chiede Gesù ai suoi. Cosa pensano dietro le spalle, nei corridoi, in piazza, tra 3 o 4 amici, nei luoghi non ufficiali in cui ti senti libero di criticare, lodare, accusare, smentire, senza timore che qualcuno ti dica: perché? Spiegami. Che cosa non va?
Proprio in quei luoghi Gesù chiede di entrare non per curiosare ma per entrare nel cuore della gente. Non teme critiche e accuse, desidera solo la verità per poi rivelare la verità sull’uomo, su ogni uomo.
Siamo nell’era dei sondaggi, dell’audience, delle statistiche: non fai a tempo a cercare in internet quali scarpe, quale auto comprare, quale albergo prenotare, che il giorno dopo ti ritrovi sul computer offerte speciali su scarpe, auto, alberghi; ciò che pensiamo, ciò che desideriamo sta a cuore a molti, semplicemente perché possiamo far guadagnare molti soldi. Abbiamo inventato anche l’intelligenza artificiale che ben presto penserà al nostro posto, scriverà al nostro posto, esprimerà opinioni al nostro posto, finché non sapremo più cosa è giusto: se ciò che crediamo noi o ciò che affermano gli algoritmi.
A Gesù stiamo a cuore per altri motivi: gli interessa la nostra coscienza, la nostra felicità, la nostra salvezza, il nostro cuore.
E continua: ‘Ma voi chi dite che io sia?’ E’ la domanda dei bambini ma anche degli innamorati, di chi ha il coraggio di guardarti negli occhi senza pregiudizi, perché gli stai a cuore, perché c’è qualcosa di grande che ti lega già a quella persona e non vorresti che nulla incrinasse quel rapporto. E’ la domanda di chi guarda dentro, all’essenziale e sa che ciò che conta è lo spazio che riservi a quella persona dentro di te. Le azioni vengono dopo: se qualcuno ce l’hai nel cuore, allora tutto cambia, tutto si trasforma.
Pietro da la risposta corretta, giusta: bravo Pietro! Ma Gesù sa bene che la risposta vera Pietro la dovrà dare in un altro momento: la darà quando Gesù sarà arrestato, sarà insultato, picchiato, messo in croce. La risposta vera sarà quando dopo la resurrezione di Cristo, si tratterà di uscire dal cenacolo e rischiare la vita per annunciare la bella notizia che Gesù era risorto. In quel momento Pietro darà la vera risposta della sua vita, quando rischierà e pagherà di persona.
E la mia risposta quando arriva? Magari è già arrivata, magari no. Quanto sono disposto a perdere per dare la mia risposta alla domanda di Gesù? Quanto ci metto del mio? Quanto rischio, quanto tiro fuori della mia persona? Ci metto la faccia? Ci metto il mio sì? Quanto sei disposto a perdere, di fronte agli altri che ti dicono: chi te lo fa fare? L’amore vero inizia quando l’altro/a non se lo merita più!
Chi te lo fa fare a pregare di più, a perdonare quel collega, a tirar fuori di tasca tua per aiutare quella famiglia? Chi te lo fa fare a rinunciare a fare vacanze alternative come alla GMG, o fare volontariato senza far pesare niente a nessuno, all’insaputa di tutti, nel silenzio, o a sopportare amici, familiari che non ti vogliono più bene o ti rifiutano e tu fai buon viso a cattivo gioco. Chi te lo fa fare a ragionare secondo il Vangelo e a metterlo al primo posto senza pensare al giudizio della gente…
Un mio caro amico ha fatto un sondaggio chiedendo il mio parere su un argomento che ci riguarda come Chiesa: perché non far venire in Italia preti dall’estero, visto che da noi mancano e invece in Africa o Polonia ce ne sono molti? Lui aveva già fatto questo sondaggio con altri e aveva colto opinioni differenti. Io ho risposto: il problema non è quanti preti ci sono in Italia ma quanto siamo cristiani, quanto ci crediamo, quanto ci mettiamo in gioco. Il problema siamo noi, la nostra fede, e la risposta che diamo a quella domanda di Gesù. Chi sono io per te? Dalla nostra risposta dipende la fede che troveranno i bambini i ragazzi nel mondo di domani.
‘Tu sei Pietro e su di te costruirò la mia Chiesa’. Gesù si fida di Pietro, lo pone al vertice della Chiesa. Gesù si fida di te, di me, ci affida una missione, un compito, scommette su di noi chiesa, credenti di oggi per annunciare al mondo la bella notizia del suo Vangelo.
Conserviamo nel cuore la domanda di Cristo oggi: 'Tu chi dici che io sia? Chi sono io per te?'
XX Domenica del T.O. - 20 agosto 2023
Briciole di Dio
Solo ‘Signore pietà’, grida la donna e inizia uno degli incontri più veri, ruvidi e intensi del Vangelo: al centro questa donna cananea, il dolore per la malattia della figlia. Ne ha già provate tante: santoni, guaritori, taumaturghi, ma niente: prova allora con Gesù che tanti chiamano Messia, figlio di Davide. Non ha nulla da perdere, la donna.
I discepoli, come altre volte, non ci fanno una bella figura: chiedono a Gesù di esaudirla, non perché soffre, non perché è in pena, non perché Gesù è il vero salvatore ma perché da fastidio, ‘ci rovina la reputazione, che cosa dirà poi la gente?'
Inizia il colloquio ma subito appare un Gesù scostante, ostile che tratta con avversione la donna cananea; all’inizio non le rivolge neppure la parola e poi continua: 'Io sono venuto per le pecore perdute di Israele' non per voi cananei, paragonati addirittura a cani, animali immondi per gli ebrei.
E’ spigoloso Gesù, come mai? Perché sembra rifiutarla e allontanarla? Non ha fatto niente di male: e subito lo mettiamo sul banco degli imputati questo Dio che non rientra nei nostri schemi, non usa le belle maniere che ci piacciono tanto: mette in crisi la donna e anche noi.
Prima lezione: non applichiamo a tutta la realtà i nostri schemi, ma lasciamoci prendere per mano e poi capiremo. D'altro canto la vita è così: qualche tempesta (vedi domenica scorsa) prima o poi arriva: stacci dentro e crescerai!
La donna non si arrende, chiede, insiste, lo chiama ‘Signore’ anche quando Gesù le affibbia quell'insulto: ‘cane’. Il suo dolore è troppo lancinante e la sua fede troppo forte per arrendersi: ‘anche i cagnolini possono cibarsi delle briciole che cadono dalla tavola del padrone’.
Seconda lezione per noi: l’umiltà! Questa donna non teme insulti, non si offende, si piega, ma resiste: è resiliente, si dice oggi. In mezzo a tanti falsi maestri che invadono il campo in modo inappropriato, lei si umilia, accetta, accoglie, incassa. Non risponde allo stesso modo, e rilancia.
Si accontenta delle briciole consapevole di essere un’ultima, senza diritti, solo il diritto di gridare senza pretese: quanti ultimi del mondo gridano il loro dolore e il mondo non li ascolta, nessuno si ferma, nessuno risponde. Solo le nostre briciole basterebbero per risolvere tanti problemi del mondo, invece andiamo avanti come sempre e la forbice si allarga sempre più!
La donna, senza nome, in realtà ha un cuore, un’anima, una grande fede che supera quella di scribi e farisei che Gesù definisce ipocriti. La sua figura alla fine del brano giganteggia, esaltata dalla sentenza di Gesù: ‘Donna, davvero grande è la tua fede’ .
Terza lezione per noi: la fede della donna. Immensa, che supera persino i rimproveri di Cristo. Addirittura sembra insegnare a Gesù che non ci sono figli e cagnolini, ebrei e cananei, ma tutti figli di un solo Dio, alla stessa mensa. A che punto è la mia fede? Cresce, è sepolta? Assomiglia alla fretta di Maria che si alza e corre da Elisabetta? Mi sostiene nella tempesta?
Mi sono chiesto: perché Gesù è passato per Tiro e Sidone, in territorio fenicio, pagano, dove non ci sono ebrei e perché Matteo ebreo che si rivolge a ebrei sottolinea questo? Ci è andato proprio per far vedere ai suoi discepoli cosa è la vera fede, quella di una donna che non pretende nulla, non chiede diritti, accetta persino di essere respinta ma continua a invocare Dio. Matteo da una lezione ai suoi connazionali e mette questa donna sul piedistallo: i lontani si avvicinano mentre i vicini rischiano di non accorgersi di questo Dio sulle loro strade.
O Signore, solo una briciola del tuo pane, mi guarisce, mi dona la salvezza vera, quella del cuore. Donami l’umiltà della donna, donami la forza di quella preghiera fatta di sole 2 parole che addirittura fanno cambiare il cuore di Gesù: ‘Signore, aiutami’. E insegnami la fede della donna, fede che guarisce, che da speranza, che supera persino l’apparente ostilità di un Dio sordo: fede che salva, fede che sostiene e da vita a chi è sull’orlo della morte.
Assunzione di Maria - 15 agosto 2023
Di cosa ti stupisci?
Oggi è un’altra festa della donna: due donne si incontrano, partono per un viaggio unico. Attendono un figlio in modo insolito. I loro uomini arrivano dopo, come spesso accade. Guidate dallo Spirito, esultano di gioia per un dono grandioso. Donne che lasciano spazio a Dio, alle sue grandi opere, che non si mettono in mostra ma mostrano ciò che lo Spirito compie in chi è disposto ad accoglierlo.
Maria va in fretta, decisa: quando hai una notizia sconvolgente, quando hai un amore che ti spinge, non ci pensi 2 volte: parti senza pensarci su. Anche il tema della GMG era questo: ‘Maria si alzò in fretta’, dove il verbo alzarsi è quello della resurrezione. Maria risorge nel cuore, guidata dallo Spirito .
Il papa ha invitato i giovani a non aver paura, a superare ogni timore e a diventare testimoni della gioia senza riserve. Ha detto loro di stare sullo stesso piano degli altri, non al di sopra: si può stare al di sopra solo per tendere la mano a qualcuno per aiutarlo a rialzarsi; quella è l’unica occasione in cui si può stare al di sopra di altri.
Siamo fatti per il cammino, per muoverci, nel corpo e nello spirito: lasciare e trovare qualcosa di nuovo, consapevoli che in qualcuno che incontriamo c’è sempre da imparare, e troviamo qualcosa anche di noi stessi, sepolto sotto la polvere.
Maria ed Elisabetta ci insegnano lo stupore, ci insegnano a stupirci di ciò che ci accade, senza dare nulla per scontato: siamo a corto di stupore oggi: ascoltiamo canzoni che conosciamo già da anni, andiamo in vacanza dove siamo andati molte volte, facciamo fatica a salutare per strada uno che non conosciamo, a volte non conosciamo neppure i nostri vicini di casa. Ripiegati sul passato, facciamo fatica a scorgere i segni di una nuova alba della storia, della Chiesa, novità che fioriscono intorno a noi. Dio invece lascia il suo cielo per diventare pellegrino sulle nostre strade: questo ci deve stupire ogni giorno e chiediamo di saperci stupire ancora per le piccole grandi cose che compie in noi e intorno a noi.
Zaccaria, marito di Elisabetta non ha creduto, non si è stupito ed è diventato sordo e muto, tutto ripiegato sui riti, sui doveri di sacerdote, non si è accorto di ciò che gli stava accadendo sotto il naso: se non siamo capaci di stupirci, allora diventiamo anche noi sordi al grido dei fratelli e muti, incapaci di raccontare le grandi opere di Dio.
Maria esulta, gioisce, ringrazia. Loda in quel capolavoro che è il ‘Magnificat’: il segreto per noi credenti del 2000 è quello di stupirci ancora, gioire, e lodare per le grandi opere che Dio continua a compiere: però servono occhi nuovi per contemplare e scorgere i suoi passi tra noi.
Maria donna nuova, insegnaci a stupirci per i segni che Dio compie in noi e intorno a noi. Fa’ che con la nostra vita pronunciamo il Magnificat e ti lodiamo per ciò che realizzi sempre in noi. Cerca ogni giorno ciò che ti stupisce ancora oggi e contempla i passi di un Dio che fa festa sempre per ogni nostra partenza.
XIX Domenica del T.O. - 13 agosto 2023
Più forte di ogni tempesta!
Gesù guarda in faccia le tempeste, non le evita anche se non le cerca. E invita i suoi a non scappare. Appena prima del brano letto oggi c’è la moltiplicazione dei pani e dei pesci: un momento di grande gioia, un segno prodigioso che però comporta il rischio che tanti li seguano solo per quel pane gratis. Allora Gesù si ‘tira fuori’ da quelle ovazioni e applausi e prega; ma tira ‘fuori’ anche i suoi, li porta altrove sulla barca, nel mare tanto temuto dagli ebrei.
Un bel momento di tranquillità con i suoi si trasforma in un incubo: arriva la tempesta! All’improvviso il terrore!
Quando tutto sembra filar liscio, occhio alle tempeste. Quando il matrimonio va bene, ci sono gli amici, il lavoro, magari la tua bella fede, quando tutto gira come avevi pensato e programmato, ecco la tempesta: che si chiami guerra, malattia, incidente, crisi affettiva, delusioni, crisi familiare, tradimento, …. Sempre di tempesta si tratta che ti toglie speranza, ti sconvolge i piani, ti fa vedere tutto nero e ti paralizza.
E sei solo con le tue nude forze e con quella tempesta infinitamente più grande di te. E ti vien subito voglia di abbandonare il campo, di imprecare, di dire che non ce la puoi fare e magari che Dio e tutti gli altri ce l’hanno su con te.
Sia chiaro: non è Dio a mandarci le tempeste perché siamo stati peccatori! Non vengono da lui ma dalla vita stessa.
In ogni caso, Dio e la fede in lui non ti mettono al riparo dalla tempesta ma ti danno la forza per affrontarla da figli di Dio, da credenti, da risorti.
‘E’ un fantasma’ gridano gli apostoli terrorizzati dalla paura e da quel Dio che sembra impotente e distante. La paura ci paralizza e non vediamo altro che fantasmi e cerchiamo vie d’uscita comode alle nostre crisi, e Dio che nei momenti felici preghiamo, invece nella tempesta lo vediamo come un fantasma, non lo riconosciamo più e ci fa paura! E non ci crediamo che lui può camminare sulla tempesta perché è il Dio che ha fatto cielo e terra.
Anche guardando gli eventi del mondo e della Chiesa pensiamo che Dio ci abbia dimenticati. Guerre, lotte, contrasti, carenza di vocazioni nella Chiesa, poca fede: allora andiamo a ripiegarci sul passato, su riti e forme superate; anziché aprirci alle novità dello Spirito, ci rifugiamo nel passato glorioso della Chiesa e rincorriamo i fantasmi e non riconosciamo più il Signore nella nostra vita, sia quando ci dona il pane, sia quando ci sostiene nella tempesta.
'Coraggio, sono Io, non abbiate paura': quel ‘Sono io’ in realtà è ancora l’Io sono‘ dell’Esodo quando Jahwèh si rivela a Mosè!
Paradigmatica è la risposta di Pietro che chiede di venire sull’acqua: inizia a camminare ma dopo pochi passi, affonda! Inevitabilmente.
Ma quando Pietro toglie lo sguardo da Gesù, quando non ce l’ha più nel cuore, quando non lo abbraccia più, allora entra la paura, entrano i fantasmi, entra il demonio che gli sussurra: ‘Non ce la fai, vedi che tempesta violenta, Dio ti ha abbandonato…’ Quando non lo abbracciamo più, non lo teniamo nel cuore, quando non gli diamo in mano le chiavi della nostra vita, allora ogni acquazzone, o pioggerella o folata di vento ci sembrano uragani: ogni litigio, incomprensione, ogni momento di solitudine ti sembrerà una prova più grande di te e ti sembrerà che Dio abbia voltato la faccia.
Gesù ci insegna che anche la tempesta può essere utile a rafforzare la fede, a irrobustirci, a purificare la nostra fede, a capire che Lui c’è sempre e proprio nella solitudine ci parla e ci fa capire qualcosa di unico su di me e su di Lui.
Non le cerchiamo le tempeste ma siamo certi che nella tempesta la nostra fede si rafforza: una stella alpina che cresce in cima a una montagna e ha superato cento tempeste non ha paura di niente; un fiore cresciuto in una serra protetto e riparato alla prima folata di vento, muore.
Tutto è grazia diceva Bernanòs; tutto, nelle mani di Dio, si trasforma e diventa l’occasione per far crescere quel granello di senape e farlo diventare un grande albero; tutto è occasione per far crescere il regno di Dio.
Dio che sei Signore anche della tempesta: vinci le mie paure e le paure della Chiesa di oggi. Abbiamo bisogno di fidarci ancor più di te, di fissare lo sguardo su di te come ricordava il papa ai giovani alla GMG. Allora nessuna piccola tempesta ci allontanerà da te, anzi sarà l’occasione per capire che anche se tutti ci abbandonassero, tu non ci lasci mai soli.
XVII Domenica del T.O. - 30 luglio 2023
Perle e fondi di bottiglia
C’è un regno che avanza, si diffonde, penetra nella vita, nelle case, nei pensieri: il più delle volte non lo vediamo, non ce ne accorgiamo e vediamo solo zizzania, rovi e uccelli che portano via il seme. Invece nel silenzio, quel regno si diffonde e cresce, quel granello di senape continua la sua strada e germoglia, diventa albero, ne siamo certi. Come nella seconda parabola, il mercante vende i suoi averi e compra la perla preziosa.
Mi sono chiesto: qual è il passaggio, la parola chiave, di questo VG? Forse è proprio la conclusione: ‘Ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è come un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche’. Anche noi a un certo punto della nostra vita siamo diventati discepoli, abbiamo intuito qualcosa, siamo partiti, abbiamo sentito dentro una chiamata, una spinta a lasciare perché avevamo trovato qualcosa di prezioso, di unico, un dono immenso; discepoli, amici, vicini, attratti da una parola, dal bagliore di quella perla, da una vita nuova e non ci è costato lasciare qualcosa, tanto. E poi dice ancora Matteo che quel discepolo impara a estrarre dal tesoro cose nuove e cose antiche: qual è il tesoro? E’ sempre la Parola, è Gesù il vero tesoro nelle nostre mani che ci insegna a custodire il passato ma anche a cercare il nuovo, un nuovo modo di vivere da risorti, da chiamati, da innamorati.
Le 3 immagini del tesoro nel campo, della perla preziosa, della rete gettata in mare sono dei capolavori nei quali emerge non la fatica, la sofferenza, la tragedia del lasciare ma la gioia del trovare: non ci sono le lacrime del ‘Grande fratello vip’ quando uno deve tornare a casa, non gli strazianti tradimenti di ‘Temptation island’, nemmeno le legittime lacrime delle nostre ragazzine quando improvvisamente finisce un amore. O la giusta sofferenza di chi deve lasciare la terra di origine per cercare lavoro altrove: invece c’è la gioia di trovare, di partire, di cercare nuove avventure, nuovi fratelli e sorelle, nuove reti da gettare, nuovi campi in cui seminare il buon grano, nuovi tesori nel cuore di nuovi amici.
Seguire questo Vangelo è gioia, ci rivela Matteo e lo dice per esperienza: non vuol dire che ogni fatica è eliminata, è sparita, non esiste; ma significa che devi imparare a guardare e gustare quella gioia che ti è donata prima di lamentarti per quello che devi sopportare.
Ogni tanto tra una partita di ping pong, a carte o al Grest a volte i ragazzi tirano fuori dal loro cilindro le domande forti, belle, profonde, a bruciapelo: ‘Ma perché non hai una famiglia, una moglie, dei figli, la tua casa, il lavoro? ‘ Ecco ci siamo: prima di rispondere, un respiro! Bella però questa sensibilità e attenzione. Innanzitutto dico: ‘ma hai già chiesto ai tuoi genitori perché si sono sposati? Anche loro hanno lasciato tanto per iniziare qualcosa di nuovo!” . ‘ No, non ho mai chiesto niente’ la risposta.
Allora mi viene sempre in mente la perla preziosa e la gioia di quel mercante che vende, lascia, dona, allarga le mani non per possedere ma per donare e cerco di spiegare ai ragazzi che punto l’attenzione non su prima ma su dopo, non sulla sponda, ma sul mare aperto, non su ciò a cui rinunci ma su ciò che trovi, non sui figli che non ho ma sui mille figli, fratelli, sorelle che posso avere, incontrare, amare.
Il mio avversario di ping pong o l’animatore del Grest sorride, intuisce, mi osserva: non so se il mio volto gli trasmette la portata di ciò che gli ho detto. Non so se è convinto, ma non volevo nemmeno convincerlo. Solo una proposta, un seme che comunque si porta dentro.
Siamo una Chiesa che rimpiange il passato glorioso che abbiamo lasciato o ci è stato rubato? Oppure siamo Chiesa che dice un po’ di gioia, che celebra l’incontro con lo sposo, una Chiesa che fa festa ogni domenica e ogni giorno per la bella notizia che ha ricevuto? Siamo i severi e puri custodi del passato rimpianto o siamo i testimoni oggi nel mondo che quel regno va avanti, continua, cresce e che val la pena gettare, lasciare perché c’è una perla preziosa, infinitamente più affascinante del nostri fondi di bottiglia?
Ancora: siamo alla ricerca, spinti dal bagliore che ci illumina a cercare le piccole perle seminate nel cuore della gente o ci accontentiamo dei nostri 4 amici che ci danno sempre ragione e con loro ripetiamo sempre quello che facciamo da anni?
La vera perla sei tu Signore della gioia: spesso perdiamo per strada il tuo slancio, la tua passione, la felicità che ci doni: fà che imitiamo quel contadino, quel mercante, quella rete che ci parlano di sguardi innamorati di te, del tuo Vangelo e del mondo intero dove il tuo regno cresce, si diffonde, germoglia.
XVI Domenica del T.O. - 23 luglio 2023
Diventa seme di speranza
Grano e zizzania è entrato nei modi di dire, un esempio che tiriamo fuori quando notiamo che il male c’è nel mondo, nel cuore dell’uomo, in noi. ‘Seminar zizzania’ infatti significa metter male, contrasto, accuse, polemica dove c’è serenità e armonia. Ma se è diventata familiare l’immagine, non altrettanto la ‘soluzione-proposta-invito’ che Gesù rivolge ai suoi: ‘Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura…’
Andiamo con ordine.
Innanzitutto il male c’è, intorno, fuori, dentro, ovunque: una zizzania diffusa e infestante. La comunità di Matteo si rende conto amaramente che il male non è vinto definitivamente, che serpeggia ancora e che la Chiesa nascente doveva imparare a conviverci. Ce ne rendiamo conto anche noi quando la vediamo negli altri ma non siamo capaci di scoprirla in noi; ci scandalizziamo quando qualche insospettabile combina qualcosa e diciamo che un tempo non era così, che ci vorrebbe il pugno duro, che una volta la politica, la scuola, le forze dell’ordine, la Chiesa erano diverse. Discorsi vecchi, ripetuti, ormai superati, che invece, spesso ritornano. In certi casi sembra che la storia, il passato, l’esperienza e, peggio ancora il Vangelo, non ci abbiano insegnato niente. Andiamo avanti col paraocchi, tirando una bella riga in terra: di qua dalla riga, insieme a noi c’è il grano, il bene, i bravi, quelli che meritano, gli amici e gli amici degli amici. Oltre la riga la zizzania, il male, l’odio, la violenza, gli altri. E da lì non ci schiodiamo!
Gesù ci parla del regno, della sua venuta, della fatica per farlo crescere, del bisogno di aspettare con pazienza: noi vorremmo vedere subito i frutti maturi di quel ragazzo, di mio figlio, di quel gruppo, di quello Stato, vorrei che le cose andassero come dico io, che il male finisse subito, adesso.
Naturalmente la colpa è sempre degli altri e anche di Dio che potrebbe fare e non fa.
Siamo ancora in cammino, dice Gesù; non spetta a noi conoscere i tempi. Noi seminiamo il buon grano, non facciamo altro! Semina pace, concordia, armonia, semina nel tuo cuore e nel cuore dei fratelli trasforma il male in bene e aspetta. Il resto lo fa Dio.
Ma il problema è un altro: ti fidi di lui? Sai aspettare i suoi tempi, ci credi che lui porta avanti il suo regno? Ti senti parte del suo progetto di perdono e di amore o ti senti il salvatore del mondo? Sì, perché a volte sembra che qualcuno si senta un po’ troppo presente, onnipotente, e gli altri non esistono: si chiama mania di protagonismo e complesso di superiorità, che è peggio di quello di inferiorità.
Dio Padre continua il suo regno, e ci dona suo Figlio, il vero seme, gettato nel mondo, in ogni terreno e in ogni cuore, inviato anche là dove ci sono pietre, rovi e zizzania: non importa perché sa che quel seme è forte, prima o poi arriva da qualche parte, non rimane sterile, produce frutto: come, dove, quando non lo sappiamo ma prima o poi produce frutto, spesso inatteso e insperato.
Ecco chi è Dio: colui che semina nel cuore del contadino la voglia di seminare sempre e ovunque, Dio semina nel cuore di un genitore il desiderio di provarci ancora con quel figlio scapestrato, Dio semina nel cuore di un insegnante la pazienza di scommettere ancora su quello studente che ha un po’ di allergia ai libri; Dio semina nel cuore di quella moglie la forza di accettare che il marito è cambiato, e che l’amore cambia aspetto ma c’è sempre.
Dio sa che anche in un cuore invaso dalla zizzania, c’è sempre la possibilità di far spuntare un germe di bontà e a volte, in ragazzi, persone, colleghi che apparentemente sono scontrosi e burberi, si nasconde un cuore disponibile, attento, pronto a tenderti la mano.
Le sorprese di Dio ci chiamano: ci vogliono occhi nuovi per cogliere i suoi segni nel mondo e per capire che lui continua a portare avanti il suo regno e nessuna zizzania potrà soffocare quel grano che, alla fine del mondo, sarà per noi la vera salvezza.
XIV Domenica del T.O. - 9 luglio 2023
Venite a me
Un Dio dei piccoli, degli ultimi, di chi accetta l’ultimo posto: Gesù per primo ha scelto il posto del servo e annuncia che nella carta di identità di Dio c’è questo gusto, questa preferenza: i piccoli!
Le cose non stanno andando bene per il figlio di Dio: accusato di essere un bestemmiatore, un impostore, di usurpare il posto del vero Messia che arriverà; accusato di rinnegare la legge, Mosè, le sacre tradizioni. Ma invece di perdersi d’animo che cosa fa? Si dichiara e svela il cuore di Dio! Sappiate israeliti che nel cuore di Dio non ci sono i giusti, i perfetti, i puri. Nel cuore di Dio ci sono i piccoli, i perdenti, gli ultimi.
‘Ti benedico o Padre’ : innanzitutto chiamate Dio col nome di Padre: è una rivoluzione! Un nuovo modo di guardare a Dio, occhi nuovi, cuore nuovo, parole nuove di questo Dio che chiedono a me, a te parole e gesti nuovi: non siamo più sotto una legge fatta di ordini e precetti da eseguire ma dentro una famiglia, una casa dove c’è sempre un posto a tavola! Inizia un tempo nuovo, un’era nuova, quella dei figli, non dei sudditi .
Ma chi sono questi piccoli? O meglio chi non sono! I piccoli non sono i bambini, nemmeno i portatori di un handicap, o chi si trova costretto alla povertà o a qualche forma di mancanza: i piccoli sono quelli che sentono il bisogno di qualcosa, di qualcuno, pensano di avere un vuoto dentro che solo Dio può colmare, hanno capito i piccoli che la soluzione ai loro problemi è fuori, non dentro di sé. I piccoli si sanno stupire del bello che c’è nel mondo e negli altri, lo sanno cercare questo bello anche a costo di non guardare il brutto: si fidano di Dio, della sua provvidenza e lo mettono al centro della loro vita. Lo cercano nella preghiera, nel silenzio, lo desiderano e a loro basta poco per sentirlo vicino: e lo trovano nei piccoli gesti di ogni giorno: in un saluto, un sorriso, un favore, come pure in una lacrima di tristezza o di gioia! I piccoli non fanno mai pesare nulla, non rivendicano, non pretendono, ma sanno sopportare con pazienza e speranza perché la loro ricompensa è già nell’essere figli di Dio, pietre vive della Chiesa, la loro gioia sta già nell’essere nella vigna, chiamati a coltivare il campo del regno di Dio i cui frutti sono nell’eternità.
Piccoli che fanno grandi gli altri e fanno grande tutto ciò che toccano perché hanno dentro la forza di Dio, la forza dello Spirito. Piccoli perché Dio si è fatto piccolo per essere uno di noi, nostro compagno di strada, nostro amico e fratello, nostro servo. I piccoli che Gesù predilige sanno che solo amando capisci le cose importanti della vita, solo amando sai rialzarti dopo una caduta, solo amando attiri su di te le attenzioni di Dio, il vero esperto in amore.
Basta poco per diventare figli di Dio: basta mettere da parte se stessi e lasciare che agisca lui nella mia vita.
“Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi…” Oppressi da altri, da malattie, da tensioni. Solo lui ci fa ritornare come prima e meglio di prima; fermati, ascolta, prega e sarà lui a renderti capace di affrontare ogni momento come ha fatto Gesù, come hanno fatto i ‘piccoli’ del Vangelo: contando non tanto sui nostri bei progetti ma sulla sua Parola che ci fa respirare liberi.
XI Domenica del T.O. - 18 giugno 2023
Quali operai?
Innanzitutto lo sguardo di Gesù è la compassione: Dio soffre insieme a noi, con noi, per noi. Compassione pe r le folle, anzi per ogni volto, ogni singolo uomo e donna . Lui c’è, con il suo corpo e sangue, in ogni corpo che soffre, lui è vivo e chiede a noi di adorarlo lì dove lui abita. Troppo facile riconoscerlo in un pezzo di pane: devi riconoscerlo in coloro che ti trovi sulla tua strada, e non hai scelto. Lì lui ti chiama per nome: discepolo di oggi.
Pecore senza pastore, senza guida: un po’ perché pensiamo di non averne bisogno (e questo è grave), un po’ perché scegliamo altri pastori, altre guide, più comodi, più facili, più docili, più simili a noi; e ci piace così! Ma solo il bel pastore sa veramente di cosa abbiamo bisogno.
Allora disse: ‘La messe è molta, ma gli operai sono pochi’. Cosa è questa messe, mi chiedo: fare catechesi ai bambini, il grest, tenere aperto l’oratorio? O celebrare le messe? Fare i funerali? E gli operai chi sono? Abbiamo inventato tante cose da fare nelle nostre parrocchie e adesso non ci stiamo dietro e diciamo: mancano i preti! Dimenticando l’essenziale.
Penso che la messe sia il mondo, quella folla del vangelo, ma fatto di volti, di storie, di sorelle, fratelli da avvicinare, da amare, da perdonare. La messe è il cuore di qualcuno che incontro per caso, che mi capita addosso e ha bisogno di una parola, un gesto, un saluto. E gli operai siamo noi, non solo preti e suore: ogni battezzato, ogni chiamato, ognuno di noi. E’ giunto il momento di cambiar rotta a questa Chiesa tanto amata e tanto fragile: dove si fa fatica a cambiare una virgola, dove la parola d’ordine è ‘la tradizione’, dove prima di tutto c’è il difenderci da qualche presunto attacco: come quando c’era la polemica del crocefisso nelle scuole. Il problema non nasceva da membri di altre religioni che non accettavano il crocefisso: il problema era che noi cattolici ne abbiamo perso il significato.
E Gesù chiama, fa i dodici, fa comunità, Gesù mette su famiglia! Dodici come le dodici tribù, come i figli di Giacobbe: gli apostoli appartenevano a gruppi, storie, provenienza diversa. E Matteo inserisce tra i dodici anche Giuda, specificando: ‘colui che poi lo tradì’. L’evangelista non lo elimina, non lo esclude, ma c’è sempre: Gesù lo aveva chiamato, è andato in croce anche per lui , dunque fa parte dei dodici e va lasciato a testimoniare che anche chi ha tradito fa parte della Chiesa, ha diritto a rimanere, per fargli capire il suo peccato.
Gesù dice ancora: rivolgetevi alle pecore perdute della casa di Israele: ai vicini, a chi c’è da sempre. Come mai? Non bisogna parlare a chi non crede? Anche chi è vicino ha bisogno di convertirsi, di ricominciare: invece noi ci sentiamo a posto, io non ho peccati, diciamo, non ho bisogno.
Qualche giorno fa sono stati ritrovati vivi nella foresta pluviale in Colombia 4 bambini precipitati con l’aereo su cui viaggiavano con i genitori. 40 giorni da soli nella jungla. I genitori e il pilota sono morti nell’impatto. La più grande di 13 anni aveva imparato dalla nonna a sopravvivere nella foresta cibandosi di frutti, radici, insetti, manioca. Non si sono dati per vinti e hanno reagito: 40 giorni. Noi pensiamo che la jungla sia l’ambiente più inospitale, invece l’ambiente stesso ha fornito acqua, cibo, riparo. Il problema non è l’ambiente in cui vivi ma siamo noi che dobbiamo adattarci, imparare a scoprire le risorse, le cose positive che ci sono in noi e intorno a noi. La Chiesa deve cercare di inserirsi, entrare nella cultura di un popolo, di conoscere per sopravvivere, per raccontare sempre al mondo che c’è un Dio vicino, accanto, dentro la storia .
O Signore, gratuitamente abbiamo ricevuto, gratuitamente vogliamo donare: ma prima ancora vogliamo accoglierti, senza far niente, senza sentirci noi i salvatori della patria; OGGI CI SENTIAMO CHIAMATI PER NOME, COME I 12, AMATI DA SEMPRE, ci sentiamo tuo popolo in cammino, tua chiesa debole e fragile, ma forte della tua presenza. Pecore che cercano, ascoltano, seguono te, vero pastore.
SS Trinità - 4 giugno 2023
Ho bisogno d’amore per Dio
Padre, Figlio, Spirito: cioè famiglia, cioè una cosa sola!
Alcuni giorni fa ho incontrato dei ragazzi in un bar per a fare un aperitivo, ma soprattutto per leggere un brano di Vangelo e dirci che cosa ci fa risuonare dentro! Una volta le domande che ti facevano i ragazzi erano: abbiamo un solo Dio o 3? Da dove viene Dio, chi l’ha creato? Ma Dio è eterno? Cosa c’è dopo la morte?
Oggi le domande sono cambiate; e sono: come si fa ad amare, a perdonare? Come si può costruire un mondo dove ci si voglia più bene? Come si può essere il prossimo di qualcuno che ha bisogno e come posso stare accanto anche se non è tra i miei amici? Come faccio a fermarmi come il buon samaritano che cambia i suoi progetti e prova compassione?
Passi da gigante! E’ quello che ci chiede questo Dio famiglia che non vuole che nessuno sia solo e che soffre di solitudine! Mentre tutti seguono il mito di ‘un uomo solo al comando’, il mito del ‘non ho bisogno di nessuno, io’, il nostro Dio cerca l’uomo, cerca una casa, cerca famiglia, cerca sorrisi e incontri per portare nel mondo il suo amore, il suo fuoco, il suo Spirito!
Sabato prossimo Andrea diventerà prete, che vuol dire diventare dono, che vuol dire desiderio di fare casa, fare famiglia: sì perché anche i preti fanno famiglia perché Dio fa famiglia con il prete e lo invita a fare una nuova famiglia fatta di tante sorelle e fratelli. Grazie Andrea perché anche senza parole ci parli di un Dio della gioia, un Dio amore folle, un Dio la cui casa è grande come il mondo e la cui famiglia comprende ogni donna e ogni uomo.
Nicodemo, era un capo dei giudei, un fariseo convinto che cerca delle risposte alle sue domande: cerca qualcosa oltre e dentro quella legge che conosce a memoria e studia fin da bambino. Ma in questo nuovo maestro, trova sguardi, parole, orizzonti nuovi e scopre un altro Dio che è Padre, è amante, è comunione, è tutt’altra cosa rispetto a Jahwè, il Dio che gli avevano sempre descritto. Va da Gesù nella notte per non farsi vedere dai suoi; dal suo buio cerca la luce, quella vera. E Gesù gli dirà: ‘Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna’. Dio non è chiuso nella sua perfezione, ma si relaziona, si dona, si sporca le mani, si offre: Dio per primo ci ha amato, non dimentichiamolo. La catena dell’amore parte da lui, noi siamo un anello e poi raggiunge ogni solitudine.
Ragazzi: cos’è la Trinità? Quando ti innamori, quando non capisci più niente, quando vedi solo lei o lui! E la sogni, lo sogni di notte! Dio ci sogna giorno e notte, ci incoraggia, ci cerca, piange ancora per il nostro peccato, accetta ancora la croce, solo per noi. Questo è Dio Trinità: il Padre l’amante; il Figlio, l’amato; lo Spirito, l’amore.
C’è una canzone di Zucchero che si intitola Overdose (d’amore). Dice: Ho bisogno d'amore "perdio" xchè se no stò male. Ho bisogno d'amore "perdio" x tutto quanto il giorno. E’ Dio che ha bisogno di amore, ha bisogno di cuori aperti, in ricerca, appassionati dell’uomo, di ogni uomo. E’ il credente che ha bisogno di amore, ha bisogno di aprire porte e finestre per far entrare il suo Spirito e i volti di tanti fratelli.
L'uno e due luglio faremo la Festa del vicino: in un cortile, sotto un portico, i vicini di casa si incontreremo per una cena, una merenda, un pranzo, anche solo per una fetta di torta: è l’occasione per guardarci in faccia e salutarci e renderci conto che siamo nella stessa barca, abbiamo un solo Padre, siamo una sola famiglia e almeno per un giorno cerchiamo di mettere da parte ciò che ci divide per cercare ciò che ci unisce!
‘Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna’. E’ il versetto del vangelo di Giovanni che Andrea ha scelto per l’immaginetta della sua ordinazione, e che lo accompagnerà per tutta la vita . Valga anche per noi: innanzitutto la tua Parola da meditare, accogliere, custodire nel cuore, perché ci accompagni per tutta la vita.
Pentecoste - 28 maggio 2023
Bisogna salvare il seme
“Vieni Spirito santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli, accendi in essi il fuoco del tuo amore”. Buona Pentecoste, 50 giorni sono trascorsi da Pasqua, supplichiamo perché riceviamo questo Spirito che ci infiamma, ci riscalda, ci unisce, ci rafforza, ci fa sentire ancor di più la presenza di Dio vicino, dentro, accanto. Senza il tuo Spirito Signore, siamo dispersi, incapaci di ascoltarci, di andare avanti, incapaci di essere chiesa viva. Dispersi come a Babele.
Quest’anno il tema del cammino degli oratori era la casa partendo dall’episodio di Marta e Maria di Betania: casa del povero. Siamo noi la casa dove abita lo Spirito oggi, adesso: vogliamo essere casa accogliente, aperta agli ospiti di passaggio, casa che ascolta, comunica, include, offre opportunità, lancia ponti, non accuse e giudizi. Tocca a noi invertire la tendenza oggi in questo mondo coì disperso e diviso, fare segnali nuovi, grazie allo Spirito.
Perché crolla la torre di Babele nella prima lettura? Perché i costruttori non erano bravi? Perché le fondamenta non erano forti? No. Perché volevano ‘toccare il cielo’, volevano ‘farsi un nome e non disperdersi. Farsi un nome, essere qualcuno, valere, aver prestigio: storia che si ripete ancora oggi là dove c’è qualcuno che mette al primo posto l’orgoglio e non lo Spirito, vera luce, fuoco, strada. Tante nostre torri di Babele finiscono, cadono, non hanno seguito perché al centro ci siamo solo noi con i nostri progetti: invece di ascoltare lo Spirito santo e lasciarci guidare da Lui.
Quando pensiamo allo Spirito, a qualcosa di spirituale, subito pensiamo a qualcosa di indefinito, fumoso, astratto, lontano dalla vita di ogni giorno. Adatto ai monaci, alle suore di clausura, a un eremita che prega dalla mattina alla sera o a qualche donnetta casa e chiesa, magari vedova o zitella! Ce l’abbiamo dentro questo clichè! Invece lo Spirito e lo ‘spirituale’ sono un’altra cosa: lo Spirito santo ti suggerisce nel cuore come essere materiale, entra nella casa del tuo cuore perché tu vada nelle case della gente a portare il suo soffio, ti fa provare la tenerezza di Dio affinchè tu porti tenerezza nel mondo, ti dona il sorriso di Dio perché tu possa portare il tuo sorriso ai fratelli, ti perdona perché tu possa perdonare di cuore a chi incontri sulla tua strada e non ha mai conosciuto cosa vuol dire essere perdonati, davvero. Lo Spirto ti fa vivere da risorto in ogni momento della tua vita e portare felicità là dove è stata smarrita.
Siamo stati sconvolti da ciò che abbiamo visto in Romagna: in poche ore devastazione, morte , disperazione. Un parroco di quei paesi è andato a trovare un signore di 92 anni che era dovuto venir via dalla sua abitazione allagata. Pensava di trovarlo in lacrime e disperato, invece, con grande sorpresa lo vide sereno, col volto disteso e dopo i primi saluti esclamò: “Sa una cosa? Le cose più importanti della vita, neanche l’alluvione me le può portar via! L’acqua mi ha portato vai la casa ma non ciò che conta di più!”
Guareschi fa dire a don Camillo dopo l’alluvione: "Signore, se è questo ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?" Il Cristo sorrise: “Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole la asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: cioè la fede. Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede e mantenerla intatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più, ogni giorno nuove anime inaridiscono perché abbandonate dalla fede. Questo è il nostro compito, questa è la nostra ora!
Spirito santo nutri, rafforza, alimenta la nostra fede perché germogli, porti frutto e diffonda l’amore di Dio ovunque nel mondo: abbiamo un grande compito, quello di salvare il seme della fede in un mondo che sta dimenticando le origini, la bellezza, la passione che Gesù è venuto a portare tra noi. E’ l’ora della Chiesa, è l’ora dei testimoni, è la nostra ora!
Assunzione - 21 maggio 2023
Dal cielo alla terra
Povero Spirito santo, dimenticato, ridotto a una appendice, all’ultimo posto. Eppure è vento che rinnova l’aria stagnante delle nostre comunità, è fuoco che infiamma e accende i cuori tristi, è acqua pura che purifica le nostre sorgenti di speranza e fa rivivere il nostro Battesimo che forse abbiamo dimenticato, nell’acqua torbida degli affanni quotidiani. Allora: 'Vieni Spirito santo', soffia nei cuori, nei pensieri, nei gesti di ogni giorno.
San Paolo ci invita a 'comprendere a quale speranza vi ha chiamati': lo Spirito ci guida a cercare speranza in Gesù, nella sua Parola e ad essere noi speranza per altri, per chi ha perso ogni speranza. Ci chiede di essere come la luna che non brilla di luce propria ma illumina la notte riflettendo la luce del sole. In qualche ‘notte’, in qualche notte nel cuore nostro e di molti fratelli, possiamo essere luna, portare ancora speranza là dove c’è solo disperazione e solitudine. La chiesa è questa luna che riflette la speranza che Gesù le ha donato 2000 anni fa: e non si è ancora spenta. Prima si spegnerà la luna, prima ancora dell’amore di Dio per noi.
Gesù lascia i suoi, per restare in modo diverso: dentro, nelle scelte, nei cuori perché diventino luna e luce per ogni fratello sorella che ha bisogno di parole nuove, incontri nuovi, speranza nuova.
Spera in loro il Risorto, crede nei suoi e in noi perché diventino e diventiamo segni di speranza oggi, adesso nel mondo; è lui che ha fede: nel Padre e in noi perché siamo Chiesa viva, capace di conservare lo Spirito e capace di donarlo senza limiti, senza differenze, senza calcoli.
Invece noi i calcoli li facciamo e li facciamo soprattutto in tasca a Dio e gli diciamo: 'Non andartene, c’è bisogno di te, perché ci lasci? Non siamo ancora pronti. Certe cose le puoi fare solo tu. Tocca a te, non a noi'. Fino a pensare che è un Dio che si tira indietro, che delega troppo, che si fida troppo! Ecco la nostra storia, non vogliamo lasciare, ci fa paura passare all’altra riva, ci fa paura guardare la terra come dicono gli angeli: 'Perché continuate a guardare il cielo? Questo Gesù che ora vedete salire al Padre, tornerà! Un giorno'. Ma per farlo tornare un giorno devi lasciarlo andare oggi, adesso.
Accade così anche per persone importanti nella nostra vita: quando se ne vanno o perché muoiono o perché ci lasciano o perché cambiano ruolo: vorremmo trattenerli, non lasciarli, ci sembra di non farcela da soli. Invece più li lasciamo andare e più li custodiamo nel cuore e ritorneranno non fisicamente ma ci saranno sempre nei gesti che faremo. Lasciar andare è un gesto di fiducia e speranza!
C’è un nuovo che nasce, che spunta ma ci vuole cuore e occhi nuovi per coglierlo: c’è una novità in un figlio che cresce, in un amore che ha bisogno di essere rinnovato, c’è una novità nella vita dei ragazzi, dei giovani, da cogliere (non è tutto sbagliato quello che viene dal mondo), c’è una novità da capire nelle migrazioni dei popoli che portano anche freschezza, non solo guai, c’è una novità da cogliere nella chiesa, nella nostra comunità, qualcosa di vecchio da lasciare e qualcosa di nuovo da accogliere. Purché iniziamo ad ascoltarlo questo Spirito santo. Che crede in noi, ci tratta da grandi, da adulti, da risorti, non da bambini.
Così è nata la Chiesa, da quello sguardo verso il cielo: limpido, immenso, profondo, infinito, come l’amore: così è il cristiano: innamorato dell’immensità del cielo per portare quell’azzurro del cielo in ogni angolo della terra.
San Bernardino da Siena, che festeggiamo oggi come tutti i grandi santi, hanno contemplato il cielo per amare ancor di più la terra: nel 1400, pensate, diceva che gli imprenditori devono investire i loro soldi per creare nuovo lavoro, benessere, per far lavorare altre persone; si scagliava contro l’usura e contro i ricchi che tenevano tutto per sé senza mettere a disposizione le loro ricchezze. Discorso ancor più attuale oggi!
O Signore, Dio del cielo infinito che con il soffio del tuo Spirito ci inviti ad amare questa terra; facciamo fatica ad ascoltare i tuoi gemiti. A volte ci sembra che tu non ci sia, che ci chieda cose che non spettano a noi, ci sembra di essere orfani di te. Invece tu ci lasci perché ti fidi e ci invii, grazie al tuo Spirito nella Galilea di oggi, nel mondo: non per arroccarci sulle nostre solite posizioni ma per capire ciò che ci stai dicendo. Tu unisci cielo e terra: ci fai contemplare il cielo per poi amare ancor di più questa terra.
'Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo'.
VI domenica di Pasqua - 14 maggio 2023
Solo l’amore è credibile!
Festa della mamma, tantissimi auguri. E Grazie alle mamme, ai loro sguardi, sorrisi, anche a quando ci tirano le orecchie e ci mettevano in castigo. O ci tenevano il muso, per 10 minuti, poi passava tutto, o quasi.
Maestre in amore, come Gesù. Il suo Comandamento è un invito: ser vuoi vivere una vita piena, ama. 'Goditi la vita' diciamo: e pensiamo a mangiare, bere, divertirsi, far festa. 'Goditi la vita' dice Gesù cioè ama, invita ad amare ad amarti, cerca degli amanti innamorati di ogni essere umano. Fatti servo come Lui, come una mamma, venuta per servire, non per essere servita.
Sembra un addio quello di Gesù ai suoi durante l’ultima cena, invece è il modo in cui rimane per sempre tra noi, in modo unico: chi ha perso la mamma in realtà la ritrova in altro modo, per sempre nel pensiero, in ogni sorriso, nel cuore .
E’ stato lungo e difficoltoso il cammino degli apostoli prima entusiasti di quel messia nuovo, poi dubbiosi, demoralizzati quando annunciò la sua morte, poi disperati e infine, lentamente, credenti; era necessaria la sua assenza per coglierne ancor di più la vera presenza, nel comando dell’amore.
Anche per noi ci vuole una vita per imparare ad amare, totalmente, senza misura; ci vuole un Dio così, ci vuole un amore fina alla croce, ci vuole un amore di madre, di padre, di sorella di fratello, quelli veri. Alla fine ci arriveremo ad amarlo questo Dio forse quando avremo l’acqua alla gola, o quando incontreremo un amico, una amica che lo ha già incontrato e mi contagia con il virus dell’amore, quello vero!
Qualche giorno una signora mi diceva: 'perché nasciamo se poi dobbiamo morire: che senso ha vivere sapendo che alla fine c’è solo la morte?' Ho detto: 'Certo che dobbiamo morire ma la cosa più importante è che tra il nascere e il morire ci mettiamo dentro il maggior numero possibile di gesti, di passione , di incontro, di amore. Solo l’amore ci salva'.
Il segreto sta nel rendersi contro che il nostro Dio ci ama fino alla fine, fino alla croce: ogni nostro gesto parte da quel cuore trafitto, quelle braccia stese in croce, quelle parole di perdono pronunciate in punto di morte: ci vuole un Dio così per farci capire che alla fine 'saremo giudicati sull’amore perché solo l’amore è credibile!'
In una fabbrica di surgelati un operaio restò chiuso per errore in una cella frigorifera verso la fine dell’orario di lavoro. Cominciò a urlare ma, sia per lo spessore delle porte, sia perché ormai tutti si erano allontanati, nessuno lo sentiva. Quando ormai il gelo lo stava uccidendo e si stava arrendendo, uno dei custodi aprì la porta salvandolo dall’assideramento. Il direttore gli chiese: “Come hai capito che non fosse uscito? Come hai intuito che fosse successo qualcosa?”. Alzando le spalle rispose: “Nessuno degli operai mi saluta né all’arrivo né alla fine della giornata. Tranne lui. Ogni giorno ha un sorriso per me e a volte mi chiede come sto. Stasera mi sono accorto che mi mancava qualcosa, ho capito che era lui e allora l’ho cercato finché l’ho trovato”. Ecco la nostra salvezza: seminare gesti di incontro vero nel mondo: e quando avremo bisogno di una porta aperta e di un abbraccio fraterno lo troveremo, anche se intorno a noi c’è solo ghiaccio! Non siamo orfani. Abbiamo una mamma, un papà che sono accanto o dentro di noi, abbiamo un Dio padre che ci dona il suo amore e il suo Spirito Consolatore che ci parla nel cuore, dentro dove solo lui sa arrivare. Anche noi, in attesa di questo Spirito, ci lanciamo nell’avventura dell’amore, da principianti, da cercatori, da amanti, da amati.
V domenica di Pasqua - 7 maggio 2023
Signore, dove vai (e dove vado)?
A volte Gesù nel Vangelo spara delle bombe incredibili ma oggi ha dato il meglio di sé! 'Chi ha visto me, ha visto il Padre'; 'Chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio, e ne compirà di più grandi'. Cioè: lo Spirito ci farà compiere opere più grandi di quelle compiute da Gesù! Incredibile!
Per noi è Pasqua ma non al momento di questo dialogo tra Gesù e i suoi: siamo infatti durante l’ultima cena: gli apostoli intuiscono qualcosa di grave che sta accadendo. 'Signore dove vai?'. 'Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?'.
Dove vai, Signore? Come facciamo senza di te? Non puoi abbandonarci proprio ora, proprio quando abbiamo ancor più bisogno delle tue parole, del tuo sguardo! Chi si è sentito abbandonato, deluso da un fratello, un amico, un fidanzato, un marito, una moglie, un genitore, sa di cosa parlo: ti senti vuoto, in balia di un uragano, senza appigli, senza salvezza, come se stessi precipitando nel vuoto, senza una mano amica che ti sostiene.
'Resta con noi' gli hanno sussurrato i discepoli di Emmaus, delusi e tristi, dopo che il risorto ha spiegato le scritture e spezzava il pane per loro.
In questo brano per prima cosa Gesù afferma: 'Non abbiate paura'. Non aver paura, dice un genitore al figlio che ondeggia sulla bici senza rotelle, non aver paura quando c’era un esame a scuola da affrontare, quando c’era da andare in ospedale per una cura: non aver paura! Gesù scaccia le nostre paure! Ci invita a buttarci oltre l’ostacolo, a provarci. Non cercare delle prove perché non ci sono prove: chi ama non cerca delle prove, solo delle tracce da seguire, come gli apostoli, tracce, segni, parole nuove, vita nuova di questo bel pastore che ama le sue pecorelle una per una. Non aver paura, fidati: più ti fidi, più lui ti è accanto: il primo passo devi farlo tu, o meglio tu fai il secondo perché il primo passo l’ha già fatto lui là sulla croce: quello è il primo quando si fida della promessa del Padre. A te cristiano spetta il secondo, la risposta a quella chiamata d’amore!
L’altra parola è amore: abusata, inflazionata. Chi si fida, ama, senza misura, senza fine, per sempre. La parola amore ha un significato stupendo: deriva da ‘a mors’ senza la morte; chi ama non muore, e non muore ciò che ami. Quando ami, generi qualcosa che dura per sempre, è destinato all’eternità, fa già parte di Dio adesso. L’eternità inizia già qui, ora per chi ama.
Ancora: 'Nella casa del padre mio, ci sono molti posti': non l’abbiamo ancora capita che quella casa del Padre mio non è in cielo, ma qui, dove 2 o 3 si amano, lì è la casa di Dio, dove qualcuno imita Gesù e il suo dono in croce. Chi ama non ha paura, come i primi cristiani: chi ama ha già vinto la morte, non teme nemmeno la morte.
'Mostraci il Padre e ci basta'. 'Chi ha visto me, ha visto il Padre'. Ti voglio vedere, Signore, desidero incontrarti? Davvero? O sei una comparsa nella mia vita, un ospite di passaggio, magari quando mio figlio fa la cresima? Quando riceve l’Eucarestia? o il Battesimo? E poi? E’ davvero un incontro quello o mi sfiora soltanto la tua presenza. Se desidero vederti, se ti incontro, allora vedo anche il Padre, vedo anche lui.
'Io sono via verità, vita', la strada maestra per giungere al Padre: ciascuno ha una propria via privilegiata che prima o poi passa attraverso Gesù. Dio è come un fiume sotterraneo, non lo vedi ma scorre sotto e lui ti raggiunge attraverso le tue radici: non te ne accorgi ma è lui che ti disseta, ti da forza per continuare, ti dona lo Spirito, Dio in te.
Signore, via che mi sveli la verità della mia vita. Senza di te non ci capisco niente delle mie scelte, delle mie cadute, dei miei sì e dei miei no. Senza di te sono allo sbando sulla mia barca senza meta: senza di te non trovo la vera via e mi perdo, senza punti di riferimento. Donami l’umiltà di cercarti, di sentire il tuo Spirito in me, di vincere le mie paure e cercare il posto vero nel mondo: il tuo posto da cui ci ami senza fine è la croce. Il mio posto è là dove posso amare sorelle e fratelli fino alla croce.
III domenica di Pasqua - 22 aprile 2023
È notte, ma non nel cuore
E’ il tempo dello Spirito, il tempo della Chiesa, il tempo in cui soffia un vento nuovo, il vento della primavera che fa rinascere nuovi gesti, nuovi germi, nuove speranze.
‘Noi speravamo’ è la dichiarazione di resa dei 2 di Emmaus, stanchi, delusi, demotivati dalla fine ingloriosa di quel Messia in cui avevano riposto le loro speranze; tutto finito su quella croce, tutto finito anche per tutti gli apostoli e tutto finito nel loro cuore. ‘Noi speravamo’ spesso è la nostra dichiarazione di resa: speravo che tutti fossero miei amici, speravo che quel lavoro andasse diversamente, speravo che il mio matrimonio fosse diverso, era iniziato così bene, speravo che mio figlio almeno mi ringraziasse con tutto quello che ho fatto per lui, speravo che essere prete volesse dire ricevere sempre gli applausi della prima Messa, invece… Speravo che la mia malattia regredisse, speravo. Questo verbo meraviglioso, sperare, coniugato al passato, diventa tragico e sembra seppellire ogni speranza appunto.
Ci si mette anche la Chiesa con i suoi scandali, poi sempre qualche guerra all’orizzonte, il futuro un po’ incerto, tante preoccupazioni… e la frittata è fatta. Non c’è niente da fare - pensiamo- non cambierà mai niente, è tutto finito, meglio stare a casa, non farci troppe illusioni, accontentarsi del minimo sindacale e cerchiamo di goderci la vita (che sa tanto di rassegnazione!) Insomma una vita di serie B, con i remi in barca e il freno a mano tirato, una vita che non vorreste mai per i vostri figli.
Siamo noi i compagni di viaggio di quei 2, pronti a recriminare a e a sgridare Dio perché non fa nulla e risponde alle nostre richieste; ‘stolti e lenti di cuore…’: Gesù affianca, parla, spiega le Scritture! Era già tutto scritto, sotto i loro occhi e non lo avevano capito. Gesù era lì sotto i loro occhi e non lo vedevano… i loro occhi erano tristi, sbarrati, ma soprattutto il loro cuore era chiuso! Senza speranza!
Non è che siamo così anche noi, non è che dobbiamo buttarci al di là dei nostri luoghi comuni, dei nostri fallimenti, non è che tocca a noi fidarci un po’ di più e cercarlo… a occhi chiusi? Non è che abbiamo tutto sotto gli occhi e non ce ne accorgiamo? Non è che dipende tutto da noi adesso, dopo che lui ci ha mostrato come muore e soprattutto come vive il nostro Dio? Tocca a noi crederci, tocca a noi ripartire non dalla Galilea come gli apostoli ma ripartire dalla nostra vita e rileggerla alla luce della sua Parola? Alla luce della Pasqua? Tocca ame, a te sentirlo dentro questo Signore che ci precede sempre, tocca a noi invocare lo Spirito, che ci faccia nuovi nello sguardo, nei giudizi, nei pensieri, nel cuore. La resurrezione è cosa da vivi, non da morti: tocca ame, a te, sorella, fratello ripensare tutto con occhi e testa nuovi.
Il risorto affianca i due, li ascolta, spiega, scalda il cuore, fa capire che era giusto così e soprattutto che la storia non è finita, che nessuna storia finisce in una tomba e in un sepolcro, che tutto si trasforma e che da ogni morte può nascere una vita. Sentono i 2 che c’è qualcosa di nuovo in quello sguardo in quegli occhi, in quelle parole, e si lasciano andare, si sciolgono i dubbi e si fidano! ‘Resta con noi, si fa sera’, resta con noi in ogni sera della vita, in ogni croce, in ogni delusione, in ogni disperazione che uccide la speranza. Resta con noi, solo tu ci fai volare in alto e ci ridoni la gioia di vivere.
Alla fine, che poi è un inizio, i 2 ritornano a Gerusalemme ma non più rassegnati, lenti, delusi, ma di corsa con la gioia nel cuore, con una emozione che ti fa perdere il fiato come un bambino che corre dalla mamma per dirle un segreto: ‘Però non dirlo a nessuno mamma!’ E’ quella corsa che dobbiamo riprendere fratelli; forse la Chiesa nei secoli ha perso un po’ di smalto: rassegnata, cupa, chiusa su se stessa, in balìa della storia, anziché riscrivere la storia. Tanti donne e uomini invece sono ripartiti da Emmaus verso Gerusalemme e verso il mondo, innamorati e non più affranti.
O Signore risorto e vivo: lo sai che spesso assomigliamo troppo ai 2 di Emmaus; cammina ancora sulle nostre strade, abbiamo bisogno di riprendere quella corsa dei discepoli, quello slancio, quell’estasi, quell’entusiasmo dei bambini per risorgere adesso. Vieni santo Spirito ribalta i nostri schemi ammuffiti e donaci il tuo vento forte che ha buttato per aria i progetti dei grandi e ha fatto volare i piccoli, gli umili, i puri di cuore. In un quadro del pittore Arcabas che ha dipinto la scena di Emmaus, si vede la stanza vuota con la porta spalancata, la tavola ancora imbandita e una sedia rovesciata: il cielo pieno di stelle; è notte ma non nel cuore dei 2 che, dopo aver incontrato il risorto, piantano li tutto e corrono dagli apostoli a gridare: 'Abbiamo visto il Signore!’ Anche noi ti abbiamo visto Signore, ti sentiamo accanto, ti abbiamo incontrato e vogliamo ripartire nuovi, innamorati e risorti.
Pasqua - 9 aprile 2023
È tutto pronto?
Ciao don, è tutto pronto per Pasqua? Ti servono gli ulivi? Dove si va in processione? A chi lavi i piedi? E le confessioni quando sono? E’ tutto pronto? Qualcuno di voi particolarmente sensibile e vicino, chiede queste cose e si rende disponibile: segno di grande sensibilità!
“Sì, è tutto pronto, non manca niente, soprattutto perché le cose più importanti le fa lui, non noi, per fortuna!” E’ lui che fa Pasqua, è lui che si dona in croce, è lui che spezza il suo corpo per nutrirci per le vita eterna, è lui il testimone, la vittima sull’altare, lui il sacerdote della nuova Alleanza, lui l’altare dove si celebra la nostra salvezza. Noi dobbiamo solo ricevere a Pasqua, dobbiamo solo accettare l’invito alla tavola di Marta, Maria e Lazzaro, dobbiamo semplicemente desiderare quell’incontro, quell’abbraccio, desiderare di dire come Marta e Maria: ‘Io credo che qualsiasi cosa tu voglia, la puoi fare’. E’ questa fede che ci salva: la fede che ci permette di risorgere.
Infatti a Pasqua non dobbiamo chiederci se Gesù è davvero risorto: lasciamo queste domande ai super teologi, a chi vuole vivisezionare il vangelo. Noi ci chiediamo: ‘Ma io sono davvero risorto? Io ci sto? Io voglio correre al mattino di Pasqua e ogni mattina a risvegliarmi dal sonno della morte e a risvegliare qualcuno da una vita vuota e insignificante? Accetto di fare Pasqua lasciando che Lui faccia Pasqua nella mia vita? Accetto che sia lui a prendere in mano la mia vita? Accetto di dire, come Gesù in croce: ‘Padre sia fatta la tua volontà?’ Anche quando qualche piccola o grande croce si staglia sul mio orizzonte. Lì inizia la Pasqua, lì inizia la fede vera, quando la testa non mi aiuta più anzi mi dice ‘Fermati, sei matto? Cosa pensi di fare? Non vedi che gli altri se ne sono già andati tutti? Persino Pietro ha detto: ‘Io quello lì non lo conosco’. Persino Giuda se ne è andato dopo il bacio del tradimento. Allora cosa ci stai a fare ancora lì? E’ tutto finito!
Ecco, quando la testa, la ragione ti dice :”E’ tutto finito”, allora tu inizia, riprendi, ricomincia da capo, torna nella tua Galilea, là dove vivi ogni giorno e cerca i passi del risorto, i passi del crocifisso risorto! La resurrezione riguarda i vivi, non i morti! La resurrezione riguarda i vivi, non i morti! Tocca a me, a te risorgere oggi, questo ci chiede oggi questo meraviglioso Vangelo!
Tutto ha avuto inizio da quella corsa delle donne e di Pietro e Giovanni al mattino di Pasqua: al sepolcro non hanno trovato il Cristo ma un assente: certo, nei luoghi della morte Dio è assente, lui è nella vita dove si vive, si soffre e si ama. Come ha detto ai suoi ‘Tornate in Galilea , là mi troverete’. Ritorniamo anche noi stasera, domani alle nostre case sulle strade, con i nostri parenti con le facce di sempre, con figli e nipoti, così diversi, a volte arrabbiati col mondo, delusi, stanchi: c’è bisogno di rasserenare questo mondo, c’è bisogno di parole nuove, di serenità e di pace, parole diverse, e gesti di riconciliazione, di amore diverso, nuovo. C’è bisogno di cristiani risorti che guardino in faccia la realtà con occhi nuovi, sguardo nuovo cuore nuovo: cristiani negli ospedali per accompagnare, nei nostri oratori in mezzo agli adolescenti con la voglia di vivere, nei luoghi di lavoro per renderli più umani, nelle istituzioni per stare accanto in particolare agli ultimi, nelle Caritas non per fare assistenzialismo ma per lavare i piedi e per offrire opportunità, c’è bisogno di cristiani che ascoltino: ascoltino il grido di Cristo in croce come il grido silenzioso di chi soffre! Delle famiglie spezzate, dei fratelli che si detestano, degli anziani soli, delle coppie in crisi, dei ragazzi sbandati: ogni grido dell’uomo è l’eco del grido di Gesù in croce: ‘Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?’ E Gesù è stato abbandonato anche dai suoi in quel terribile Venerdì santo: l’aveva anticipato il Signore: ‘Mi uccideranno, sarete dispersi come un gregge senza pastore, vi calunnieranno, ma io non vi lascerò, vi donerò un Vento nuovo, una primavera nuova, un amore diverso, quello del padre mio, non sarete orfani, ma veramente fratelli e renderete fratelli tutti i popoli. Amatevi allora, amatevi sempre senza misura, amatevi come io ho amato voi e gridate pure a Dio ogni dolore, ogni venerdì santo della storia perché Lui è un Padre che ascolta i suoi figli. Io vado avanti dal Padre mio ma proprio ora inizia un mondo nuovo, il mondo dell’amore, il mondo OLTRE questo mondo’ .
Buona Pasqua oggi e sempre, Dio è quello che rotola via insieme a quella pietra anche le nostre paure, i nostri dubbi, le nostre chiusure: riparti da lui per diventare donna nuova, uomo nuovo che vive di amore e per amore. Solo chi ama non cammina, non corre ma vola, solo chi è innamorato sa volare, sa incendiare un mondo spento e sa ripartire dalla vita di ogni giorno con lo sguardo e l’abbraccio di Dio per ogni uomo.
Buona Pasqua a te dall’ultimo banco della chiesa o da un letto d’ospedale o dalla fabbrica dove passi 10 ore al giorno: Gesù non ci toglie la croce e il dolore, Dio non è onnipotente: o meglio è onnipotente solo nell’amore, è capace solo di amare. Una volta un mio amico prete mi ha confidato: ‘nel mio oratorio ci sono ragazzi che si comportano male e la gente mi dice ‘buttali fuori’! E lui: “Ma io sono diventato prete per farli entrare, per tenerli vicino, per farli sentire amati, non per buttarli fuori!” Lo stesso è Dio: non chiedergli di punire quel delinquente: lui è andato in croce per salvarlo, per trasformarlo in un figlio!
Buona Pasqua, buon desiderio di Pasqua ogni giorno, ogni momento, in mezzo alla fatica che ci aspetta: la mancanza d’acqua ci costringerà a risparmiare, a capire che dobbiamo cambiare qualcosa nel nostro stile di vita; preghiamo Dio che faccia piovere ma preghiamo perché impariamo a gestirla meglio. Altra fatica: meno nascite in Italia: colpa dei giovani? No, forse dipende da tanti fattori insieme: economici, politici ma anche dal sentirci inviati come il cieco a Siloe per guarire lui stesso e per donare, trasmettere la vita, per far nascere dei figli di Dio. Ultima fatica: a volte assistiamo a scontri, risse negli stadi e fuori, a volte tra le nostre strade, tra ragazzi adolescenti: nel nostro piccolo, che poi piccolo non è, cerchiamo di seminare la gioia della Pasqua, del Vangelo, la gioia di aver incontrato questo Dio innamorato di me, di te che ci invita a ripartire meglio di prima, ci invita a risorgere qui, adesso. Tante fatiche ci attendono ma non abbiamo paura: LUI HA VINTO IL MONDO!
Sì, carissimi , è tutto pronto, la Pasqua è pronta, il Signore è pronto, la festa sta per iniziare, è tutto pronto: il Risorto ci parla del Padre, del suo regno, ci assicura che in ogni nostra croce, lui è vivo e presente, oltre ogni nostro dubbio!
Buona Pasqua ad ogni vostro grido, ad ogni speranza, ad ogni caduta, ad ogni resurrezione. Buona Pasqua di cuore.
V Domenica di Quaresima - 26 marzo 2023
Marta e Maria, le vere risorte!
'Casa del povero' vuol di re Betania dove Gesù si rifugiava per incontrare degli amici, per sentirsi a casa, per raccontare la giornata, per confidarsi e magari cercare conforto e ascolto in mezzo a mille tensioni. E’ lui il povero, Dio povero che cerca casa, cerca l’acqua della samaritana, cerca il cieco nato, cerca te, cerca me, non per chiedere ma per donarsi: Lui è il Dio che vuole solo donarsi! Diverso da tutto e da tutto, soprattutto dalla nostra idea di Dio, questo Gesù povero che ha bisogno di porte aperte e cuori aperti per entrare nel mondo: cerca i nostri cuori, le nostre mani, i nostri sguardi. Un Dio bisognoso di essere amato.
La tavola imbandita che abbiamo messo al centro della navata ci ricorda proprio questo: Dio cerca casa, cerca un cuore docile, cerca qualcuno disposto a passare dalla morte alla vita, come Lazzaro.
Per imparare ad essere noi stessi accoglienti verso gli altri, dobbiamo prima andare a casa di Dio, lasciarci invitare, a casa sua, sentirci suoi ospiti: accolti nel deserto, accolti al pozzo, accolti accanto al cieco, inviati come il cieco nato a raccontare i suoi prodigi. Solo così diventeremo capaci di accogliere qualche fratello, sorella e trasformare un estraneo in amico.
Ma proprio su quella casa, proprio nell’intimità di Betania, irrompe il dolore e la malattia: quando meno te l’aspetti, quando va tutto bene, quando la vita ti sorride. Allora capisci di essere fragile, indifeso, e tutto ti crolla addosso: tre anni fa eravamo nel vortice del ciclone con tanti amici che oggi non ci sono più!
E Gesù tarda a venire, rimanda finché Lazzaro muore: a volte questo Dio ci sembra assente, lontano, tace e sembra non guardare la nostra tragedia. Addirittura dice Gesù: 'Lazzaro è morto e io sono contento di non essere stato là, affinchè voi crediate'
La svolta del brano sta nell’espressione di Tommaso: 'Andiamo anche noi a morire con lui' . Cioè: andiamo a guardare in faccia la morte, andiamo a capire che c’è qualcosa oltre la morte, andiamo a toccare con mano cosa può fare Dio quando si crede in Lui!
Non ci piace tanto pensare alla morte, diciamolo: ci da un senso di fine, di tragedia, di nulla e di abbandono delle persone che amiamo. Gesù ci apre un’altra strada e ci rivela: non sei nato per morire, non sei destinato alla tomba, al nulla, a scomparire, sei destinato a vivere diversamente, sei nato per non morire mai, per la vita vera. Noi pensiamo di passare dalla vita alla morte: lui ci confida che passiamo dalla morte alla vita! Vera. Gesù non vuole salvarci dalla morte, impossibile: ma ci salva NELLA morte, ce la fa attraversare come ha fatto lui che dalla croce è entrato nel regno del Padre.
Quando arriva alla tomba di lazzaro, Gesù scoppia in lacrime, si commuove: Dio piange, piange le nostre stesse lacrime, quelle di ragazzi che si stringono attorno alla bara dell’amica morta in incidente, quelle dei soldati che piangono un loro compagno, quelle di una mamma che prega per il figlio ammalato. Ci serve un Dio così che si ferma, si commuove, che è disperato ma poi si rialza e fa rialzare anche noi. In ogni nostro strazio e tragedia, lui è li accanto e piange con noi: non è il Dio onnipotente che ci piace tanto ma un Dio uomo che cammina con noi.
Marta e Maria piangono ma non sono disperate, credono che Gesù possa fare qualsiasi cosa, si affidano a lui, hanno fede che lui è il Cristo vivente: in realtà le vere risorte sono loro, non Lazzaro; Lazzaro ritorna alla vita di prima, Marta e Maria sono già oltre, nella vita vera perché credono in questo Dio nuovo, unico, innamorato, in lacrime. Questo è il cuore di questo meraviglioso brano.
'Lazzaro, vieni fuori', cristiano vieni fuori non dal sepolcro, ma dal tuo mondo fatto di luoghi comuni, di storie già sentite, di feste ormai trite e ritrite, fatto di manifestazioni ammuffite e logore, fatto di storie già sentite, col finale già scritto e conosciuto, senza possibilità di inventare qualcosa di nuovo.
Gesù da la vita a Lazzaro ma soprattutto a Marta e Maria, lui è la vera vita: ma così facendo firma la propria morte! La sentenza su di lui, a partire da questo momento , è già scritta, è già stabilita.
O Dio vivo, nuovo, già oltre, abbiamo bisogno di risorgere anche noi, di correrti incontro, di piangere con te e come te ma soprattutto di credere che tu sei la resurrezione e la vita. Tu ci attendi fuori dal nostro sepolcro non per ritornare alla vita di prima come Lazzaro ma per iniziare una vita da risorti, da innamorati, perché alla tavola della vita ci sentiamo invitati da te per invitare a nostra volta, tanti fratelli e sorelle.
IV Domenica di Quaresima - 19 marzo 2023
Fuori!
Non basta la sete della samaritana; oggi è il cieco a ricordarci che non vediamo ancora, che inciampiamo da tutte le parti e che abbiamo bisogno di qualcuno che ci prenda per mano e ci guidi al sicuro, ci sostenga nel cammino della vita.
Gesù invece vede, non solo: lui cerca! Cerca la Samaritana, ci prova con lei, cerca il cieco ma soprattutto lui vede in loro ciò che nessuno vede, cerca anche un re per il popolo nella prima lettura: allora manda il profeta Samuele da Iesse, incontra i suoi 7 figli, sta per ungere e consacrare il più grande e forte ma Dio gli dice che non è quello. Allora arriva all’ultimo, il più piccolo e fragile, Davide: Dio non guarda l’apparenza, Dio guarda il cuore; gli altri vedono l’angoscia, il peccato della samaritana, lui vede oltre e dona l’acqua viva, e il desiderio di una luce nuova.
‘Chi ha peccato? Lui o i suoi genitori?’ Domande del passato, vecchie, come vecchio è lo sguardo dei farisei su di lui: i veri ciechi sono scribi e farisei, incapaci di vedere OLTRE!
Di fronte al cieco, Gesù non parla, mette il fango, la terra sugli occhi del cieco! E’ una nuova creazione: come Adamo è stato plasmato dal fango, così ora il cieco è plasmato, è ricreato a immagine di Dio, rinasce l’uomo nuovo, nato e rinato. E’ il vero Battesimo, l’incontro con la vera luce del mondo!
La svolta vera del brano non è il fango sugli occhi ma quell’invito: ‘vai a Siloe’. Sentiti un inviato, un mandato. La parola ‘apostolo’ significa mandato! Solo quando ci sentiamo degli inviati, dei mandati a raccontare cose non nostre, inviati non per nostro merito, mandati per qualcosa di più grande di noi, inviati ad andare dove non vorremmo ma perché c’è qualcuno di cui ti fidi che ti dice: vai, buttati, parti! Solo allora guarisci dal male antico, solo allora inizi a vederci chiaro, rinasci uomo nuovo, a sua immagine. Ma finché pensi di decidere tutto tu, di essere tu il protagonista, di decidere da dove parti, quanto cammini, e dove arrivi, allora sei cieco, inesorabilmente, per sempre, senza rimedio.
Inviati: nel matrimonio, con i figli, al lavoro, in comunità, là dove ti sembra di essere un pesce fuor d’acqua, sul treno, a scuola, nel condominio, mentre cammini, quando sei in internet… Inviata, inviato a raccontare la bellezza di questo Dio, il vero vedente. Non è Dio che ti guarisce ma la tua fede che ti fa sentire inviato da Lui ! Stupendo! Stai solo imitando lui, il vero inviato dal Padre in mezzo a noi.
Papa Francesco ce l’ha sempre ricordato in questi 10 anni rivoluzionari: solo la fede in lui ti salva, il sentirti assetato della vera acqua, sentirti cieco, sentirti pecora smarrita che ha bisogno del bel pastore, sentirti inviato, mandato. Nelle periferie del mondo ci porta il papa, nella Chiesa fuori nel mondo che puzzi un po’ di pecore e non sia troppo chiusa a difendere processioni, riti, devozioni: ma innamorata di ogni cieco e di ogni samaritana della storia per vedere in loro il volto del Risorto.
Sto leggendo un libro: ‘Fine pena ora’. Parla del rapporto tra un giudice e un ragazzo da lui condannato all’ergastolo. Il giudice conosce questo ragazzo durante le udienze prima del processo e scopre che ha un cuore, sentimenti, un grande dolore; ‘signor giudice , lei ha figli?‘ 'Sì, 3’ . ‘Se suo figlio fosse nato dove sono nato io e avesse visto quello che ho visto io, probabilmente sarebbe diventato come me!’ Dopo averlo condannato all’ergastolo, gli scrive per 30 anni e gli sta accanto fin quando esce dal carcere. Il giudice ha guardato oltre, oltre l’apparenza di un omicida, ha visto un cuore pentito che cercava la vera luce.
A questo punto del Vangelo inizia la farsa del processo: non al cieco, ma a Gesù, dubitando della sua divinità! Il vero processato è sempre il figlio di Dio, l’inviato a parlare dell’amore del Padre, a provarci con ogni samaritana e ogni cieco della storia. Chi ragiona solo in base alla legge è alla lettura del menù, nemmeno agli antipasti: chi ragiona da inviato è già al dessert di un pranzo di nozze, con tanti amici, e non devi nemmeno pagare. Gesù non rinnega la legge, ma ci fa capire che il cuore dell’uomo è più grande di ogni legge: il cuore di ogni cieco che cerca la vera luce. ‘Credo Signore’, è il vertice di questo brano del cieco nato: come la samaritana, anche lui passa dal considerare Cristo prima un rabbì cioè un maestro, poi un profeta, e infine il Signore in cui credere!
Al termine, il cieco viene cacciato fuori, e li Gesù lo aspetta e lo salva. Il vero ‘cacciato fuori’ è lui Cristo, cacciato fuori dalla sinagoga, dal tempio, crocifisso fuori dalle mura della città, a volte fuori dalla nostra vita. Stando fuori a volte vedi le cose in modo diverso: fuori per incontrarlo e ritornare dentro rinnovati, a servizio, inviati dall’amore , per amare. Fuori da schemi vecchi e ammuffiti, quelli di una Chiesa non più al passo con i tempi, non più innamorata dell’uomo, di ogni uomo.
Sei tu il vero vedente della storia, Signore, che vedi oltre il nostro buio e illumini ogni notte del mondo. Inviato dal Padre, aiutaci a sentirci inviati a donare la tua luce ma soprattutto a vedere tutto e tutti con gli occhi di Dio!
III Domenica di Quaresima - 12 marzo 2023
Dio ci prova!
Cenere, deserto, luce e ora l’acqua viva al pozzo di Giacobbe. Gesù parte sempre dalle periferie del mondo e di ogni cuore: non dal tempio di Gerusalemme ma dagli impuri della Samaria, non da scribi, farisei o dal Sinedrio ma dal cuore di una donna, un cuore vuoto, arido come un pozzo senz’acqua.
Gesù è stanco per il cammino e siede al pozzo: passa per la Samaria per annunciare il suo regno agli ultimi, ai dimenticati della storia.
Giunge la donna, sola, delusa dalla vita, chiacchierata da tutti per la sua vita troppo disinvolta: 5 mariti, nessun amore vero, probabilmente senza speranza, rassegnata ad una vita di serie B.
Siamo noi quella donna alla ricerca del vero sposo: tanti amanti, tante avventure, tanti idoli abbiamo seguito e non ci accorgiamo che il vero sposo ci aspetta , ci cerca, solo lui ha l’acqua viva, ma noi lo snobbiamo, facciamo i preziosi, ci facciamo pregare, gli diciamo che non abbiamo tempo e ci facciamo una nostra religione, una nostra fede, un nostro dio simile a noi, usa e getta, senza passione, senza gioia!
Ma lui ci prova, sempre, non smette mai di offrirci l’acqua viva che sgorga dal suo cuore.
Il pozzo era il luogo dell’incontro, dei pettegolezzi, del corteggiamento: ragazzi e ragazze si trovavano al pozzo e con la scusa dell’attingere acqua, cercavano la più bella, il più bello.
Anche Gesù ci prova: se non fosse il figlio di Dio, quell’approccio potrebbe essere un corteggiamento: sì Dio ci prova, lancia la proposta, cerca una sposa, ma lei sembra addirittura infastidita da quella proposta audace. Nell’Antico Testamento Dio dice a Osea di innamorarsi di una donna: Dio stesso gliela indica e gli dice il nome. Osea si informa e sa che è una prostituta e dice a Dio: 'Ma come, Signore? sai chi è quella donna ? da chi mi mandi?' E Dio gli risponde: 'Fidati, vai, corteggiala, seducila, amala, falla tua sposa!' Osea la conquisterà, la sposerà ma lei continuerà a prostituirsi. E Dio gli dice: 'Vedi? Così fa il popolo prescelto con me: io do la vita per loro, ma loro preferiscono gli dei, loro non accettano la mia proposta, non accolgono il mio amore.' Così rischiamo di fare anche noi così con lui.
Al pozzo di Giacobbe continua la storia di questo Dio innamorato dell’uomo che va a cercare la sua sposa delusa da una vita dissoluta e da tanti falsi amori che l’hanno solo sfruttata e tradita.
L’incontro avviene a mezzogiorno, in pieno sole: momento improbabile per attingere acqua, si va all’alba al pozzo; altrettanto improbabile e inopportuno che un uomo parli in pubblico con una donna. Gesù cambia i programmi, cambia gli schemi pur di incontrare l’uomo, la sua sposa; lui le prova tutte.
Parte dalla sete , dall’acqua: un Dio che ha sete! Anche sulla croce dirà: 'Ho sete' e gli daranno da bere l’aceto. Invece lui dona l’acqua viva alla Samaritana, dona il suo sguardo, il suo perdono: non la giudica né la condanna come hanno fatto tutti fino ad ora. Lui non è venuto per pretendere riti e sacrifici come gli idoli: lui viene per regalare a tutti l’acqua viva del Padre, il suo Spirito, la sua amicizia.
'Non ho marito' risponde la donna alla richiesta di Gesù: 'Vai a chiamare tuo marito!' 'Hai detto bene' commenta Gesù che sapeva tutto. Lei è sincera, non nasconde la sua situazione: 5 uomini, nessun amore. Gesù entra nel cuore e intuisce dolori, sofferenze, drammi e non condanna ma salva: la parola Gesù vuol dire proprio 'salvatore'.
Continua il dialogo e lei intuisce che quell’uomo è speciale perché la guarda in modo diverso non per possederla: prima dubita ('Come mai tu che sei un giudeo chiedi da bere a me…'); poi dice che è un profeta; infine dirà ai discepoli: 'Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto: che sia il Cristo?' Lentamente lo riconosce come il Cristo Signore.
'Credimi donna viene l’ora in cui né su questo monte, né a Gerusalemme adorerete il Padre'. Gesù non vuole templi dorati, incensi, sacrifici, vittime: sarà lui il vero sacrificio, la vittima , il vero tempio (la tenda) dove poter incontrare il Padre.
Al termine la donna corre dai discepoli a parlar loro di questo strano incontro: è la corsa dei 2 di Emmaus, la corsa dei discepoli al sepolcro, la corsa di Pietro e Giovanni che trovano la tomba vuota. La donna abbandona la brocca: prima era preziosa, strumento indispensabile per portare a casa l’acqua; ma ora non le serve più la getta via perché ha trovato qualcosa di più importante e unico. Come Pietro lascerà le reti e come il cieco Bartimeo getterà via il mantello per correre verso Gesù.
Serve anche a noi la tua acqua Signore, un’acqua speciale, viva: serve anche a noi un amore così, uno sguardo così, un Dio che non è venuto a condannare ma a perdonare e ridarci ancora speranza dopo i nostri fallimenti e delusioni. Come con la samaritana al pozzo, vieni a corteggiarci, ci giri intorno , vuoi rubarci dai tentacoli del demonio per farci arrivare nuovi all’alba della vera Pasqua!
II Domenica di Quaresima - 5 marzo 2023
Frammenti di bellezza
Dalla polvere del mercoledì delle Ceneri, al deserto delle tentazioni, al monte Tabor, il cammino è lungo. Quarant’anni per il popolo ebraico, 40 giorni per Gesù, una vita per noi, per renderci conto che in mezzo al deserto in cui ci condanniamo con le nostre mani, Dio ci innalza sul monte per contemplare la sua Gloria, per renderci conto che siamo privilegiati, che siamo noi i nuovi Mosè ed Elia che possiamo lasciarci toccare e guarire dal male del peccato.
Anche Mosè era stato condotto sul monte col fratello Aronne per 'vedere' Dio: ma qui c’è qualcosa di nuovo. Qui c’è una bellezza unica del volto luminoso di Gesù, c’è la luce e il sole, c’è un invito, una chiamata, c’è un anticipo nella gloria della Pasqua.
Come se Matteo ci dicesse: ‘Sei ancora nel deserto, fratello, Chiesa di oggi, ma non smarrirti, non aver paura, non lasciarti vincere dal tentatore: guarda dove sei destinato, guarda la gloria del monte Tabor, guarda il volto del Signore risorto, lo contemplerai un giorno e sarà festa senza fine.
‘Signore com’è bello stare qui! ’ esulta Pietro, lasciandosi andare con entusiasmo in uno slancio di gioia! Come è bello star con te Signore, come è bello stare in famiglia, con un gruppo di amici, con il fidanzato, fidanzata, come è bella la nascita di un figlio! Tutti momenti che sono anticipo, preludio dell’incontro vero e definitivo con Dio nel suo regno. Quanti momenti abbiamo nella vita in cui abbiamo pensato: ‘Che bello stare qui con te’. E avevamo paura che quel momento finisse troppo presto e qualcuno ce lo rubasse; ma quante volte invece abbiamo sentito l’assenza di un fratello, un amico, un genitore e allora qualcosa si è spento, qualcosa è cambiato dall’oggi al domani.
‘Facciamo 3 capanne, 3 tende’ : Pietro non pensa nemmeno a sé, talmente è invaso da tanta gioia! La tenda per gli ebrei nel deserto verso la terra promessa era il luogo dove dimorava la presenza di Dio: ‘Dio è tra noi’ dicevano, ‘e nulla ci fa paura, nessun nemico ci può vincere!’ Gesù non da risposta a Pietro per indicare che ora non c’è più bisogno di tende, di luoghi che garantiscano la presenza di Dio! La vera tenda di Dio tra noi è il corpo di Gesù , la sua vita donata, il suo cuore trafitto, la sua Parola di vita.
‘Stava ancora parlando quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra’. Anche il popolo ebraico in fuga dagli egiziani fu protetto dalla nube che illuminava il cammino degli ebrei ma rendeva incerto e faticoso l’inseguimento del faraone. La nube ora avvolge Mosè ed Elia e da quella nube si sente la voce. Anche la nostra vita è avvolta da una nube, non vediamo chiaro, annaspiamo nel buio, ci poniamo tante domande, cerchiamo tante risposte ma siamo sempre in questa nube della non conoscenza. Deponiamo tutte le nostre ansie di certezze, che ci portano fuori strada: abbiamo bisogno solo di quella voce: ‘Questo è il figlio mio, l’amato: ascoltatelo’. Che cos’è la nostra vita? Ricerca, dubbio, mistero, nube: alla fine conta solo l’ascolto di quel Figlio, conta solo quella luce da cercare, quel sole da cui essere illuminati, conta solo la bellezza di questo Dio che risplende nel mondo.
Allora abbiamo bisogno non di un altro dio, altri miracoli, o segni, non abbiamo bisogno di dimostrazioni che Dio c'è ed è vivo: abbiamo bisogno solo di contemplare la bellezza del volto di Gesù e rifletterlo nel mondo.
Lasciati affascinare da lui, dal suo amore, dalle sue parole nuove, dalla sua forza nuova, diversa, la forza del perdono, del dono senza fine. Solo questo conta.
O Signore, oggi la tua bellezza si irradia nel mondo: è la bellezza di chi sa sorridere nella disgrazia, di chi si affida solo a te, la bellezza di chi non ricambia un torto ricevuto, la bellezza di chi ti sa vedere nel volto di un amico e di un nemico, la bellezza di chi fa della propria vita una continua preghiera innalzata a te, la bellezza di chi sa porgere l’altra guancia, la bellezza di chi sfugge all’abbraccio mortale del diavolo guardando il tuo volto, la bellezza di chi ogni mattina rinnova il suo sì confidando nella tua Parola. In ogni pallida bellezza di questo mondo ci sei tu: ti vogliamo ascoltare e seguire come dice la voce del Padre e riconoscere sul monte dell’incontro, come nella valle della fatica di ogni giorno.
VII Domenica del T.O. - 19 febbraio 2023
Come il girasole
Continua il discorso della montagna, la legge nuova, o meglio: legge antica ma rinnovata dall’interno dalla presenza di Gesù. E’ lui che da senso, il suo corpo incarna una diversa presenza di Dio, dà novità, dà uno stile, lo stile di un Dio innamorato, paziente, che ci propone di amare come ama lui.
Queste ultime 2 affermazioni del vangelo di oggi: “Occhio per occhio e dente per dente”. E “Amerai il prossimo e odierai il tuo nemico” fanno parte della cosiddetta legge del taglione che non era crudele come sembra a noi ma rappresentava un progresso, un miglioramento perché impediva una vendetta terribile e sproporzionata rispetto al danno subito e sanciva la uguaglianza di tutti davanti alla legge. In sostanza poneva un limite al ‘risarcimento’ quando una persona subiva un torto. Una svolta di civiltà, questa legge del taglione che aveva origine nel più antico Codice di Hammurabi.
Gesù però non si ferma a questa, riparte, rinnova dal di dentro! Non fa un lifting per togliere qualche ruga ma ti da un vaccino, un farmaco che ti fa guarire, ti risana!
‘MA IO VI DICO’ è il cuore di questo discorso della montagna: ma io vi dico di non fare come chi agisce male, non abbassarti al livello del violento, non reagire allo stesso modo ma spezza la catena dell’odio, dell’egoismo; ‘porgi l’altra guancia’ non vuol dire essere remissivi di fronte al male subito ma di guardare a come ha reagito Gesù, come ha fatto lui. Gesù propone di partire da quel torto subito per cambiare le carte in tavola, per fare un mondo nuovo, per ripartire con occhi nuovi, cuore nuovo. Le vere rivoluzioni della storia sono state quelle fatte senza armi, senza violenza, con la forza delle idee, la tenacia della protesta, la passione dell’amore.
“A chi vuole toglierti la tunica, lascia anche il mantello”: chi è stato spogliato di tunica e mantello è stato Gesù in croce: nudo, impotente davanti alla violenza dei Romani e del Sinedrio. La tunica rappresenta l’intimità: anche se perdessimo l’intimità, anche se fossimo toccati, colpiti, violati nell’intimità nessuno ci può rubare il fatto che siamo figli di Dio, scelti da lui, parte della sua famiglia. Quando subiamo un furto e un ladro entra in casa nostra e ci ruba un ricordo della nonna, siamo violati nell’intimità della nostra famiglia. Ma non ci può rubare la cosa più preziosa: la passione, il cuore, il ricordo che quel gioiello rappresentava. C’è qualcosa di più grande, di più bello, di nuovo, ci ricorda Gesù: vai oltre e con la tua dolcezza e tenacia fai vedere al mondo che sei attaccato all’essenziale, non a ciò che passa.
“Se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne 2” In realtà vuol dire: se uno ti costringerà a portare un peso, un suo bagaglio, tu portane 2: era prassi dei Romani costringere un giudeo, a portare dei pesi, dei bagagli, come il Cireneo è stato costretto a portare la croce di Gesù. Cioè: accetta di portare il peso della vita di un altro, la sua solitudine, le sua fatiche, i suoi dolori. Magari te li butta addosso, magari non te lo chiede per favore , magari è scortese ma è una sorella, un fratello, che ha bisogno di te. In lei, in lui c’è il volto nascosto di Dio, che ha portato su di sé i dolori, il peccato del mondo!
“Avete inteso che fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico” . MA IO VI DICO! Sembra che Gesù vada contro natura , contro le leggi della convivenza, contro il famoso buon senso. E’ vero: non c’è buon senso nel Vangelo. Gesù non ci insegna il buon senso, Gesù vive da uomo nuovo, anche da Dio nuovo, un Dio che mette al centro noi stessi e ci ama a tal punto da dare la vita. Non c’è buon senso in questo ma c’è il senso del BUONO, BENE, del BELLO: lui ci vuole santi, felici ora, qui, ci vuole salvati da una vita inutile e vuota, ci vuole capaci di mettere al centro l’amore. Qualsiasi amore verso qualsiasi persona. Ma riusciamo a vedere l’altro come un fratello, sorella anche se mi odia, anche se mi percuote la guancia, anche se ruba in casa mia, anche se mi tradisce, SOLO se io conosco e amo il Padre e se riconosco che quella persona è anche lui figlio del Padre. Gesù vuole eliminare il concetto stesso di nemico: amatevi – ci dice- altrimenti vi distruggerete!
“Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Tutti fanno così! Allora ‘siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro”. Perfetti non vuol dire senza colpa, senza macchia o peccato ma rivolti a lui, bisognosi di lui, desiderosi di essere illuminati dalla luce della sua parola, salati dal suo modo di vivere, di diventare nuovi, con cuore nuovo, con il cuore di Dio: di solito pensiamo subito a cosa posso fare verso gli altri; no! Devo preoccuparmi di rivolgermi a lui COME IL GIRASOLE: voglio orientarmi verso Dio per nutrirmi del suo pane e della sua parola, la vera fonte di vita! Questo significa essere PERFETTI: completi, riempiti di lui, nel cuore.
Insomma pensate in modo diverso, non seguite il branco, non seguite gli influencer che fanno i loro comodi, tranquilli dietro il loro monitor; pensano solo ad arricchirsi e rischiano di fare anche tanto male. Segui chi tira fuori il meglio di te, chi ti esalta , chi ti mostra come amare senza misura.
O Signore, tutta la tua vita è stata un porgere l’altra guancia. Siamo noi che ti percuotiamo ancora sulla guancia con il nostro peccato: tu non ci ricambi con la stessa moneta ma ci perdoni e ci porgi l’altra guancia. Tutta la tua vita è stata amore verso i nemici e ci fai capire che non c’è nulla di nuovo nell’amare gli amici. Come il girasole vogliamo essere perfetti cioè rivolti a te, bisognosi di un tuo sguardo, una carezza sulla guancia, pronti a porgerla se qualcuno ci percuote l’altra.
VI Domenica del T.O. - 12 febbraio 2023
Ma io vi dico…
Dopo le Beatitudini, dopo l’annuncio che Dio ci vuole salvi, felici, gioiosi non tristi e in lacrime, come era il pensiero di un po’ di anni fa ( pensate: nel repertorio liturgico è più facile trovare canti tristi, in minore che canti di festa e gioia) dopo aver proclamato che siamo luce e sale perché accesi della sua luce, e saporiti di Dio ( già che sapore ha Dio?), oggi Matteo continua ad annunciarci la legge nuova, la legge dell’amore di Dio per noi!
La prima perla è proprio questa: amore di Dio per noi, non nostro per Dio: noi non siamo all’altezza di un amore così: pieno unico, totale, senza se e senza ma! I fidanzati in cammino verso il matrimonio ci provano: il vostro faro, il vs punto di riferimento sia l’amore folle di Dio!
La secondaperla splendida di questo Vg è il MA! ‘Vi è stato detto dagli antichi….MA IO VI DICO’. ‘Non ucciderai; ma io vi dico…’: quante parole di VITA hai detto, quanto hai protetto ogni vita, quanto hai dato speranza, quanto hai scaldato il cuore di chi era solo, disperato, deluso? ‘ Non commetterai adulterio, ma io vi dico…’: non è sufficiente non andare con un altro uomo o un’altra donna per dire l’amore: ci vuole la cura di ogni giorno. ‘Non giurerai il falso… ma io vi dico’. Sembra che Gesù alzi l’asticella, e ci voglia puri, senza alcun peccato, senza colpe, perfetti! In realtà vuole dirci che Lui per primo ha fatto così con noi: non conta quante volte ci perdona, quanti sacrifici ha fatto per noi, non ci rinfaccia nulla ma si dona ancora per raccontarci che il suo amore supera ogni legge, ogni decreto, ogni regola.
E’ quel MA che fa la differenza: noi di solito usiamo il MA per abbassare il tiro, per giustificarci, per difenderci : ‘Tutti rubano, ma io…’. Dio usa il MA per farci capire che non si ferma a contare quanto fa per noi ma si lancia, si getta, continuamente e senza limiti.
L’amore è così! O tutto o niente. Non puoi amare a tempo: ‘Ma sì ti amo, ti sposo per un anno, poi vediamo…’ Non puoi dire: ho fatto la spesa, ti ho fatto il regalo per il compleanno, ho pagato il mutuo, ecco sono a posto! Chi ama non si sente mai a posto, arrivato ma è sempre in cammino, proteso, sempre desideroso di migliorare ma non in quantità ma in qualità, non in quante cose faccio, ma nel COME lo faccio. Chi ama, non conta quanto ho fatto per te ma cerca sempre nuove occasioni per donarlo questo amore.
Terza perla: Dio non si ferma ai famosi 10 comandamenti ma ci donale LEGGE NUOVA, parole nuove: le BEATITUDINI. Sei beato, felice se ti metti in gioco, se dici tocca a me ricominciare, se ci provi ancora, se non usi la parola ‘fine’ che non esiste nel vocabolario di Dio. Se sei felice di accontentarti dell’ultimo posto, se non ti piangi addosso, se accetti le ingiustizie sulla tua pelle, se trasformi il male in bene, se metti pace dove 2 si detestano, se metti da parte il tuo orgoglio, i tuoi diritti per far crescer l’amore, per regalarselo (non puoi darti l’amore da te stesso, puoi solo riceverlo e donarlo a tua volta).
Nel percorso di preparazione al matrimonio, ho raccontato di una coppia anziana, la moglie era in carrozzina, con una paralisi; il marito la accudiva in tutto, pulizie, faceva da mangiare mentre lei gli diceva cosa fare. ‘Mi da sempre gli ordini -diceva- ma non solo adesso, ha sempre fatto così!’. Quando lui usciva la salutava, le teneva la mano un momento, le dava un bacio: torno presto non preoccuparti’. Quando ritornava, stessa procedura. Il giorno del loro 60° anniversario di matrimonio, i figli hanno fatto la torta identica a quella del matrimonio è hanno stampato un biglietto con 2 foto: quella del taglio della torta il giorno del matrimonio e il taglio della torta 60 anni dopo!
‘Vi è stato detto’ (si dice oggi): state insieme finchè dura, finchè tutto funziona bene, però non farti prendere in giro, ricorda che sei libero di fare le scelte che vuoi. ‘Ma io vi dico’: ama senza misura, ama come io ho amato voi, ama con tutto te stesso, fai della tua vita un dono d’amore e sarai felice tu oggi e sempre . Sarai beato perché Dio abita in te e sei diventato luce e sale per i tuoi fratelli e sorelle e per tutto il mondo.
V Domenica del T.O. - 5 febbraio 2023
Accesi di te
Siamo noi i beati, i felici (vangelo di domenica scorsa) non quando salviamo tanta gente, non quando doniamo i nostri beni, non quando preghiamo dalla mattina alla sera: ma quando scopriamo di essere amati, quando ci sentiamo bisognosi, quando ci accorgiamo delle nostre fragilità e ferite, ci fermiamo e sentiamo il bisogno di amici, sorelle, fratelli che ci curino. Quando sentiamo il bisogno di Dio il vero beato non perché tranquillo nel suo cielo ma perché desidera trasformare questo nostro mondo in un paradiso.
Siamo beati quando lasciamo qualche rete ingombrante e parti, un po’ incosciente, un po’ al buio ma con una speranza immensa nel cuore, per diventare pescatore di uomini, per diventare cercatore di perle preziose nel cuore di tutti coloro che incontri.
Siamo beati se anche noi saremo in fila con i peccatori non per giudicare ma per riscoprire il nostro peccato e per annunciare il volto di un Dio grande nel perdono.
La domanda vera è: ma io sono felice? Cosa mi serve per essere felice? Cosa mi manca? Quali sono gli ingredienti della mia torta che si chiama felicità? Si trova fuori di te o dentro, nel cuore, nella vita nel tuo distaccarti dalle cose, dall’attivismo, dal troppo fare che rovina tutto. Che cosa mi da felicità e che cosa me la toglie?
Beato te, se sei luce, sale, se allontani le tenebre e fai prevalere il bene? Se dai sapore alla vita, alla vita insipida di tanti amici o nemici? No, per niente! Beato e felice quando senti di essere al buio, quando avverti la lontananza dalla vera luce, quando ti senti piccolo davanti alla sua grandezza, quando senti che la tua vita ha perso sapore, è insipida, hai bisogno della sua parola, del suo perdono, del suo pane di vita per continuare. Sei beato quando testimoni e racconti con la tua vita e con poche parole che senti il bisogno di quella luce e quel sale altrimenti ti spegni e diventi senza sapore.
Non sei tu che converti, fai del bene, salvi qualcuno, non sei tu la luce o il sale ma sei strumento docile nelle mani dello Spirito luce delle genti.
Giovedì scorso abbiamo celebrato la festa della presentazione di Gesù al tempio: è la festa dell’incontro di Dio con il popolo, con la Chiesa, con noi. L’incontro atteso da sempre, avvenuto attraverso il gesto di Maria e Giuseppe che rispettano la legge e attraverso le parole di Simeone e Anna, due vecchi sconosciuti che annunciano la novità di quel Bambino luce del mondo.
Sei beato se non pensi a far luce agli altri ma se rimani acceso, se la tua lampada brilla e non guardi se altri invece l’hanno spenta e dimenticata. Beato se non la nascondi sotto il tavolo ma tieni alta la luce della sua Parola, della sua venuta, se tieni in alto Gesù e la sua presenza nella tua vita adesso, oggi.
Rimani acceso come un fuoco che illumina , brucia e si consuma: il credente si consuma in ascolto del vero Dio e arde di un amore unico, folle, come il suo.
Beato allora se sei nella gioia anche se tutto intorno a te è buio e tristezza; beato quando sei consapevole di essere come una candela che mantiene la luce, la tiene accesa per sé prima che per gli altri, pe rilluminare la tua strada prima che far vedere chiaro agli altri.
In Congo il Papa ha parlato di sfruttamento dell’Africa da parte dei paesi ricchi: altro che luce. C’è un mondo che calpesta diritti e persone e c’è un mondo sottomesso che vuole semplicemente sopravvivere e dare serenità ai propri figli.
O Signore, nel buio del nostro mondo preoccupato di far quadrare i nostri conti, tu sei solo preoccupato di diffondere, di regalare, di cercare, alla velocità della luce, chi è povero, solo, disperato; vogliamo solo mantenere accesa la tua luce nella nostra vita e nel mondo, solo questo è il nostro compito, quello di sentirci beati perché inondati dalla bellezza della tua luce venuta per noi.
IV Domenica del T.O. - 29 gennaio 2023
Felicità dietro l’angolo!
Parte da qui il regno di Dio, parte dal ‘Convertitevi’ di domenica scorsa, parte da un Dio in fila con i peccatori, vero Agnello tra i lupi del mondo. Parte dalla galilea delle genti, dei pagani, di chi non lo conosce perché ha bisogno di aria nuova, luce nuova, fratelli, sorelle nuove. Parte dalle nostre galilee, dai nostri rapporti deteriorati, dai nostri fallimenti, dai nostri rifiuti, dalla nostra scarsa stime verso quell’amico, quel collega, parte dalle nostra case, dalle piazze, dai nostri incontri, dai nostri sorrisi a volte spenti.
La bella notizia è che lui c’è e parte! O meglio ri-parte.
Se vi chiedessi di dire a memoria i Comandamenti, più o meno li conosciamo e ne ricordiamo almeno 7,8: ma le Beatitudini non sappiamo neppure che esistono! Sconosciute, anonime, insignificanti. Forse perchè ci mettono a disagio, così dirette, così forti, così apparentemente fuori di testa. Eppure...
Eppure sono il cuore dello stile di Gesù, sono la strada maestra della felicità, sono il punto d’arrivo del regno di Dio; noi le abbiamo messe in soffitta ancor prima di viverle e capirle. Colpa nostra, colpa della Chiesa, colpa di chi non si è lasciato affascinare da una Parola nuova, diversa, esaltante.
La vera beatitudine è quella di Gesù: lui è il vero povero in spirito, puro di cuore, cercatore della giustizia: la sua vita è stata orientata all’annuncio e all’inizio del regno, da Lui è iniziato il cammino nuovo che ha riacceso nei suoi uno stile nuovo di essere innamorati di Dio e del prossimo.
Sì, sembrano assurde e lontane dalla realtà: cosa vuol dire beato chi è povero, chi piange, chi è triste? Assurdo! Dio ci vuole tristi, in pianto? Dio gode se i suoi figli soffrono? C’era e c’è ancora una corrente di cristiani che pensano che bisogna esser sempre cupi, un po’ piangenti (ricordiamo nella preghiera ‘Salve o regina’ l’espressione ‘in questa valle di lacrime’) . Qualche anno fa erano ‘di moda’ le 'madonne che piangono’ . Qualcuno dopo un terremoto o uno tsunami ha detto che quegli uomini avevano commesso senz’altro qualcosa di grave perché Dio li punisse in quel modo! Non è vero che più soffri e sei triste e più andrai in Paradiso! Questo non è il Vangelo di Gesù.
Chi la pensa così non ha capito niente della nostra fede!
Le Beatitudini sono la strada maestra per la santità, vogliono invitarci a essere felici ma nel modo giusto. E’ inutile che cerchiamo la felicità nelle cose, in ciò che ci capita di bello, in un incontro fortunato con qualcuno: la felicità ce la costruiamo noi, è una scelta, una decisione, un desiderio da rinnovare ogni giorno. Le Beatitudini ci parlano di un modo diverso di essere felici meno ripiegato su me stesso e i miei bisogni più o meno reali e più attenti a qualcosa di grande e di OLTRE che ci sta capitando. Quando inizi una avventura nella vita, fai una scelta ma poi quella scelta la comprendi poco per volta, aggiusti il tiro ogni giorno e poi quella scelta ti conduce, ti porta, ti sostiene se ti affidi: ma se torni indietro con lo sguardo, se rimpiangi il passato, se non sei disposto a cambiare qualcosa, allora ci rimani sotto e ti sembra di portare un peso troppo grande per le tue spalle.
Dio ti vuol e felice, sempre e per darci questa felicità ha accettato la croce! La felicità è il tema grande della nostra vita, la VERA Ricerca, il vero desiderio di ogni essere umano. Nessuno cerca di essere infelice ma tutti diamo un significato diverso a questa parola!
Sei felice, dice Gesù, quando sei povero in spirito, cioè bisognoso di Dio del suo spirito, bisognoso della sua presenza; quando senti che la soluzione a quel tuo problema non è dentro di te ma in Lui: Lui ha la chiave per aprire quella porta, cercala in lui!
Sei felice quando anche nel pianto non ti rassegni, non te la prendi con il mondo ma guardi alle cose e persone belle che hai ancora con te (la mamma che venerdì scorso ci ha parlato di come è stata accolta nell’ospedale dove era ricoverata la figlia ci ha detto: ’Non sono arrabbiata col mondo né con Dio per la perdita di mia figlia: guardo avanti, ci sono tante cose belle, mi sento forte, non ho più paure nella vita, nulla mi fa più paura).
Sei felice quando sei mite e non rispondi al male con altro male ma trasformi il male in bene: così segui le orme di Cristo che nella sua vita ha trasformato il male ricevuto in bene per tutta l’umanità.
Sei felice quando sei nel pianto, nella fatica, o meglio, quando nel pianto non ti piangi addosso, non fai pesare la cosa, quando sai guardare oltre e confidi in Dio che asciuga le lacrime dei suoi amici e ti aiuta a danzare anche nella bufera e a resistere nella fatica.
Sei felice quando sei misericordioso e non giudichi il fratello: quando hai un cuore misero, da povero, bisognoso solo della ricchezza e della bellezza di Dio.
Sei felice quando sei puro di cuore, quando cerchi di non vedere il male nell’altro, quando non usi malizia, quando amplifichi il bene e copri il male negli altri, anzi ti sostituisci a chi fa il male e insegni a fare il bene.
Sei felice quando operi la giustizia: non solo non litighi ma quando 2 litigano ti metti in mezzo per costruire la pace! Il cristiano ricicla e là dove c’è ancora buio, porta un raggio di quella luce che gli ha toccato il cuore.
Grazie Signore perché ci mostri la via per la felicità: più leggeri, più liberi, più in comunione con lui perché in noi risplenda quella bellezza che è Dio e perché la doniamo con gioia a chi ha incontrato solo violenza, solitudine, disperazione nella sua vita.
III Domenica del T.O. - 22 gennaio 2023
Religione o fede?
‘Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce!’ E’ la luce di Betlemme, dei pastori, ma anche la luce dei peccatori nel deserto per i quali Gesù viene ad annunciare una parola nuova un Dio nuovo!
E dona questa luce proprio dove c’è buio, tenebra, peccato, morte: dalla Galilea delle genti, cioè dei gentili, dei pagani che adoravano gli dei. Proprio da lì parte non da Gerusalemme, dalla città santa, non dal tempio ma dal deserto, non dal popolo eletto ma da chi non ha conosciuto JAHWÈ, il Dio dei padri. Gente di cattiva fama, poco affidabile, che non aveva niente a che fare con i giudei: discendenti da altri popoli che avevano conquistato e dominato gli ebrei. Nessuno si sarebbe recato volentieri e tranquillamente in quei posti. Ma Gesù ci va, cerca gli ultimi, cerca i dispersi, lui è il Dio in cammino che considera sorella, fratello ogni figlio dell’uomo per farlo diventare figlio di Dio. Sa bene che deve temere i suoi come Erode piuttosto dei pagani come i magi che venivano dall’Oriente.
Gesù scandalizza, ieri e oggi: anche oggi ci raggiunge in modo inatteso: basta avere occhi e cuore aperto per accorgerci che ci parla, magari attraverso persone da cui proprio non me lo aspettavo. Magari in posti inaspettati, improbabili.
Poche parole: ‘Convertitevi, il regno dei cieli è vicino’. Non conta quante cose, quante iniziative, quanto bene fai: conta quanto ti vuoi convertire. Convertirsi è come raddrizzare il timone della tua barca perché sei andato un po’ fuori rotta. Non pensare al peccato: il problema non è se hai peccato o meno. Il problema è chiederti se lo senti davvero questo Dio in te, se ti anima, se ti riscalda, se ti riempie il vuoto, se avverti il bisogno di lui. Un amico non lo capisci dalle tante cose che fa per te ma da come ti guarda, da come ti coinvolge, da come si preoccupa per te, da come senti il suo calore, la sua vita.
Una volta un amico mi disse: ‘Ma sai che i miei colleghi di un’altra religione sono più religiosi di noi? Pregano spesso, fanno digiuno, insomma sono più credenti di noi che abbiamo perso le nostre tradizioni, i punti di riferimento, non preghiamo come loro’. Io ho detto: ‘Può darsi, magari è vero! Però considera una cosa. Hai detto bene parlando di religione: la nostra non è una religione ma una fede, rapporto personale con Dio, un bisogno di sentirlo dentro, nel cuore, nei pensieri, all’inizio delle nostre scelte e decisioni. Dentro come senti parte di te tua moglie, tuo figlio, tuo padre. Almeno qualcuno ci prova! E’ la differenza che c’è tra un contratto e un matrimonio, o tra andare a scuola e studiare: un contratto e andare a scuola lo fai per dovere; un matrimonio e studiare lo fai perché ti fa star bene, ti rafforza, ti piace, ne hai il DESIDERIO!
Come il piccolo principe che coltiva la sua rosa, si prende cura, la ama: proprio per questo diventa unica in mezzo alle altre. Ecco Dio si prende cura di te, ti chiama per nome, ti conosce, ce l’hai dentro e allora senti quanto è essenziale per te!
Gesù li chiama per nome, a coppie di fratelli per indicare che lui è presente dove qualcuno fa comunione, fa famiglia; li chiama mentre lavorano, non mentre pregano ma nella quotidianità, nei momenti più comuni della loro vita e affida un compito: diventate ‘pescatori di uomini’. Non più di pesci come prima ma di uomini. Cambia la destinazione ai suoi ma non la loro natura, la loro indole: Gesù parte da noi, dal nostro vissuto, dalla mia storia, dalla tua storia e ci trasforma dal di dentro, dai pensieri, dal cuore; ci conosce nel profondo e sa vuole partire da ciò che siamo per darci un nuovo orizzonte, una nuova meta: allarga i nostri orizzonti e dai nostri a 4 amici, ci fa amare tutto il mondo: ogni volto che incrociamo è nostro fratello, sorella!
Al termine il VG dice: ‘Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle sinagoghe annunciando il vangelo del regno’. Non dice:’ Faceva pregare, dava indicazioni, faceva tante raccomandazioni, diceva ciò che è giusto o sbagliato… No, annunciava il regno: anche noi da genitori, educatori, catechisti annunciamo e basta: il regno poi cresce da solo, fidati, tu semina e basta. Come un buon testimone innamorato di lui e della sua parola getta le reti nel tuo cuore e nel cuore di ogni fratello che cerca un senso alla vita.
II Domenica del T.O. - 15 gennaio 2023
ECCO, È QUI!
E’ lui l'Agnello, l’agnello di Dio, l’Agnello che è Dio che toglie i peccati nostri e di tutto il mondo. Lo abbiamo adorato in una mangiatoia, come nostro cibo, lo abbiamo sentito annunciato dai pastori, abbiamo anche noi seguito la stella e infine, domenica scorsa lo abbiamo visto in mezzo ai peccatori nel deserto per annunciare la venuta del regno. Continua a stupirci, continua a scandalizzarci con le sue parole nuove, con il suo sguardo nuovo, con quel modo inedito di togliere il male, il peccato per farci ritornare figli di Dio, fratelli suoi.
Anche Giovanni è stupito e si chiede:’ma chi sei? Sei proprio tu colui che stiamo aspettando o dobbiamo cercarne un altro?’ ‘Sono io che devo venire da te e tu vieni da me?’ da me, a casa mia, nella mia vita, nella mia storia? E’ questo stupore che oggi ci manca: abbiamo tutto, sappiamo tutto, gestiamo tutto a distanza con le nostre app, con i 5 Giga, con le piattaforme, con i nostri smart: ci sentiamo onnipotenti, capaci di risolvere ogni dubbio, Google ci fornisce le risposte ad ogni domanda. Se per caso perdiamo il cellulare, siamo finiti, morti, non esistiamo più perché perdiamo l’identità digitale e non possiamo fare più nulla. Un ragazzo mi ha detto: ‘Dovevo fare un esame all’università ma avevo perso lo smart: mi sono presentato, avevo studiato bene ma non ho potuto farlo senza i codici di accesso'. Capite? almeno una volta non ti presentavi perché non avevi studiato... Schiavi, ecco cosa siamo diventati, schiavi. E dimentichiamo l’essenziale, ci perdiamo la parte migliore che è lo STUPORE, lo stupore dei bambini, lo stupore della prima volta, lo stupore di un pagina di un libro, di un tramonto, di una montagna innevata, lo stupore di un sorriso inatteso, lo stupore per un Dio inatteso, nuovo, infinito, Agnello non lupo come siamo noi appena qualcuno ci fa un piccolo torto.
Agnello senza diritti, senza altro nome, senza dignità, agnello in mezzo ai lupi: e i lupi siamo noi verso lui e verso tanti sorelle, fratelli ai quali potremmo voler bene un po’ di più, se solo avessimo quello stupore perduto.
‘Io non lo conoscevo’ dice ancora Giovanni, ‘ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele’. Giovanni ne aveva sentito parlare, lo aveva battezzato nel deserto eppure non lo conosceva. Assomiglia tanto a noi che rischiamo di non conoscerlo perché forse non lo abbiamo incontrato davvero, lo abbiamo dimenticato, abbiamo in mente troppe cose, abbiamo in mente noi stessi, le nostre comodità e basta.
Scorrendo le notizie sui giornali hai di che stupirti: stupirti della stupidità umana come quella dei tifosi che si sono scontrati in un’area di servizio sull’autostrada. Mentre molte persone nel mondo sono costrette a fare una guerra ingiusta, e perdere la vita, c’è chi ha la stoltezza di cercarsi guerriglie urbane: altro che agnelli! Lupi, e della peggior stirpe.
Per fortuna ci sono notizie che stupiscono in positivo, eccome: bisogna fare la fatica di cercarle e accendere su di esse i riflettori.
Lo chiamavano don Vittorione: aveva un ristorante famoso e ben avviato a Varese. Ma ad un certo punto negli anni ‘70 decide che quella vita non gli bastava più. Vende tutto, chiude baracca e burattini e inizia a portare generi alimentari e costruire più di mille pozzi per l’acqua in Uganda; fonda la ONG Africa mission insieme ad alcuni amici. Viene ordinato diacono e poi prete. In tutta la sua vita farà 147 missioni in Uganda aiutando molte comunità. Muore nel 1994. Piccolo particolare: don Vittorione pesava 230 kg (non 130, avete capito bene): una volta abbracciandomi quasi mi ha stritolato.
‘Aiutaci a provare un po’ della sua sana follia’ scrivono oggi i responsabili di Africa mission che può contare su molti gruppi di sostegno sparsi in tutta Italia.
Da Giovanni Battista, il testimone, molti sono diventati i testimoni di oggi nel mondo e seguono l’Agnello: in mezzo a tanti lupi, si lasciano guidare non da una stella ma dalla Parola di Dio e lo conoscono vivo nei fratelli e lo riconoscono in mezzo agli ultimi e ai più abbandonati.
O Signore, vero Agnello, donaci in questo anno appena iniziato lo stupore di saperti cercare soprattutto là dove crediamo che tu non ci sia. Donaci occhi e cuore nuovi per sentirti vivo tra noi: in mezzo a tanti lupi, Tu vero Agnello, ci chiedi di essere agnelli testimoni di un mondo nuovo, uno stile nuovo, un Dio nuovo.