Omelie di don Marco

Archivio anno 2022

S. Natale - 25 dicembre 2022

Fatti casa!

L' abbiamo già capito ormai che tante cose vanno male e non si aggiustano con la bacchetta magica: il clima, le guerre, la crisi energetica, la corruzione, la falsità… A volte ci illudiamo, sembra che ci sia qualche barlume di speranza ma i risultati che vorremmo noi non arrivano! Allora rischiamo di deprimerci gli uni gli altri con gli stessi discorsi, un po’ vecchi e ripetitivi. Persino il CENSIS ci rivela che siamo un popolo di scoraggiati, più delusi rispetto all’ultimo censimento, con tanti fantasmi all’orizzonte che non ci lasciano tranquilli.

Il pensiero va ai nostri fratelli ucraini che il Papa ricorda sempre: al freddo, al buio, ormai senza lacrime: che Natale vivranno, quali speranze li sostengono, cosa c’è nel loro cuore?

Persino i primi cristiani erano in crisi di fronte ai racconti degli evangelisti: come si fa ad accettare un Dio povero, nato da 2 ragazzi sconosciuti, anonimi, in un luogo sperduto, un Dio adorato da pastori impuri e delinquenti, che sarebbe morto in mezzo ad altri delinquenti. Come si può accogliere e adorare un Dio così? All’inizio il Natale non era capito, non era celebrato: troppo scomodo questo Dio entrava nel mondo come un profugo! Meglio parlare di miracoli, prodigi, banchetti, resurrezione. E così il Natale cristiano verrà festeggiato molto più tardi, come festa della luce: si sono salvati in corner!

E noi che rapporto abbiamo col Natale? Noi abbiamo un buon rapporto col Natale, anche se l’abbiamo trasformata nella festa di Gesù bambino, nella festa dei regali sotto l’albero, o la festa della famiglia e di babbo Natale, per poi ricominciare il giorno dopo un po’ assonnati, col pensiero al lavoro da riprendere, ai compiti da fare o far fare, dagli auguri non fatti alla zia, altrimenti si offende….

Fermi tutti. Scendiamo dal treno in corsa. Fermiamolo questo treno del Natale a tutti i costi, del Natale che deve trovarci più buoni, del Natale delle luminarie (per fortuna quest’anno ce ne sono di meno), del Natale dei buoni sentimenti, dei regali sotto l’albero.

Il Natale del Vangelo è un’altra cosa: è un Dio che da lontano si fa vicino, accanto, dentro. Un Dio scandaloso perché decide di aver bisogno di 2 ragazzi per far nascere suo figlio; un Dio rifiutato da subito, appena nato, fino alla condanna alla croce. Un Dio innamorato che lava i piedi dei suoi, qualche istante prima di essere tradito e condannato. Un Dio fragile e indifeso, come un neonato, bisognoso di essere accudito, accolto, un Dio che tende le braccia per essere preso in braccio.

Natale allora, se ci lasciamo prendere per mano dal Vangelo, è un’altra cosa: vuol dire prendere sul serio questo Dio, vuol dire rispondere con gioia alla sua chiamata, vuol dire incominciare a innamorarsi di lui come lui è innamorato di noi, vuol dire confessarsi non per fare l’elenco dei peccati ma per chiedermi quanto lo amo, vuol dire lasciar posto a lui, lasciare che sia lui il protagonista, non sempre io, sempre noi. A Natale non dobbiamo fare niente, dobbiamo solo spalancare braccia e cuore per fargli posto. Natale vuol dire diventare noi gli angeli che annunciano qualcosa di meraviglioso, vuol dire diventare capaci di continuare a scrivere un nuovo vangelo con la mia vita, Natale vuol dire che questo Dio prende tutto ciò che è umano e dal di dentro lo trasforma. Non dice: ‘Voi siete peccatori e incapaci e io sono il vero Dio, immortale, onnipresente, onnipotente che sa tutto e sa cosa ti accadrà, quanto vivrai, che scelte farai’: no. Nella nostra storia lui entra silenzioso, delicato, come una carezza, come un profumo prezioso come l’abbraccio di un amico che ti rischiara una giornata storta, come la guarigione dopo mesi di ospedale. In punta di piedi entra e invita noi a rinascere, a farci presepe accogliente, a farci regalo per gli altri, a perdonare chi ci insulta , ad accettare la croce come ha fatto lui, a non vendicarsi, come ha fatto Giuseppe che poteva cacciar via Maria, a diventare i magi lontani che si fanno ancor più vicini, a trasformare il nostro paese in un grande presepe dove facciamo posto, aggiungiamo un posto alla tavola, dove impariamo a non calunniarci a vicenda a sparlare degli altri, di un altro gruppo, dove si cerca di costruire il nostro e non solo il mio o il tuo. Dal Natale di Gesù nel nostro mondo tutto è cambiato, ma anche tutto è come prima: dipende da me, da te, dipende da quanto lo prendiamo sul serio, da quanto ci lasciamo sorprendere, da quanto restiamo a bocca aperta davanti al presepe, dipende da quanto diventiamo noi Natale per chi ha perso ogni speranza o ha altre speranze e pensa di non aver bisogno di Dio, dipende da quanto ci vogliamo un po’ più bene, ma non solo oggi, non solo ai miei 3 amici e parenti. Nella festa di inizio catechesi in ottobre, invece del solito cerchio, abbiamo composto con i nostri corpi, una casa stilizzata poi fotografata dal drone: una bella immagine per capire che questo bambino ci chiede di farci casa, di allargare le pareti di casa tua e le pareti del tuo cuore! Ma non per fare un piacere agli altri ma per imitare lui, il Dio bambino che cerca casa…

Allora Buon Natale sorella fratello: Giovanni battista chiedeva dei segni a Gesù. Noi sappiamo che è lui il verso segno che Dio è accanto a noi, dentro di noi. Fatti sorprender da questo Dio bambino: non ti chiede nulla, vuole solo donarsi a te, vuole farti un regalo. Buon Natale a chi farà o riceverà auguri personalizzati, non quelli standard, ma su misura, perché Dio ci ama su misura. Buon Natale a chi sta pensando di riallacciare i rapporti con quel parente che vuole l’eredità della nonna ed è convinto che valga di più tornare ad abbracciarsi anziché rovinarsi la vita per un po’ di soldi; buon Natale a chi sta pensando di ‘farla finita’ perché la vita ha riservato amare sorprese: perché trovi fratelli e sorelle rinati a vita nuova che gli danno ancora il calore di una famiglia; buon Natale a chi sta pensando che il vero Natale lo vivrà quando a pranzo saluterà e sorriderà ancora a quel parente che l’ha calunniato, ferito, denunciato: ma lui non se la lega al dito, non vuole odiare ma anzi perdonare perché ha capito che il serbatoio del suo cuore è pieno di gioia e di amore, allora è capace di donare un po’ di quell’amore anche a chi gli vuole male. Ha capito che quello è il vero Natale.

Nel nostro presepe qui in chiesa così suggestivo, al centro c’è la natività e in fondo c’è una piccola croce: non è un segno macabro, di cattivo gusto ma l’altro punto nodale della vita di Gesù: dalla mangiatoia alla croce! Dal farsi cibo per la nostra fame al dono di sé con le braccia spalancate. Buon Natale per ogni volta che butti alle spalle quella punta di egoismo, di menzogna, di vanto per cercare nuove vie per accogliere la sua venuta e per diventare Natale nel mondo. Natale per ogni cuore innamorato ma soprattutto per chi ha bisogno di sorelle e fratelli per continuare a sperare. A voi e alle vostre famiglie un sincero buon Natale .

IV domenica di Avvento - 19 dicembre 2022

Con cuore di padre

Dopo il deserto e le domande impellenti di Giovanni: ‘Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?’, dopo il sì di Maria, la sua titubanza, la sua dolcezza, dopo la fantasia di Dio che ci raggiunge in modo inedito, nuovo, sconvolgendo i piani del passato, oggi l’attesa ha il volto e il cuore di Giuseppe, silenzioso, in ascolto, con una fede immensa.

Dopo l’annuncio esplosivo a Maria che sarebbe diventata madre, ora tocca a Giuseppe ricevere l’annuncio dell’angelo. Chissà quante domande, quanti dilemmi nel cuore di Giuseppe: “Maria incinta? Cosa? Ma mi aveva promesso… E poi di chi? Non esce mai! Come è possibile?”

Un evento improvviso ti sconvolge, ti toglie la terra sotto i piedi, ti scaraventa nel buio; ‘chi è lei allora e chi sono io dopo questa terribile notizia’ chissà quante notti insonni, povero Giuseppe. In questi momenti hai bisogno di altri appigli, di attaccarti a qualcosa d’altro, di guardare altrove , di piangere su una spalla amica, hai bisogno di altri abbracci che ti diano ancora calore al tuo cuore di ghiaccio. Ti accorgi in un istante che la tua vita cambia direzione, cambia punti di riferimento: hai bisogno di cercare la vera stella polare che ti indichi la via.

Chissà cosa è passato nel cuore di Giuseppe in quei momenti. ‘Tutto finito, assurdo, perché? Perché non me l’ha detto prima? Avrei pianto e sofferto ma l’avrei lasciata andare!’

Ma Giuseppe è giusto, dice Matteo: una giustizia diversa da quella della legge di scribi e farisei che prevedeva addirittura la lapidazione per donne che violavano il patto coniugale (Maria e Giuseppe erano promessi sposi). Avrebbe dovuto denunciare il fatto ai rabbini , invece pensa di non far rumore, si ritira di buon grado, non vuole gettarla in pasto alle accuse dei ben pensanti e non lascia dominare dall’orgoglio, dall’ira che acceca il pensiero ma agisce diversamente, non vuole vendicarsi. Giuseppe trasforma, non la accusa, finge di aver interrotto lui il rapporto, che si erano già lasciati prima, la protegge, la tutela, la salva. Noi siamo quelli che puntiamo il dito, accusiamo, noi gridiamo al mondo che siamo vittime innocenti, Giuseppe no. Ha un’altra strada! Disposto a subirne le conseguenze.

Allora Dio gli parla in sogno. Il sogno nella Bibbia ha sempre un grande valore, è una specie di manifestazione in cui Dio ti raggiunge, ti suggerisce, ti da una parola diversa, ti fa trovare la strada giusta. Un altro Giuseppe, figlio di Giacobbe aveva sognato secoli prima, aveva sognato un grande futuro per il popolo e per sé. E non si era sbagliato.

‘Mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo’. Anche ora Giuseppe sogna. Questo è importante: prima decide e poi sogna! Dio non forza la mano: troppo delicato troppo innamorato questo Dio: non ci costringe a suon di miracoli e prodigi che lascerebbero tutta la responsabilità a lui facendo di noi di burattini. Ci lascia liberi di decidere, di sbagliare ma soprattutto di metterci in gioco!

‘Giuseppe, non temere di prendere con te Maria tua sposa’. Innanzitutto non temere come dice a Maria: Non temere perché Dio non fa paura ma mette in fuga ogni paura. Giuseppe prende con sé Maria, la accoglie come sposa: che fatica a prendere qualcuno con sé, a prendersene cura, considerarlo uno di casa e non un estraneo. Dio ha una casa senza pareti, una tavola infinita, un cuore dove c’è posto persino per 2 avanzi di galera in croce con suo figlio e per chi lo ha tradito!

Giuseppe si sveglia, accoglie Maria , accoglie questo bambino chiamandolo figlio e parte per una vita diversa. Tutto chiaro? Tutto a posto? No, ma certamente tutto nuovo, tutto leggero, tutto imprevedibile, tutto Dio in tutte le sue azioni e scelte! A un certo punto nella vita, e ogni giorno devi partire , lasciare alle spalle qualcosa , devi crederci e prenderti cura!

Giuseppe aveva chissà quali progetti nel lavoro, nella falegnameria, nella casa, nella famiglia: niente di che, ma il desiderio di creare qualcosa per la sua famiglie e per sé. Ma Dio ha avuto bisogno di una ragazza e di un uomo dolce e forte allo stesso tempo per portare avanti una casa per ogni uomo, ogni fratello. Allora accetta tutto, capisce, si fida e diventa marito e padre. Dio ha bisogno oggi di chi si fida, non si ribella, non segue la logica della vendetta, dell’accusa, della violenza, dell’egoismo. Dio oggi ha bisogno di te e di me per salvare ancora questo mondo ribelle.

O Signore, in Giuseppe chiami anche noi ad avere un cuore di padre, chiami anche noi a prenderci cura, a partire, a buttare alle spalle le indecisioni e a sognare un mondo nuovo, una famiglia nuova, rapporti nuovi, colleghi nuovi, genitori nuovi, figli nuovi, rinnovati nel cuore e nello sguardo. Un Natale diverso in cui tu ti prendi cura di noi e noi apriamo le porte a chi cerca una sorella, un fratello con il cuore di Giuseppe.

III domenica di Avvento - 11 dicembre 2022

Dubbi!

Persino Giovanni , il profeta, il più grande nato da donna , dubita di Gesù: ‘Sei proprio tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?’ Troppo strano questo rabbì, troppo diverso da come gliene avevano parlato. Giovanni predicava un Messia che ha in mano la scure per tagliare via il male, il marcio; che ha in mano il setaccio per gettare via la pula e tenere il buon grano! E allora come la mettiamo con questo che predica l’amore per i disgraziati e il perdono per i peccatori? Giovanni nella prigione di Erode si pone mille dubbi, mille perché. Se dubita lui, allora è concesso anche a noi! Ecco il primo insegnamento: ci poniamo ancora delle domande noi? Non solo su Dio ma su me stesso! Chi sono? Non moglie di, papà di, figlio di, lavoro a… No, chi sono dentro, qual è il DNA della mia anima, cosa mi rende felice o ansioso. Dove sto andando? Che cosa ci sto a fare in questo mondo? Tempo di domande, giuste al momento giusto. Però bisogna fermarsi un po’: negli incontri di catechesi veniamo? Partecipiamo? Veniamo perché ho bisogno di farmi queste domande e cercare insieme le risposte oppure tutto scivola via? E non ci siamo mai? Dubita di te stesso, diceva un filosofo, dubita e cerca di raddrizzare il tiro della vita in questo Avvento.

La crisi di Giovanni è salutare, ci fa bene. Gesù ci parla di un Dio diverso e Giovanni fa fatica a capirlo. Il Dio di Gesù non è uno che sa già tutto di noi, ci condanna o ci salva in base al nostro comportamento: il Dio di Gesù viene per donarsi, per entrare nel mondo, per mettersi in fila con i peccatori, per ricevere il battesimo di Giovanni, Lui che è la sorgente dell’acqua viva! Il Dio di Gesù sfida i dottori della legge del tempo, sfida tutte le filosofie con le armi del cuore, del silenzio, della comunione col Padre. Il Dio di Gesù ha fantasia e prende una ragazzina per farne la madre di suo Figlio, il Dio di Gesù al contrario degli idoli ci lascia liberi di sbagliare, di peccare e non gli interessa tanto ciò che facciamo nella vita ma COME lo facciamo. Il Dio di cui ci parla Gesù non vuole essere il più grande, ma il più piccolo, il più vulnerabile, il più innamorato dell’uomo: e quando sei innamorato, sei vulnerabile, sei nudo, non hai protezioni, ti consegni.

Gesù dice ai discepoli di Giovanni: ‘Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati…’ . Non servono tante dimostrazioni: parlano i fatti, i gesti. Quando ami una persona fai dei gesti che si spiegano da soli, non hai bisogno di sotto titoli. Anche noi abbiamo dei gesti da vedere e contemplare, abbiamo volti, storie di chi si mette in gioco, di chi ribalta la vita, di chi lascia qualcosa qualcuno per seguire la scia di Gesù, del suo vangelo. Da 2000 anni la Chiesa cerca di seguire il maestro con tanti fallimenti ma seminando anche tante gioie.

Però dobbiamo cercarli noi questi segni, non ci capitano sotto il naso. Dobbiamo farci cercatori di speranza, di gioia, tocca a noi cambiare sguardo per scoprire questi gesti che Dio compie anche oggi. Forse abbiamo ancora dentro alcune idee di Dio che abbiamo respirato fin da bambini: immagini che non esistono nei Vangeli. Dobbiamo chiederci sempre: ma questo fatto, questa idea c’è nel Vangelo? L’ha detta Gesù? Forse Avvento è il tempo per fare un po’ di pulizia di alcune immagini false di Dio: sono idee nostre e che qualcuno ci ha trasmesso che proiettiamo su Dio. La fede, per irrobustirsi, deve essere attraversata dal dubbio, ma un dubbio che ti fa cercare nuove strade, nuove vie per incontrarlo davvero questo Signore.

O Signore Dio vicino, Dio che mi dona una gioia diversa, nuova, la gioia di chi ha il coraggio di cercare, di mettersi in cammino, di porsi le domande giuste e di cercare le risposte, anzi di diventare risposta per gli altri, diventare un segno visibile della luce che Dio ha seminato nel cuore di ogni donna e ogni uomo.

II domenica di Avvento - 4 dicembre 2022

Quel dito puntato…

Convertitevi, o meglio convertiti, ti dice oggi Giovanni il Battista. Ci piace Giovanni, nel deserto, sobrio, essenziale , senza tanti fronzoli che grida a scribi e farisei : ‘razza di vipere’ Chi vi ha fatto credere all’ira imminente? La scure è posta alla radice degli alberi!’ Non crediate di poter dire ‘Abbiamo Abramo per padre!’

Ci piace perché non ha peli sulla lingua: il regno dei cieli è vicino; preparate la via del Signore! Raddrizzate i sentieri. Domenica scorsa siamo stati invitati a vegliare, oggi a convertirci.

Qualcuno si chiedeva addirittura se non era lui il Cristo, se non era lui il Messia: ‘Sei proprio tu ? Dacci un segno e ti crederemo'.

Forse ci piacerebbe un po’ meno Giovanni il Battista, il profeta del deserto se quelle parole le rivolgesse a noi, se quella razza di vipere fossimo noi, se puntasse il dito contro di noi e ci dicesse: ‘Non credere di salvarti solo perché vieni a Messa, non credere di essere a posto perché hai ricevuto i sacramenti o vieni a catechesi, non credere di essere un bravo cristiano solo perché porti a messa figli e nipoti, non bestemmi... Ci vuole ben altro!'

Quali segni fai, quali gesti indicano che ti sei convertito? Quanto lo ami questo Dio? Quanto ami il suo Vangelo? Quanto lo cerchi, quanto pensi a lui, quanto sei disposto a perdere per conquistarlo, quanto stai nel deserto per perdere qualche comodità, qualche cosa del passato?

E’ un po’ come quando chiedo ai fidanzati al corso prematrimoniale: perché ti sposi? Le risposte sono tra le più imbarazzanti: ‘perché i miei genitori mi hanno insegnato così, perché facciamo una bella festa, perché sono cristiano...’ Difficile che qualcuno dica: ‘Perché mi sono innamorato, perché questo amore per lei, per lui mi ha conquistato; inoltre davanti a Dio perché ho capito che all’origine del nostro amore c’è il suo, come all’origine di un fuoco c’è sempre una scintilla!’

Quanto sei innamorato di questo tuo Signore, cristiano? Quanto sei alla ricerca di lui, quanto lo senti vivo? Quanti segni fai? Ma non i segni che piacciono a noi a Natale: l’albero, il presepe, le luci, gli addobbi, le decorazioni, le processioni... Giovanni ci chiederebbe altri segni: quanti campanelli andrai a suonare per augurare buon Natale, quanti biglietti personalizzati, non quelli in whats app per favore, quante parole di scusa dirai a qualcuno con cui c’è stato una questione? Quanto tirerai fuori di tasca tua per aiutare qualcuno? Quanto ti fermi a pregare, in silenzio, quanto prenderai in mano il Vangelo? Quanto saluterai quel collega, quel vicino di casa...

Isaia ci ha detto che ci sarà un giorno nuovo, una salvezza che arriva in cui: ‘il lupo dimorerà insieme all’agnello, il leopardo si sdraierà accanto al capretto, il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà’. Questo fanciullo è Gesù che ha inaugurato il tempo nuovo. Ma oggi potremmo tradurre: ‘Un russo e un ucraino si daranno la pace, un palestinese e un israeliano si abbracceranno, un politico di destra e uno di sinistra si siederanno e penseranno veramente al bene della gente, senza cercare di difendere la propria parte, i propri interessi: abbiamo una sola parte da quando siamo battezzati, salvati da Cristo: la nostra parte si chiama ‘sorelle, fratelli’.

Dio è vicino, ecco la bella notizia di Giovanni, è vicino, è in te , è accanto a te, nel cuore, ma nella Chiesa, nei fratelli, nella preghiera: ma te ne stai accorgendo o aspetti segni dagli altri, o punti il dito verso la Chiesa con tutti i suoi soldi, il vescovo, i catechisti, verso questo, quest’altro: tocca a me, a te accorgerci che il regno è vicino, che è già qui. Tocca a noi non fare come scribi e farisei ma seguire Giovanni, ascoltare le sue parole produrre segni che indicano che la conversione è iniziata, che desidero essere io quel segno che qualcun altro può notare in modo che vedendoci, possa dire: ‘davvero il Signore gli è vicino, lo ha toccato e si è convertito'.

Conversione non vuol dire fare tante cose ma cambiare testa, sguardo, occhi, dire parole nuove, vedere il mondo con gli occhi di Dio, allora sì.

O Signore Dio vicino, grazie per la venuta di Giovanni , per il suo dito puntato, per le sue parole taglienti rivolte proprio a me. Dammi la forza di convertirmi e cambiar mente, occhi e fare gesti nuovi, germogli nuovi: ho bisogno anch’io di uscire per andare non nel deserto ma uscire dalla mia vita solita e ripetitiva in cui non c’è spazio per la tua bella notizia . L’Avvento sia breve ma intenso: pochi giorni, pochi passi per respirare la tua presenza e iniziare ad accoglierti con gioia.

I domenica di Avvento - 27 novembre 2022

Non scappare via!

In punta di piedi vogliamo entrare in questo Avvento: come quando su un sentiero di montagna giri l’angolo e scopri un panorama mozzafiato, come quando ti trovi un regalo inaspettato, come quando ti arriva un nuovo prof a scuola e scopri che ha una marcia in più e ti mette a tuo agio.

Entriamo in Avvento e nel nuovo anno da viandanti, da pellegrini: un po’ affaticati, con qualche acciacco, forse un po’ delusi da qualche incontro ma con la speranza nel cuore perché il cammino riserva anche belle sorprese, nuovi amici, nuovi incontri…

Ci accompagna Matteo in questo anno: un giudeo che si rivolge ai suoi amici dicendo loro: ‘Guarda che quel Messia, quel Figlio di Dio tanto atteso da tutto l’Antico testamento , è arrivato, è proprio lui, è questo Gesù anche se noi non lo abbiamo riconosciuto mettendolo in croce. Noi lo abbiamo visto vivo, ci ha parlato, ora è con il Padre ma ci dona lo Spirito, che cammina con noi, in noi, accanto a noi’.

Il rischio è sempre, come ci ricorda Matteo che noi siamo distratti, persi nei nostri traffici, o preoccupati di ciò che conta poco o nulla: preoccupati troppo per il lavoro, per quell’impegno, per quella persona da sopportare, per quel progetto che non va come pensavo, per quell’amico perso…. Preoccupati, distratti, troppo angosciati per qualche frutto marcio anziché pensare a curare le radici dell’albero!

Ma già ai tempi di Noè era così: ‘Mangiavano, bevevano, prendevano moglie, marito, finché Noè entrò nell’arca e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti’. Noè, Noah vuol dire ‘condurre’, ‘portare dentro’: porta nell’arca gli animali, tutti gli esseri viventi e da loro una speranza, un futuro, li conduce in salvo. C‘è un diluvio che sta arrivando anche per noi: certamente quello del cambiamento climatico, ma non solo! Andiamo avanti come se nulla fosse mentre soprattutto nel Terzo mondo la siccità uccide, i raccolti scarseggiano, i fiumi inaridiscono: noi occidentali inquiniamo e loro subiscono le conseguenze. Nel nostro piccolo possiamo fare molto, non poco: consumare un po’ di meno, inquinare di meno, spendere di meno, vestire, mangiare, acquistare in maniera più rispettosa del pianeta e di chi non ha possibilità di scelta.

Ma c’è un altro diluvio che sta per arrivare: è il diluvio della nostra indifferenza, del nostro voltarci dall’altra parte, del nostro modo di far finta di niente e vivere alla giornata, come se nulla fosse; il Vangelo di oggi non vuole spaventarci ma vuole invitarci a fermarci, a non scappare via dalle situazioni, dalle persone. A guardarci un po’ dentro e a prenderci cura del bambino che c’è in noi che ci chiede di crescere, di essere preso in braccio, accarezzato: c’è qualcosa in noi che vuole crescere e diventare adulto. E’ il momento di prenderci le nostre responsabilità come cittadini, come figli, come abitanti di questa terra, come appartenenti a una comunità, anziché voltarci dall’altra parte e pensare che va tutto bene così, tanto non faccio niente di male a nessuno...

L’Avvento che inizia oggi vuol portarci dentro la vita, in salvo come con Noè, vuole farci toccare con mano che l’indifferenza ci schiaccia mentre c’è qualcosa dentro i fatti, dentro la vita, dentro ogni incontro: tutto ci parla di Dio, tutto ha un significato più grande, basta che abbiamo il coraggio di fermarci, di non scappar via, di prenderci a cuore noi stessi, quello che c’è in noi, amarci un po’ di più: pensiamo ad amare gli altri, un po’ meno ad amare Dio ma non pensiamo mai ad amare se stessi, ad amarmi, a prendermi cura dei miei sentimenti, del mio riposo, del mio tempo, di quella parte di me che deve ancora crescere, per creare armonia nella mia vita.

Allora buon cammino di Avvento: cerca di non scappar via da te stesso e dagli altri, cerca di fermarti, di guardare dentro le cose e le persone per scoprire che Dio è già li, all’opera dall’eternità e ha seminato il suo Vangelo ovunque; lasciati condurre fuori da una vita sprecata, ma cogli ogni momento come una occasione per incontrare te stesso, Dio e i fratelli. Sembra che il Vangelo ci faccia paura e ci metta ansia ricordandoci che dobbiamo morire: no! Il cristiano non pensa alla morte o meglio vive in pienezza oggi: questo è il modo giusto per pensare alla morte e soprattutto alla vita!

O Signore, Dio, sorpresa che vieni nella notte della nostra indifferenza: a volte ho paura che tu ti riveli a me, sembra che tu venga a terrorizzarmi: invece ci sorprendi con il tuo gesto materno di prenderti cura di me. Insegnami a non correre via, a non scappar via dalla mia vita ma a capire che se mi fermo, scopro tante perle preziose che tu hai già seminato in me in tante sorelle e fratelli: “Il vostro male è di non rendervi conto di quanto siete belli!” diceva Dostoevskij.

Il nostro bene è accorgerci che Tu hai seminato la tua bellezza nel nostro mondo!

XXXIV domenica del T.O. - 20 novembre 2022

Gesù Re dell'Universo

Non so se a Gesù piace questo titolo così altisonante: Re dell’universo! Forse preferirebbe re del cuore, re degli ultimi, re della croce. Proprio lì in croce, egli manifesta la sua regalità, proprio in croce! Quello strumento di tortura e morte , è diventato, in Gesù, strumento di salvezza, di riscatto, di speranza per tutti.

L’ha capito bene il ladrone che si è sentito dire: "Oggi con me sarai nel paradiso". Dopo una vita trascorsa a rubare, far violenza, magari uccidere, è bastata una invocazione, una supplica, una preghiera: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno", per ricevere quella salvezza non meritata. Dopo aver rubato per una vita, è riuscito a rubare anche il paradiso! La salvezza è sempre dono che non meritiamo; e spesso, una volta ricevuta, non ringraziamo nemmeno.

Lui è venuto per salvarci e noi che cosa gli restituiamo? Solo aceto: l’aceto dei nostri discorsi, l’aceto del rancore, l’aceto delle rivalità, delle ipocrisie, dei nostri rapporti vecchi, pieni di sfruttamento verso il prossimo. Ci rendiamo conto di quanto faccia male questo aceto, quando lo riceviamo dagli altri sotto forma di indifferenza, ostilità, rancore, divisione. Allora comprendiamo quanto male possiamo fare a Dio!

E lui continua a lavarci i piedi, a fasciare le nostre ferite, a invitarci alla sua mensa, a dirci che deve venire a casa nostra come con Zaccheo, per invitarci a ricominciare; continua a cercarci per regalarci il suo amore, gratuitamente.

Invece di seguirlo e ascoltarlo, noi corriamo da altri re, li cerchiamo, li osanniamo, li appendiamo nelle nostre case e ci ispiriamo a loro: sono i re dello sport, della politica, gli influencer, i vip, gli opinionisti che sparano sentenze su tutto e su tutti, sono i programmi TV che in mezzo a uno spettacolo fanno passare l’idea che ciò che interessa è solo il tuo benessere, la tua felicità, i tuoi comodi: il resto non conta. Facciamo fatica a seguire questo re, questa pagina del Vangelo la bruceremmo volentieri, ci mette in crisi, ci apre scenari che non vorremmo vedere, ci porta su un terreno scivoloso: siamo un po’ sulle spine.

Invece è proprio qui la nostra dignità e salvezza: siamo figli di re! Siamo anche noi stessi re. Destinati alla fine a regnare con Lui su tutto. Non per comandare però, ma per servire, per lavarci i piedi, per vivere in un altro modo, per seminare nel mondo non aceto ma il profumo di Cristo, del suo amore, il profumo della sua venuta tra noi. Per far testimoniare che oltre ogni nostra croce, c’è sempre una speranza, che l’ultima parola non è quella della morte ma della vita, quella vera.

Qualcuno pensa, a proposito di croce, che la nostra sia una religione che esalta il macabro, la sofferenza, i sacrifici per ottenere la salvezza: niente di tutto questo, anzi il contrario! Invece altre religioni dicono ai giovani "Vai, uccidi quelle persone, metti una bomba là, entra in quel luogo e fatti saltare in aria, così dio ti donerà il suo paradiso".

Invece il nostro Dio in croce fa esattamente il contrario: non salva se stesso, non scende dalla croce, non fa ciò che chiede il primo ladrone, "Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso" ma la accetta fino in fondo: lui decide di salvare non se stesso ma il ladrone, e in lui salva tutti noi. E’ questa la notizia bella, straordinaria: Cristo in croce non salva se stesso come facciamo noi che pensiamo prima a noi stessi ma salva l’uomo, l’uomo peccatore, l’uomo fratricida, l’uomo violentatore, l’uomo che lo ha messo in croce, l’uomo che lo vuole morto!

Questo è il nostro Dio! Allora la logica della croce stravolge completamente il nostro modo di vivere: mentre tutto il mondo dice di farti i fatti tuoi, di non preoccuparti per gli altri, di soddisfare i tuoi (falsi) bisogni, Gesù in croce dice: per vivere e non sopravvivere mettiti a disposizione, lava i piedi, ama fino alla croce, perdona, ama senza misura, accetta la tua pesante croce, ama e ripeti nella tua vita il gesto folle del nostro Dio. Allora Dio salirà ancora in croce per salvarti e donarti il primo posto nel suo regno.

O Signore, Dio crocifisso: le tue braccia spalancate sul mondo ci parlano di un Padre che rinuncia addirittura al suo unico figlio per far diventare noi suoi figli. Non capiremo mai il tuo amore folle ma sappiamo che solo da quella croce può nascere un futuro nuovo per tutto il mondo, per ogni uomo perché ogni nemico si trasformi in fratello e ogni avversario in alleato: solo questa logica, questa bella notizia può salvare noi e il mondo intero.

XXXIII domenica del T.O. - 13 novembre 2022

Si sta come d'autunno...

Non mi piace tanto l'autunno, le giornate più brevi, l’estate ormai lontana, gli alberi si spogliano e abbandonano le foglie ormai ingiallite, ti vien voglia di chiuderti in casa. Poi i giorni dei santi e dei defunti… Ci ricordano che siamo anche noi un po’ come quelle foglie: ‘Si sta come d’autunno, sugli alberi, le foglie’ ci ricorda il poeta Ungaretti.

Anche le letture di oggi ci parlano di distruzione del tempio, della fine di tutto, sintetizzati nella sentenza di Gesù: ‘Verranno giorni nei quali, di quello che vedrete, non resterà pietra su pietra che non sarà distrutta’.

Gesù è a Gerusalemme per la celebrazione della Pasqua, ammira il famoso tempio di Gerusalemme da poco ultimato: grandioso, splendente, arricchito di decorazioni d’oro, i marmi di ogni colore, pietre preziose. Avevano lavorato migliaia e migliaia di operai e artisti per realizzarlo. Una costruzione imponente iniziata da Erode circa 50 anni prima: per gli ebrei rappresentava la presenza di Dio tra il popolo, la sua gloria, la sua onnipotenza. Loro adoravano Jahwèh ( =colui che esiste a favore del popolo) in modo speciale solo nel tempio. Più tardi, nel 70 d C quel tempio verrà veramente distrutto.

Ora Gesù nel 30 d C circa annuncia la fine non solo del tempio ma di tutto: ricordatevi, dice Gesù, che ogni cosa avrà fine, ogni persona, ogni affetto, ogni costruzione umana . Ma tu, credente, guarda AL fine delle cose, non ALLA fine. Pensa che c’è qualcosa che non passa, pensa che Dio solo non ha fine dunque fai anche tu delle azioni, dei gesti come li fa Dio e allora anche i tuoi gesti non avranno fine. C’è qualcosa che non passa, non finisce, continua, c’è un OLTRE che inizia già qui e ci parla già del regno di Dio.

Ciò che ha affermato Gesù per loro era un insulto, una bestemmia: infatti questa sarà una accusa che gli muoveranno durante il processo davanti al Sinedrio, prima di essere ucciso.

Ma Gesù non muove guerra al tempio o ai sacerdoti, Gesù non fa guerra a nessuno: condanna chi pensa che certe cose non avranno fine, dando alle cose, alle persone un valore eccessivo.

Questo vale anche per noi: a volte siamo catastrofici, pessimisti, vediamo tutto nero; basta leggere un notiziario e ascoltare solo i titoli di un TG. Però andiamo a cercare le brutte notizie che ci attraggono, ci piacciono, ci incuriosiscono: leggiamo e seguiamo più la cronaca nera che inventare noi una cronaca bianca! Anche nella chiesa pensiamo che tutto prima o poi finirà: i preti, le suore, gli oratori, i ragazzi, i giovani, quel movimento... E ci demoralizziamo.

Oggi è la giornata mondiale dei poveri: al posto della cronaca nera, vogliamo raccontare la cronaca bianca: piccoli gesti da fare ogni giorno per tendere la mano e accorgerci di qualche fratello che ha bisogno di qualcosa; non solo: sono disposto a cambiare un po’ i miei stili di vita pensando ai poveri del mondo? Sono disposto a mangiare nel modo giusto, a consumare di meno, ad avere stili di vita più semplici, più corretti? Tra poco si celebrerà la nascita del 8 miliardesimo uomo sulla terra! 50 anni fa eravamo circa 3 miliardi! Dove andremo a finire? Se poi ci aggiungiamo guerre, carestie, crisi energetica, bollette astronomiche, dove andremo a finire?

A volte, al contrario, diamo troppo peso alle cose, a ciò che facciamo, che costruiamo, ai nostri progetti, alle nostre iniziative e gli altri devono rientrare nei miei piani, devono eseguire alla lettera le mie proposte. Io al centro dell’universo!

Gesù ci insegna la strada giusta: guarda alle cose e alle persone che passano, abbi il coraggio di pensare alla fine di tutto quello che vediamo ma non demoralizzarti, non fermarti, vai avanti e cerca IL FINE di tutto. Ricorda che tutto va nella direzione giusta, tutto va a finire nelle braccia di Dio; siamo già salvi, ricordalo. Devi solo spalancare le braccia e ricevere questa salvezza che viene da Dio.

Ecco le parole da ricordare oggi: IL Fine, Oltre, Belle notizie che dobbiamo raccontarci per restare svegli e vigili sempre nella vita. L ‘Avvento ci farà vedere i germogli nuovi: se un mondo finisce, c’è qualcosa di nuovo che risorge, riprende vita: dalle nostre macerie, Dio fa nascere il vero germoglio nuovo che inizia a una nuova creazione! Questo germoglio nuovo è Gesù, la sua Parola, la sua presenza tra noi. Questa è al bella notizia da raccontarci ogni giorno!

Allora mi piace anche l’autunno, le foglie che cadono, quel senso di tramonto che ti lascia nel cuore un velo di tristezza ma che, pensando alle parole di Gesù, si trasforma nell’alba di un nuovo mondo.

XXXI domenica del T.O. - 30 ottobre 2022

Salvi a costo zero

Gesù incontra, passa nelle vite, si ferma, ascolta la mia la tua storia, non chiude occhi né orecchie, anzi va a cercare: tanti lontani nel Vangelo li ha avvicinati, e tanti vicini hanno capito che in realtà erano lontani. Come un bravo prof conosce i suoi alunni, capisce le loro fatiche e le loro doti, li valorizza, tira fuori il meglio, scommette su di loro, li sa anche rendere autonomi e capaci di riconoscere i propri sbagli per migliorare.

Ma Gesù fa ancora di più: va a cercare i peggiori, non i primi della classe, quelli che non hanno bisogno di aiuto ma chi non ha le carte in regola. Probabilmente oggi Gesù lo troveremmo in qualche periferia a cercare quel ragazzo che vuole uscire da una baby gang, o in carcere a consolare un detenuto, a soccorrere qualche naufrago, ma anche nei palazzi del potere per fare delle politiche che mettano al primo posto i senza diritti, gli scarti della nostra bella società. Come pure accanto a qualche giovane in gamba che è ora di decollare e prendersi qualche responsabilità.

Zaccheo vuol dire ‘puro’ ma non lo era di certo, lui capo dei pubblicani, esattore delle tasse, capace di fare la cresta su ciò che la gente doveva pagare, odiati dai suoi compaesani come traditore del popolo, messo alle strette dai Romani che pretendevano sempre di più. Anche lui ricco perché ha rubato molto.

Ha tutto eppure gli manca qualcosa; cerca, cerca questo rabbì che dice cose nuove, scava nel cuore, non da tante risposte ma pone le domande giuste. Molti lo cercano, per una guarigione, per chiedere una preghiera, perché avvertono che questo maestro è speciale! Probabilmente ha capito che tutte quelle ricchezze, quella posizione sociale non gli danno al felicità, anzi, gliela corrodono, giorno dopo giorno. Ha un vuoto dentro Zaccheo , come il pubblicano di domenica scorsa che cerca, si batte il petto e prega sinceramente. Zaccheo sale su un albero, lascia la terra, cioè è disposto a lasciare le sue certezze perché quella vita non gli basta più, ha bisogno di novità, ha bisogno di respirare aria nuova! Non ha nemmeno paura del giudizio degli altri, della gente: “chissà cosa diranno di me!”

Non gli importa, Zaccheo ha fame: è quella fame che lo salva; è la nostra fame che si chiama fede che ci salva da una vita piatta, una vita ‘così fan tutti’.

Poche le parole di Gesù ‘Zaccheo scendi subito, oggi devo fermarmi a casa tua!’ Gesù si accorge e deve fermarsi. Perché deve? Perché glielo ha detto il Padre: devi stare tra gli uomini , devi parlare loro del mio amore, devi incontrarli. Ma ciò che sorprende Zaccheo e noi è che sembra che Gesù abbia bisogno di Zaccheo e non il contrario! E’ questo che fa innamorare Zaccheo e noi: Dio è affamato di noi, è innamorato, cerca ogni uomo per farlo diventare figlio.

Un ‘altra cosa sorprende: Gesù non pretende, non impone cambiamenti, non accusa né giudica Zaccheo, non chiede che restituisca il denaro, non obbliga a stravolgere la vita per poter concedere il perdono! Ci hanno sempre insegnato così, che devi fare questo e quest’altro e poi, se cambi radicalmente, allora Dio ti perdona. Il VG per nostra fortuna è altra cosa: è amore incondizionato, talmente immenso che ti tocca il cuore e ti da dentro una voglia immensa di cambiare, di cercare la fonte per togliere la sete, per cercare il pane vero che toglie la fame dentro, cercare la Parola vera per darci speranza.

Gesù fa solo una cosa: cerca Zaccheo, lo guarda nel cuore, lo chiama per nome, fa capire che si fida di lui, a differenza di tutti gli altri: i Romani che lo sfruttavano per i loro interessi, gli altri ebrei che lo consideravano un traditore. Zaccheo sente che qualcuno gli vuol bene, lo ama in modo incondizionato, senza pretendere nulla: Zaccheo capisce che quell’amore lì non lo aveva mai incontrato, mai provato in tutta la vita.

E allora lascia: lascia i soldi (4 volte più del dovuto), e da la metà dei beni ai poveri; ma soprattutto lascia dietro di sé l’uomo vecchio e rinasce, diventa nuovo Zaccheo, rinnovato da quello sguardo, quell’amore unico che non chiede nulla in cambio, non pone condizioni, ti accetta per quello che sei: Dio ti ama così come sei. Per questo ti fa venire la voglia di donargli tutto!

O Signore, vieni oggi nella mia casa come sei entrato nella casa di Zaccheo: se entri tu, fai uscire la mia presunzione, la mia supponenza, il mio egoismo; e anch’io posso rialzarmi e rinascere. Solo l’incontro vero con te mi trasforma e mi fa vivere da risorto, mi fa testimoniare che solo questo amore senza condizioni può vincere ogni male e superare ogni disperazione.

XXX domenica del T.O. - 23 ottobre 2022

Domenica XXX anno C

Dopo il ricco straricco che non si accorge del povero Lazzaro, il granellino di senape piccolissimo ma sempre più grande della nostra fede, dopo la preghiera insistente della vedova del Vangelo, oggi spiamo nel tempio i 2 personaggi descritti da Luca: il fariseo e il pubblicano.

Il fariseo un bravo osservante digiuna più del dovuto e prega anche per chi non prega, fa offerte generose, un tipo che piacerebbe a tutti i parroci e agli amministratori parrocchiali, loda Dio e crede fermamente in lui, nessun dubbio di fede. Ma nella sua torta c’è un ingrediente avariato che rovina tutto e la torta è da buttare via, e rovina tutta la festa: si chiama presunzione. O meglio, manca un ingrediente, il più importante, che si è dimenticato: nella sua torta manca Dio. Non c’è posto nel suo cuore pieno di cosa da fare, di preghiere, di riti, ma non di vita: lui la vita la guarda passare dalla sua villa recintata, col filo spinato. Gli altri sono un pericolo da tenere a distanza, come il ricco che rifiutava Lazzaro.

E qui noi ci andiamo a nozze perché diciamo: ecco, quelli che vanno sempre in chiesa sono peggio degli altri, ciò che conta è non far male a nessuno, aiutare se posso, io vado a Messa quando me la sento, i miei peccati non sono niente rispetto a quelli di…… E sprofondiamo nei luoghi comuni, ripetitivi, scontati, di bassa lega. Non ci siamo. Dopo 2000 anni di Cristianesimo non possiamo più dire queste cose!

Il pubblicano, a braccetto con i Romani invasori e quindi ostile agli ebrei, è senz’ altro più peccatore del fariseo, non prega come il fariseo, non digiuna, non fa offerte: che cosa lo salva? La sua torta è ancora da impastare, è vuota, il suo cuore è vuoto, dunque desidera ospitare Dio, ha bisogno dell’ingrediente vero e unico che lo può riempire. Non parliamo di umiltà che non c’entra qui. Il pubblicano ascolta, è in cammino, cerca, si sente inadeguato, e chiede il perdono che Dio concede . Al fariseo no.

Un Dio giudice frettoloso e di parte come un arbitro che preferisce e privilegia una squadra? Oppure tocca a noi capirci qualcosa in più?

Qualche decennio fa ( il profumo di quella torta avariata del fariseo arriva fino a oggi e ci attrae e ci fa un po’ di nostalgia) la chiesa, o meglio tante donne e uomini di chiesa, assomigliavano tanto al fariseo: molte attività, novene, preghiere, catechismo a memoria, tutti si sposavano in chiesa, seminari pieni, ragazzi a messa, e via di questo passo. Qualcuno sogna che quella chiesa ritorni e non abbandona quello schema del passato pensando : “la chiesa sbaglia, è cambiata, non è più quella di una volta! E’ troppo permissiva”.

Oggi la torta della Chiesa, o meglio di tanti cristiani, assomiglia di più a quella del pubblicano: assemblee più vuote, seminari non parliamone , si, diversi genitori partecipano, speriamo anche dopo i sacramenti dei figli. E un vuoto, forte, una specie di buco nero che attira a sé tanta immondizia e false sicurezze. Non so se davvero riempiamo di Dio questo vuoto, non lo so. Mi chiedo solo se questa Chiesa di oggi ha il coraggio di partire da questo vuoto e parlare di questo Dio che perdona e accoglie chiunque lo invochi e lo preghi col cuore, oppure se continua a proteggere i suoi spazi, i suoi diritti, a custodire un passato glorioso, cercando i pochi segnali rimasti della gloria degli anni d’oro.

Rimpiangiamo la tranquillità del porticciolo caldo e riparato ma senza l’ebrezza del mare aperto oppure ci lanciamo verso l’oceano sconfinato anche con qualche rischio? Abbiamo il coraggio di lanciarci verso una chiesa che parla la lingua della gente, ascolta chi è solo, nel bisogno… e propone di riempire il vuoto del fariseo e del nostro mondo con la Parola di Dio, con la preghiera fatta col cuore?

Abbiamo il coraggio di prendere il bello dell’uno e dell’altro? Come dobbiamo imparare da Marta l’accoglienza, l’ospitalità, il far spazio a Gesù nella nostra casa, così da Maria dobbiamo imparare l’arte di ascoltare, di fermarci, e lasciar entrare la Parola nelle pieghe del nostro esistere; così dal fariseo possiamo cogliere lo zelo, la passione, anche la determinazione mentre dal pubblicano il vuoto, l’assenza, il bisogno di essere riempito e amato da Dio. E’ il vuoto dell’innamorato che avverte il desiderio di un amore infinito, il solo che può riempire l’abisso del suo cuore.

O Signore, toglici un po’ di presunzione di essere i migliori, i salvatori del mondo, della Chiesa, della parrocchia dell’oratorio, togli qualche appuntamento dalle nostre agende, perché le sostituiamo con l’ascolto del nostro vuoto e ti chiediamo di riempirlo con la tua parola e la tua presenza. Abbiamo bisogno di sentire che solo Tu, amore infinito, puoi riempire l’abisso che è il cuore dell’uomo.

XXIX domenica del T.O. - 16 ottobre 2022

Domenica XXIX anno C

Solo le mani alzate di Mosè permettono agli ebrei di vincere la battaglia contro Amalek e il suo esercito; solo la fede granitica di Paolo ha permesso l'annuncio del Vangelo a tanti popoli; solo la costanza e l’insistenza della vedova ha permesso l’attenzione del giudice disonesto e risolvere così il contenzioso con il suo avversario.

La comunità di Luca durante difficoltà e addirittura persecuzioni si domandava: ma Dio ci ascolta? Dio interviene? Perché noi continuiamo a pregare ma qui non accade nulla. Dio non ci ascolta più? Si è stancato di noi? Ha altro da fare oppure ci sta dicendo qualcosa. Quante volte anche noi abbiamo pensato o detto questo: Dio si è dimenticato di me. Non chiedo tanto: solo un po’ di salute, serenità, tranquillità, niente di più.

E invece Dio tace: tace nei conflitti, nella carestia in Africa, nelle stragi negli Stati Uniti, tace nelle cliniche dove qualche diagnosi non lascia speranze, tace quando un genitore non vede il ritorno a casa del figlio. Tace quando non sopportiamo più quell’amico, quel collega, quel vicino di casa e tutto diventa nero, senza speranza.

Dio ci direbbe in questi momenti e situazioni: te l’avevo detto che ci sarebbe stata la croce nella storia dell’umanità e nella tua storia, per questo ho mandato mio figlio, l’amato che ti dona lo Spirito. Te l’avevo detto che questo Spirito in te ti insegna a pregare sempre, senza stancarti, con la stessa determinazione della vedova: ma tu prega non per far andare le cose come vuoi tu; prega per imparare a vedere le cose secondo il cuore di Dio. La preghiera non cambia le cose, il mondo, le vicende: la preghiera cambia te, cambia sguardo, mente, cuore e ti rende capace di vivere in un altro modo, ti fa respirare Dio che ti rende capace di accettare quella situazione e farla diventare occasione di miglioramento, di riscatto, di un nuovo inizio.

La preghiera non fa terminare la bufera ma ci insegna a sorridere e andare avanti anche nelle bufere della vita e trasformarle in occasioni di crescita: l’alberello cresciuto in cima a un monte, in una spaccatura della roccia resiste a tutte le intemperie, è abituato a perseverare, a sopportare ogni vento avverso: quello cresciuto in serra protetto e custodito, alla prima pioggia muore. Il cristiano che prega sa sopportare, sa trasformarsi, sa sentire sempre dentro di sé il soffio dello Spirito: sa guardare alla croce di Gesù! Il Padre non l’ha tolto dalla croce ma ha fatto della croce una occasione di salvezza per il figlio e per tutti noi: solo l’amore folle di Dio poteva sopportare quella croce, solo l’amore folle del cristiano sa sopportare le croci della violenza, della guerra, dell’odio, dell’ usurpazione, dell’egoismo umano.

In Albania durante la persecuzione all’inizio del Novecento è stato proibito ogni culto religioso, chiese chiuse e trasformate in depositi, preti e vescovi uccisi o imprigionati, suore eliminate: in un villaggio appena prima che la chiesa venisse distrutta, alcuni uomini hanno preso le statue dei santi, le hanno portate a casa di notte e le hanno sepolte nell'orto. Se i militari le avessero trovate, avrebbero sterminato l’intera famiglia! Alla fine del regime, dopo il crollo del muro di Berlino, dopo circa 70 anni, le hanno tirate fuori, pulite e rimesse in chiesa: erano il simbolo di una fede che nessun regime può annientare, di una fede che supera ogni tirannia, erano come le mani di Mosè alzate al cielo durante la battaglia, erano come la supplica insistente della vedova del Vangelo.

Quelle persone hanno protetto e conservato le statue, ma le statue sepolte e custodite li hanno sostenuti durante la persecuzione: come la preghiera ci sostiene nei momenti decisivi della nostra vita.

O Signore, anche noi come la vedova senza lo sposo, abbiamo bisogno di aspettare il ritorno di te nostro sposo: nell’attesa alziamo mani e cuore per non stancarci e non perderci d’animo nelle bufere piccole o grandi della vita. Donaci la speranza, l’insistenza della vedova per fare della nostra vita una preghiera incessante rivolta a te. Non ti chiediamo di cambiare le cose secondo la nostra intenzione ma di cambiare il nostro cuore perché sappia pregare cercando di trasformare ogni male in un germe di bene.

XXVIII domenica del T.O. - 9 ottobre 2022

Domenica XXVIII anno C

Continua il cammino di Gesù verso Gerusalemme, verso la manifestazione in croce. Non va dove ci sarebbero facili consensi come i nostri bravi politici in campagna elettorale ma in Samaria in mezzo ai pagani: noi diremmo in un quartiere malfamato, con gente poco affidabile. Un Dio nelle periferie che predilige le favelas alle SPA, i clochard ai colletti bianchi. Un Dio che si ferma e osserva il dramma di quelli che incontra.

Nel villaggio dei Samaritani incontra questi 10 lebbrosi che gridano e suonano una campana per farsi sentire e dire a tutti di stare lontano ( pensavano ancora che la lebbra fosse una malattia contagiosa). La lebbra non è ancora vinta nel mondo: ti corrode le estremità, ti isola, ti chiude nel tuo mondo e taglia i rapporti con tutti. Non appartieni più a nessuno. La pandemia è stata una specie di lebbra che ci ha rinchiuso in casa, terrorizzati dagli altri dai vicini di casa, persino dai familiari che tornavano dal lavoro, ci ha tolto tanto e facciamo ancora fatica a riprendere i contatti con il mondo…

E’ simbolo del peccato la lebbra: come la lebbra ti corrode la pelle, così il peccato ti corrode il cuore, l’anima, ti taglia i ponti con i fratelli, ti chiude in una gabbia dorata perché sei ripiegato su te stesso e, come il ricco di 2 domeniche fa, non ti accorgi del dramma di chi ti vive a fianco. Invece Cristo si accorge dei lebbrosi e della nostra lebbra e manda suo figlio per guarirci cuore, sguardo, mente, mani.

Gesù li incontra ma non dice subito: ‘Siete guariti!’. Dice: ‘Andate a presentarvi ai sacerdoti’. Luca aggiunge: ‘Mentre andavano, furono purificati’. Perché non li guarisce subito? Così farebbe vedere a tutti la sua potenza. No, loro guariscono mentre vanno dai sacerdoti.

E’ un particolare che fa la differenza: è il cammino che ti guarisce , è quando ti metti per strada senza tante garanzie, è lo slancio della partenza, è la fiducia in qualcuno che ti chiama; l’esatto contrario di chi dice: ‘Prima voglio avere dei segni, delle prove, dei miracoli, poi crederò (FORSE)’. Così anche per il cristiano: parti, cerca, non fermarti, fidati perché ti conviene e partire è l’unico modo per poter essere guarito nel cuore dalla vera lebbra, il peccato! Se invece stai fermo e aspetti che il mondo ti passi davanti, e aspetti che Dio risponda alle tue richieste, allora ti condanni a non incontrarlo mai, a non essere guarito e tantomeno purificato.

Il racconto continua e, come abbiamo sentito, solo uno su dieci torna a rendere grazie, cioè a fare Eucarestia, a fare della sua vita un rendere grazie a Dio. Uno solo è purificato, gli altri sono solo guariti. Quando rendi grazie, quando ti accorgi del tesoro che hai nelle mani, quando nella tua vita non ti chiudi nella lebbra del peccato, allora guarisci nel profondo e sei purificato. Solo se ti metti in cammino e ti fidi del Signore che ti purifica nel cuore, puoi essere salvato e fare della tua vita un Grazie senza fine, senza condizioni.

‘La tua fede ti ha salvato’, conclude Luca. Che differenza c’è tra l’unico tornato a ringraziare e gli altri 9? I 9 aspettano ancora un segno, non capiscono quello che è accaduto, soprattutto non accettano di essere toccati nel cuore, salvati! Il decimo, un samaritano eretico capisce che chi l’ha guarito non è un santone, un mago ma il Signore, e accoglie il dono a tal punto da fare della sua vita un Grazie senza misura. Per lui il cammino continua anzi inizia da quel tocco, da quel gesto dall’incontro con quel Dio che insieme alla guarigione del corpo gli ha donato la salvezza dell’anima.

XXVII domenica del T.O. - 2 ottobre 2022

Domenica XXVII anno C

'Accresci la fede in noi’. Dovremmo farla più spesso questa supplica: accresci, aumenta, rendila grande almeno come un granello di senape, sì perché la nostra fede, almeno la mia è più piccola di un granello di senape che sul palmo della mano non lo vedi nemmeno.

Infatti tutto dipende da quel granellino: dipende l’albero che ne nascerà, mentre dalla nostra fede dipende la nostra vita, come viviamo in mezzo agli altri, la nostra speranza, il rapporto con gli altri, dipende il sorriso di ogni giorno; dalla nostra fede dipende se continuiamo a chiedere miracoli come il ricco di domenica scorsa, oppure se capisco che il vero miracolo è accorgermi che Dio è innamorato di me! Solo la fede mi permette di accorgermi di questo: Dio è innamorato di un impostore come me.

Servi inutili afferma Luca: ‘Quando avrete fatto ciò che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili’ che qui significa servi che non meritano nulla, che non hanno pretese, che non pretendono nulla in cambio. In mezzo a un mondo dove paghi anche le virgole di un contratto, dove tutto gira intorno al profitto, dove le oscillazioni della borsa fanno tremare chi ha investito tanti soldi, il cristiano cerca di essere servo che non chiede nulla ma serve con gioia: il suo desiderio è quello dell’ultimo posto, è quello di stare lì a servire, di abitare quel posto che magari nessuno vuole e starci col sorriso, grato di poter essere utile a qualcuno, alla chiesa, alla comunità.

Ne conosco di servi così, di cristiani anonimi che non si mettono in mostra e occupano quel posto non da padroni, non da usurpatori, senza far pesare sugli altri quello che fanno, senza allontanare nessuno ma anzi invitando altri. Conosco mariti che accudiscono la moglie inferma, conosco genitori che accolgono un figlio in adozione oltre ai loro figli, conosco preti che tirano la carretta in comunità stanche, senza slancio, senza entusiasmo e sono lì a fatica ma col sorriso, non fanno pesare niente a nessuno. Ma anche catechisti, educatori che attraverso il loro amore verso bambini e ragazzi parlano di un Dio vicino, accanto e fanno capire che la comunità è come una mamma pronta ad accogliere. Conosco guardie carcerarie che diventano fratelli e amici dei detenuti sopportandoli e sostenendoli, conosco infermieri e medici che durante la pandemie e non solo sono diventati fratelli, amici, compagni di viaggio dei pazienti e non li hanno abbandonati, conosco monache e monaci di clausura che hanno un cuore aperto sul mondo e conoscono tantissime situazioni pregano per loro, giorno e notte.

Conosco un medico italiano che abita e lavora in Bolivia da 40 anni: con fondi ricevuti in beneficenza ha costruito un piccolo ospedale a 3000 metri sulle Ande e con il suo fuoristrada scassato va a visitare i poveri nelle capanne e se serve li porta in ospedale, tutto gratis naturalmente. Sposato con 4 figli di cui l’ultima è down, tutte le sere prima di cena riunisce la famiglia 3 minuti sul divano per pregare e ringraziare il Signore.

Ne conosco e sono per me un punto di riferimento, una testimonianza, mi parlano di una chiesa serva, umile, compagna di viaggio, fontana del villaggio pronta a dissetare chiunque passi di lì, una chiesa attenta a chi soffre ed è tagliato fuori da tutto e da tutti.

Siamo stati chiamati al Battesimo per questo per metterci al servizio senza pretese, all’ultimo posto, felici solo di renderci utili a tutti. Amo questa Chiesa e ringrazio ogni volta che incontro un cristiano così, pronto e a servire con la sua vita ma anche a dire ciò che non va bene negli altri, nelle istituzioni, nella società.

Tocca a me, a te essere servi così: parola strana, non capita, tanto meno usata ‘servo’ eppure Gesù è stato così, gli apostoli sono stati così, i martiri sono stati così, tanti genitori, amici, sorelle, catechisti, preti che ci hanno preceduto sono stati così. Se oggi esiste questa Chiesa, è anche merito loro. Chiediamo di esserlo anche noi . Oggi e sempre.

XXVI domenica del T.O. - 25 settembre 2022

Domenica XXVI anno C

Continua il tema dell’ uso dei beni, del rapporto che hanno i farisei e abbiamo noi con ciò che possediamo: il figlio minore di 2 domeniche fa chiede al padre la parte del suo patrimonio e se ne va; domenica scorsa l’amministratore che si era arricchito in modo disonesto usa il suo potere per salvarsi. Oggi il ricco e il povero: 2 storie che si intrecciano, l’una spiega l’altra, e il giudizio di Dio arriva puntuale: ‘Figlio, ricordati che nella vita tu hai ricevuto i tuoi beni e lazzaro i suoi mali’.

Osserviamo questi 2 protagonisti: il ricco non ha nome, vive banchettando ogni giorno, se la gode, diremmo noi, e non si accorge degli altri, non vede il povero che sta alla sua porta. Veste alla moda, attento all’immagine ma ha smarrito l’immagine di Dio in sé: ha smarrito persino il nome, cioè la sua identità, nella sua vita conta ciò che possiede e non chi è davvero. Il povero ha un nome Lazzaro che significa ‘Dio aiuta, soccorre’: non possiede nulla, probabilmente non ha una casa, coperto di piaghe, si accontentava degli scarti della tavola del ricco, persino i cani lo tormentano.

Il quadro è chiaro: mentre li osserviamo , li abbiamo già giudicati e ci siamo già schierati: solidali col povero che si accontenta delle briciole e implicitamente pensiamo che assomigliamo più a Lazzaro che al ricco. Dimentichiamo, da buoni cristiani, che noi abitiamo nella parte ricca del mondo e non in quella povera, dimentichiamo che noi mangiamo 3-4 volte al giorno e una casa l’abbiamo, dimentichiamo che il lavoro c’è, l’assistenza sanitaria, l’acqua potabile… e l’elenco si può allungare a piacere. Mentre l’elenco dei nostri pari dall’altra parte del mondo è decisamente più ridotto: mangiano 1 volta al giorno per poter sfamare i bambini, casa sì ma di paglia e legno, lavoro quando c’è, assistenza sanitaria non sanno neppure cosa sia (meglio star lontani dai loro ospedali) acqua al pozzo quando non c’è siccità, e via di questo passo: messa giù così, noi a chi assomigliamo di più?

In realtà Luca non ci dice come si comportano i 2, cosa hanno fatto nella vita, se uno è bravo e l’altro no, non ci sono giudizi: magari il ricco ha fatto cose belle, è generoso…, magari Lazzaro nonostante la povertà è più egoista del ricco.

Qual è la differenza tra i 2 allora? E cosa insegna a noi la parabola? Perché Luca insiste spesso sui beni, che ci possono aiutare a salvarci oppure ci ostacolano?

Il ricco è condannato non perché è ricco ma perché non vede Lazzaro, non lo riconosce e dunque non se ne prende cura; la sua vita coincide con i suoi bisogni, la sua felicità, il suo stomaco: ‘ contento lui, contenti tutti’ diciamo con il proverbio. Ti condanni con le tue mani quando tagli i ponti con tutto e con tutti, quando pensi che gli altri siano solo un ostacolo alla tua libertà; ad un certo punto non sai più chi sei, perdi nome, futuro, la tua vita coincide con ciò che possiedi e se per caso perdi qualcosa, ti sembra di morire. E ti scavi la fossa con le tue mani perché non solo non vedi chi è alla porta della tua vita, ma non ti accorgi nemmeno di Dio che passa e ti parla. La conseguenza nel regno dei cieli è già scritta non da un Dio giudice ma dal tuo sguardo troppo ripiegato su di te.

Lazzaro ha un nome che significa ‘Dio aiuta soccorre’, ne è cosciente e su questo fonda la sua vita. Sa di aver bisogno di Dio, la sola cosa che conta. Tutto qui dirai? Certo tutto qui! Lo sa bene chi è innamorato: è affascinato, attratto a tal punto di sentire un bisogno fisico dell’altra, dell’altro. Una volta una coppia aveva qualche incomprensione, un po’ di attrito come a volte accade: niente di particolare. Ciascuno dei 2 aveva i propri hobbies, uscite varie con amici e colleghi, fin qui tutto bene ma lentamente si allontanavano sempre di più: nessuna cosa grave ma riempivano la vita di piccoli legami di amicizia al di fuori della famiglia. Cosa stava accadendo? Non sentivano più il bisogno dell’altra/o, non si cercavano più, c’era sempre più distanza. Come è andata a finire? Non ve lo dico! Voi come continuereste questa storia? Parlatene a casa, con chi volete. E’ questo sentire il bisogno dell’altro che ti disarma, ti mette a nudo, ti rende vulnerabile ma allo stesso tempo ti consegni, dichiari che la tua vita è nelle sue mani, sei disposto a donarti totalmente.

Lazzaro sentiva il bisogno di Dio, era la fonte, il faro della sua vita, era il primo pensiero del mattino e l’ultimo della sera, il respiro, l’orizzonte: per questo l’avrebbe ritrovato accanto ad Abramo nel regno dei cieli.

Questa parabola, come dice il diacono Paolo de Martino, non parla dell’aldilà ma dell’aldiqua e ci invita ad accorgerci degli altri adesso, a prenderci cura, a considerarli parte di noi! Non chiedere miracoli come fa il ricco: chi chiede segni e miracoli vuol dire che non ha ancora fede in Gesù. Prima la fede per accorgerti che tutta la vita è il miracolo di un Dio innamorato di noi, un Dio che da ricco che era si è fatto povero per rendere ricchi noi della sua grazia.

A proposito, i 2 sono ancora insieme dopo tanta fatica. Hanno imparato a dirsi solo una cosa: ho bisogno di te!

XXV domenica del T.O. - 18 settembre 2022

Domenica XXV anno C

Solo in Luca si trova questa parabola un po’ anomala, in cui sembra che Gesù lodi chi ruba, chi imbroglia, chi cerca solo il proprio interesse a scapito di tutti gli altri. Nessun datore di lavoro vorrebbe un dipendente così: meglio perderlo che trovarlo! Infatti il padrone lo mette con le spalle al muro. In questa parabola, sembra davvero che Gesù prenda un granchio, e si accodi ai tanti ‘furbetti’ che ogni tanto vengono pescati a timbrare il cartellino e poi andare a fare un altro lavoro, o a rubare al supermercato, o a intascare bustarelle…

Il tema del possesso dei beni ritorna spesso in Luca e trova anche nella prima lettura del profeta Amos una accusa esplicita: Dio punirà chi inganna e froda il povero, chi cerca di arricchirsi a discapito di altri; ma qui il tema ha un risvolto e una conclusione particolare.

Patetica la scena in cui l’amministratore disonesto pensa tra sé e sé: Che cosa farò ora…? Zappare non ho forza, mendicare mi vergogno…’ Si rende conto di non avere appigli, vie di fuga, soluzioni. A volte nella vita ti guardi indietro e ti penti di non saper fare qualcosa di cui hai bisogno, e ti mangi le dita.

Ma l’amministratore usa la sua arte: ha sempre imbrogliato e lo fa ancora, favorendo i debitori del padrone per salvarsi in corner. Noi ci scandalizziamo non solo per la scelta dell’amministratore, ma soprattutto perché il padrone lo loda e sembra approvare. Siamo sconcertati: anche qui, nessun padrone loderebbe un dipendente così.

Qual è il senso? In realtà il padrone (il Signore) loda l’amministratore non perché ha frodato, ma perché è stato capace di circondarsi di amici giusti al momento giusto. E si è garantito la salvezza!

Giriamo la frittata: il cristiano cosa deve fare? Cercare di costruirsi amici, fratelli, sostenere, aiutare, diventare il prossimo per chi ha bisogno, per qualche povero, andare a scovare chi ha bisogno di una mano amica, una parola buona, un gesto di carità: saranno questi che ti garantiranno la salvezza non qui, magari da una condanna, o dal carcere ma ti garantiranno la salvezza nel regno dei cieli, quando diranno a Dio : ‘Guarda Signore che questo qui mi ha aiutato, mi ha soccorso, mi è stato vicino, mi ha abbracciato quando ero solo, mi ha accolto, si è preoccupato di me, non ha fatto finta di niente! Saranno questi ‘poveri’ questi ‘ultimi’ che ci guadagneranno un pezzetto di paradiso, una salvezza insperata.

Allora la parabola è più profonda di quanto non sembrasse all’inizio, ci insegna qualcosa: ci insegna a pensare non solo a salvare il corpo nostro e dei nostri cari ma l’anima: costruisci qui il tuo futuro nel regno dei cieli, circondati di chi ti potrà salvare, cerca di farti amici che non possono ricambiare i tuoi favori perché questo piace a Dio e fa bene all’anima. Pensa non solo a questa vita ma all’altra, a quella dello spirito, usa ciò che hai e sei ora per pensare alla tua salvezza domani.

Piergiorgio Frassati era un giovane vissuto a Torino agli inizi del 1900: famiglia benestante, il padre era fondatore del giornale La Stampa. Studente modello, amante della montagna, membro della Azione cattolica; con un pallino: cercare i poveri, soccorrerli, aiutare a fare trasloco, e capitava che tornasse a casa scalzo perché aveva regalato le scarpe a un povero. Intorno ai 24 anni si ammala di tubercolosi e nel giro di pochi mesi muore. Appena saputa la notizia, sotto casa sua arrivò una folla di poveri che lui aveva aiutato e soccorso, un popolo di senza nome e senza storia però conosciuti bene da Piergiorgio: tutti furono meravigliati e capirono quanto bene aveva fatto in modo nascosto, senza far sapere a nessuno, nemmeno alla sua famiglia. Lui li aiutava perché li amava ma in questo modo ha pensato alla salvezza dei poveri e alla sua, nel regno dei cieli.

Ecco la strada: possiamo avere la stessa astuzia e scaltrezza dell’amministratore non per frodare e rubare ma per garantire a noi e ai nostri amici una vita diversa, spesa, donata e per sperare che i poveri, gli ultimi, parlino bene di noi davanti al Signore.

XXIII domenica del T.O. - 4 settembre 2022

Domenica XXIII anno C

Un po’ radicale questo Luca; un linguaggio un po’ duro. Ma dov'è finita la misericordia della parabola del Padre buono, della pecora perduta? Qual è il vero Luca , ci chiediamo?

‘Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, i figli... e perfino la propria vita non può essere mio discepolo’. Messa giù così sembra che ci sia opposizione tra amare la famiglia, i figli, gli amici e amare Gesù. Sembra che chieda di lasciare da parte la famiglia, metterla in secondo piano per dedicarsi di più a Dio, alla chiesa. Chi ha qualche anno sulle spalle ha respirato quest’aria quando preti e suore ‘facevano pesare’ a qualche ragazzo, ragazza, catechista, collaboratori che sì, potevano fare la loro famiglia, ma Dio era al primo posto, e quindi dovevano dedicarsi alla parrocchia, all’azione cattolica, al catechismo... Insomma, una specie di benevola concessione quella di sposarsi, ma col dito puntato: ‘ricordati che il Signore...'

Niente di tutto questo, e Paolo nella seconda lettura l'ha capito bene quando lascia che lo schiavo Onesimo ritorni dal padrone Filemone non perché deve privarsi di un amico caro ma perché lo ama ancora di più. Onesimo, schiavo era fuggito dal padrone Filemone per trovare rifugio da Parolo. Onesimo si converte e diventa cristiano come del resto il suo padrone. Ora Paolo anziano vorrebbe tenerlo vicino a sé ma lo restituisce al padrone dicendo di trattarlo non più come schiavo ma come un figlio. Il cristianesimo ha anche cercato di abolire la schiavitù!

Allora Luca nel vangelo non ci dice di fare gerarchie ma di amare ancor di più, in pienezza, di amare come fa Dio, di amare mettendo da parte quella piccola gelosia e possesso che mettiamo nei rapporti affettivi, quando diciamo: mio marito, mia moglie, mio figlio, mio amico. Lo diciamo ingenuamente ma dietro rischia di esserci qualcosa di troppo, qualche cordone ombelicale non ancora reciso, qualche laccio che non ci permette di essere liberi e di lasciar liberi gli altri, fosse anche un figlio!

Amali ancor di più e penserai non solo a far studiare un figlio, a proteggere tua moglie dai pericoli, a dare tutte le attenzioni a tuo marito, ai genitori, ma penserai soprattutto alla loro salvezza , farli diventare santi, a pensare che sono destinati al regno dei cieli e dunque cercherai di purificare in loro ciò che non va bene e sviluppare quello che va per il verso giusto.

Ama ancor di più dice il Signore.

Amali fino alla croce come ho fatto io: croce non vuol dire qualche disgrazia che mi capita e che non auguro a nessuno. Croce vuol dire metterci amore in tutte le cose in tutte le persone fino a mettere da parte se stessi per costruire qualcosa di nuovo. ‘Chi vuol venire dietro a me e non porta la sua croce non può essere mio discepolo’. Quando tutti ti dicono che non ce la fai, quando qualche ostacolo, o malattia, o fallimento o delusione ti tolgono il fiato e la speranza, allora questa parola ci viene in aiuto perché ci invita ricominciare o meglio a continuare in modo nuovo, affidandoti a un amore più grande, affidandoti a Dio e alla vita.

Parlando anni fa con una giovane moglie le chiedevo: ma come mai non avete ancora figli, non arrivano? ‘Eh no. Adesso abbiamo il lavoro, la casa, il mutuo. Si i miei genitori sarebbero a disposizione per aiutarci, non abbiamo problemi economici: poi far crescere un figlio è una grande responsabilità, saremo capaci? Per ora stiamo bene così’. Ecco: se ami di più, se ti affidi alla vita, se ami come Dio, se porti la croce come Gesù allora non hai limiti perché viaggi su un altro binario, hai una marcia in più, vedi le cose e le persone in modo diverso, nuovo e quello che sembra dolore e fatica, può trasformarsi in occasione per decollare e volare più in alto.

Il cristiano non è un super man ma nemmeno un masochista che cerca di soffrire più di altri per andare in paradiso: il cristiano è uno che corre come gli altri ma mentre corre sale sul treno di Dio e aggiunge alla sua velocità quella del treno, per cui non corre ai 10 km all’ora ma a 310 km all’ora!

Il cristiano cerca di calcolare bene, di prepararsi come l’uomo che deve costruire la torre o il re che deve affrontare un esercito nemico: prepararsi non all’altra vita ma a vivere a pieno questa vita, ad imparare ad amare ancor di più e meglio, come fa Dio con noi, fino alla croce.

'Così, chi di voi non rinuncia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo’. Cioè: se non rinunci ad avere un rapporto possessivo ed egoistico verso la tua famiglia, i tuoi cari, ti perdi tanto perché rischi di non prepararli alla vita, rischi di non renderli liberi, di non affidarli a quel Dio che è dentro di loro e rischi di non costruire in loro l’immagine e la somiglianza con Dio. Ti perdi la croce cioè un amore infinito come quello di Dio e non limitato come il nostro.

Un Dio che lascia e non trattiene nemmeno la vita di suo figlio ci invita a seguirlo e a fare della nostra vita un regalo donato per ogni volto e ogni sguardo che incrociamo sulla nostra strada.

XXII domenica del T.O. - 28 agosto 2022

Domenica XXII anno C

Ancora nella casa dei farisei, addirittura un capo, va Gesù, non per condannare, per criticare o dire che stanno sbagliando ma per portare luce, salvezza, per parlare di un Dio diverso, altro, non un potente da riverire ma un Padre misericordioso da amare.

La corsa al primo posto, al palco d’onore, al mettersi in prima fila è vecchia come il mondo, prende posto addirittura nel Vangelo e arriva ai nostri giorni: e qui si trasforma in far carriera, far di tutto per emergere, applausi a chi fa la voce grossa, diventa una corsa sfrenata a salire su qualche piedistallo. Storia vecchia come il mondo smentita solo quando veniamo in chiesa dove gli ultimi posti sono i più ambiti, anche prima del Covid: misteri! Quando amo una persona o la stimo, vorrei correrle incontro, abbracciarla, guardarla negli occhi, starle vicino….Così dovrebbe essere quando entro in chiesa per pregare, per la Messa.

Gesù osserva con sguardo di misericordia, dicendo loro: ‘Quando sei invitato a nozze, non metterti al primo posto… ‘ e poi ‘ Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli, né i ricchi… Al contrario, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi: e sarai beato perché non hanno da ricambiarti.’ Non servono tante parole di commento: serve solo l’umiltà di seguire questo Dio rivoluzionario, che sceglie l’ultimo posto, che sceglie di essere servo, di non tener nulla per sé, di invitare alla tavola del regno gli ultimi, i lontani, quelli che non hanno nulla da darti, persino quelli che non se lo meritano, quelli tagliati fuori da ogni compagnia, quelli che non vorremmo vedere, quelli che ci danno fastidio nelle vie dello shopping, nei centri commerciali, a volte anche nei nostri ambienti, nelle nostre feste, persino nei nostri oratori.

Nelle grandi città ogni giorno tanti volontari della Caritas e non solo danno da mangiare a chi ha bisogno: perdono tempo, soldi, ore di sonno per stare con gli ultimi, con chi è disperato, ai margini.

Gesù è accanto agli ultimi, le sue braccia in croce abbracciano innanzitutto loro e invita noi a fare così perché lui è presente in mezzo a loro, anzi lui è quel povero che non ha nulla da restituirci.

Gesù è accanto a quell’uomo trovato privo di vita nel container di un camion, gli scarti che il mondo rifiuta trovano accoglienza non nei nostri paesi e città ma nel cuore di Dio: per noi è un incidente, una tragedia che diventa statistica, da rimuovere e dimenticare al più presto; per lui quell’uomo è un fratello, un amico, lui lo fa entrare nel suo regno, lo serve al suo banchetto, gli da la ricompensa che non ha avuto qui sulla terra.

Gesù è venuto a creare un mondo nuovo in cui la logica del profitto, del tornaconto, della gratuità è la scelta prioritaria; il nostro mondo è diviso tra poveri e ricchi, nord e sud, paesi cosiddetti emergenti e paesi del terzo, quarto, mondo. Ecco cosa produce la logica del massimo rendimento, la logica della sottomissione, del dominio anziché del servizio. Finchè non ci sarà una maggior attenzione ai paesi poveri, ci saranno sempre guerre e popoli che lasciano la loro terra in cerca di speranza, di serenità di un posto dove far crescere i figli anche a costo di perdere la vita : tanto, dicono, non ho nulla da perdere, non possiedo nulla.

Stai insegnando, stai testimoniando a tuo figlio, tuo nipote la logica del servizio, del non aspettarsi nulla in cambio, la logica dell’ultimo posto? Lo/la stai portando con una associazione ad assiste i senza fissa dimora? Vai con tuo figlio a fare la spesa a una persona anziana? La abitui a fare qualcosa senza tornaconto, o a visitare qualche parente in una casa di riposo? Insieme, come famiglia, rinunciate a una pizza, per offrire il corrispettivo a qualche associazione che aiuta chi ha bisogno?

Questo vuol dire andare contro corrente, questo vuol dire seguire la logica di Cristo, questo vuol dire cercare l’ultimi posto, quello del servo, il posto in cui non sarai visto dagli uomini ma sarai ammirato da Dio.

Dio è capovolto rispetto alla logica dei farisei e anche rispetto alla nostra logica , ed è venuto a capovolgere il nostro modo di vivere e pensare. Lasciati capovolgere da lui, lasciati invitare al suo banchetto alla sua tavola, siediti accanto a qualche disperato della vita, a qualche poveraccio che non ha certo un buon profumo, accompagna un anziano a sedersi, mettiti a servire come fa Gesù che passa a servire i suoi amici e persino i suoi nemici. Allora riceverai la ricompensa non solo nell’altra vita ma già oggi perché sarai libero dalle cose, dalla logica del tenere per me, dalla logica del mio, e del tuo ma vivrai con quella del ‘nostro’, del ‘noi’. Lasciati capovolgere da lui che ha capovolto cielo e terra, venendo a prendere dimora nella nostra terra per farci diventare cittadini del suo cielo.

XXI domenica del T.O. - 21 agosto 2022

Domenica XXI anno C

C'è una porta stretta nel Vangelo di Luca , quella della salvezza. ‘ Signore, sono pochi quelli che si salvano?’ Ancora domande rivolte a Gesù, domande che partono dal cuore ma poste male. In realtà a noi, e probabilmente anche a quel ‘tale’, non interessa se sono pochi o tanti. L’ essenziale è come bisogna comportarsi per raggiungere la salvezza, la vita eterna.

Per capire meglio dobbiamo pensare a chi sta annegando o facendo naufragio in mare o qualcosa di simile: abbiamo ancora negli occhi quando un anno fa gli afghani, ripiombati sotto la dittatura talebana, volevano salire su un aereo in partenza. Qualcuno si è aggrappato al carrello e poi è precipitato; oppure le mamme afghane che davano il loro neonato a soldati americani, oltre il filo spinato, sperando che potesse crescere in un Paese libero. Immagini da brividi, forse troppo lontane da noi per coglierne tutto il dramma e l’atrocità. Chi non si è salvato o non è stato salvato da qualche pericolo grave, non capisce il senso di quella parola: salvo!

Oppure quando sei solo, abbandonato, tradito, senti il bisogno di un’àncora di salvezza, di una tavolata di amici, di una porta aperta, di una casa per sentirti ‘a casa’. Questo vuol dire ‘salvezza’, questo vuol dire, dare un’altra possibilità, questo è cambiare il destino, la vita di una persona.

Noi credenti, di solito, alla salvezza associamo, paradiso, inferno, o perdono dei peccati; Gesù la associa a star bene, felicità, speranza, futuro. E parla della porta stretta: mentre tutti ci propongono strade larghe, comode, possibilmente in discesa, Gesù parla di porta stretta, magari con sassi e salite. Non vuole metterci in crisi a tutti i scosti ma vuol dirci di dubitare di chi ci tratta con troppi sorrisi e pacche sulle spalle: cerca piuttosto chi, per il tuo bene, ti fa sudare, faticare, ti propone orizzonti alti e impegnativi perché confida in te, perché sa che puoi farcela. Gesù è quella porta che ci conduce al Padre, una porta stretta non perché solo pochi eletti possono farcela, non perché lui vuole solo i migliori della classe, i famosi vip o chi ha tutte le carte in regola. Lui vuole tutti e per tutti si è fatto porta, via, strada, cammino.

Chi avrà preferito vie larghe comode spaziose, le vie del ‘ fanno tutti così’ , del ‘ che male c’è ?’ , ‘non tocca a me, non ho peccati io', chi avrà preferito le vie del mondo e non di Dio, allora troverà la porta chiusa, sbarrata. C’è anche questa possibilità, ricorda, eccome se c’è: diciamolo apertamente, la Chiesa non ha cambiato rispetto a 4, 5 decenni fa, ripete ancora le stesse cose, in linguaggio diverso! Porta chiusa e noi fuori, fuori da una bella festa, fuori al freddo, fuori da quel gruppo lì così simpatico e interessante, fuori mentre tutti gli altri sono dentro.

Altrimenti il padrone di casa, al suo ritorno dirà: ‘In realtà non vi conosco’. Perché anche tu nella vita non mi hai riconosciuto: hai creduto che fosse sufficiente la Messa quando il figlio fa la Cresima, che fosse sufficiente stare dalla parte del papa, o fare qualche elemosina, o essere amico di un prete o una suora, o aver fatto il chierichetto da bambino, o andare in oratorio a giocare o dare una mano occasionalmente.

‘Non so di dove sei , non so chi sei’ risponderà il padrone perché ti sei nutrito del pane ma non ti sei fatto pane, ti sei scaldato al fuoco ma non ti sei fatto fuoco, hai ricevuto tanto ma hai donato poco, hai ascoltato parole di vita ma non hai pronunciato nuove parole di vita, sei stato accolto nella casa della Chiesa ma hai chiuso la tua casa ai fratelli nel bisogno, hai partecipato a tante feste ma non hai fatto festa per uno straniero che aveva bisogno. Hai detto tante preghiere ma non ti sei fatto preghiera per salvare qualche fratello o sorella. Hai fatto mille liturgie ma la tua vita non è diventata la liturgia della gioia di aver incontrato il Dio della vita. Ogni volta che hai chiuso porta, mani, cuore, portafogli, in realtà hai firmato la tua condanna, ti sei chiuso la porta della vita, hai rifiutato la mano tesa che ti avrebbe salvato , hai rinunciato all’abbraccio di quel Dio in croce per te!

Se non hai raccontato con la tua vita le grandi cose che Dio fa per te ogni giorno, allora ti sei chiuso la porta della salvezza con le tue mani , non c’è salvezza per te, non c’è futuro; non bastano le tue teorie e idee. La nostra non è una religione ma una fede; non è una serie di buone maniere e belle parole da ascoltare ma una vita cambiata, salvata, trasformata da innamorati, da risorti, da salvi per il miracolo di un Dio accanto, dentro la nostra storia.

Per un Dio così val la pena provarci e cercare quella porta stretta che ci spalanca lo sguardo su una vallata aperta, con alberi, corsi d’acqua , animali, e tanti fratelli e sorelle con cui celebrare ogni istante l’incontro che ci ha salvati da una vita spenta, monotona, senza futuro.

XX domenica del T.O. - 14 agosto 2022

Domenica XX anno C

Perché una ragazza di 29 anni rifiuta una eredità di 5 miliardi di euro, dicendo che non li ha guadagnati e dunque non le appartengono? ( la nonna è titolare di una industria chimica che nel 2021 ha fatturato 78 miliardi di euro). Chi gliel’ha fatto fare dicendo ‘ no, grazie ‘ ad una cifra da capogiro. Perché? Quanti di noi, invece, avrebbero fatto salti di gioia…

Gesù ci parla di fuoco : “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e quanto vorrei che fosse già acceso”, afferma. E la lettera agli Ebrei annota: ‘corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù’.

Non il tepore delle nostre case in inverno, non quel calduccio che ci piace tanto, ma il fuoco che incendia, trasforma, illumina la notte; nemmeno una passeggiata rilassante ma una corsa fatta con perseveranza, con tenacia , con sudore e con qualche vescica…

Invece a volte abbiamo domato troppo questo fuoco, a nostro uso e consumo e non assomiglia più alla passione di Cristo per i suoi, non assomiglia più all’ardore dei primi cristiani o dei martiri che avevano cambiato vita e non temevano di rinunciare a tutto pur di seguire questo Vangelo. Come una amicizia che si spegne, come un amore senza più entusiasmo, come un professore che non ha più fiducia nei suoi ragazzi, un educatore che non scommette su di loro, un genitore che non perde un po’ di tempo per giocare e scherzare con i figli.

Il Vangelo è fuoco, lo Spirito è fuoco, il Battesimo è fuoco acceso, la Messa dovrebbe incendiarci e trasformarci, fonderci, come fa il fuoco e unirci a lui, a Gesù.

Nella vacanza al mare abbiamo conosciuto la testimonianza di don Tonino Bello vescovo di Molfetta, presidente di pax Christi morto nel ’93. Un Vescovo degli ultimi, dei poveri che non stava in palazzo vescovile ma in mezzo alla gente, per strada, conosceva tutti e ospitava a casa sua i senza fissa dimora, li accudiva, li sfamava, li faceva dormire; celebre è il testo in cui parla della chiesa del grembiule, non della stola. Non una chiesa che ostenta onori e privilegi ma una Chiesa a servizio, vicino agli ultimi, in difesa della giustizia, una Chiesa che indossa l’unico paramento portato da Gesù: il grembiule! Nel 1992 quando era già ammalato, ha organizzato una marcia verso Sarajevo, in piena guerra: 500 persone hanno partecipato; lui e una delegazione sono potuti entrare in città per annunciare la pace e chiedere la fine del conflitto.

Il fuoco lui ce l’aveva dentro nel cuore e ha infiammato talmente tanto i fratelli che ancora oggi è ricordato, imitato e amato.

Sei ancora un po’ acceso? Quanto? Quanto quella Parola ti incendia il cuore? Quanto quel Signore ti affascina ancora, quanto senti il bisogno di aumentare la temperatura della fede, del desiderio di lui, quanto lo vuoi annunciare e fare in modo che la tua vita ricalchi la sua, segua le sue orme, i suoi tratti? Quanto cingi quel grembiule, cioè quanto accetti di essere servo non per la bella faccia di qualcuno a cui dai qualcosa ma perché hai ricevuto tantissimo e allora ti viene naturale ripetere i gesti del maestro.

Quanto sei capace di dire la tua fede con le tue parole, con le tue mani, con il lavoro di ogni giorno ? Forse, come Chiesa, ci siamo adagiati troppo nelle nostre comodità , nella vita ripetitiva, nei 4 amici che abbiamo, nel non – male che facciamo dimenticando che potremmo fare tanto bene: sempre pronti a guardare chi agisce peggio di noi per giustificare se non facciamo nulla di buono, anziché seguire l’esempio dei santi, dei santi della porta accanto, di don Tonino e tanti altri infiammati dal Vangelo di Cristo.

La nostra frase celebre è: ‘Tanto lo fanno tutti’ Tutti imbrogliano, tutti abbandonano dopo la cresima, tutti pensano solo a sé, tutti sono egoisti, tutti… : e non ci sentiamo più nemmeno in colpa!

Forse la ragazza di 29 anni più che lasciarsi ‘infuocare’ dai 5 miliardi di euro, è infuocata di semplicità, di libertà, di leggerezza e distacco da tanti soldi che ti danno agio e ricchezza ma ti tolgono il sonno. Forse ha capito che ‘c è più gioia nel dare che nel ricevere’.

O Signore fuoco acceso nella Chiesa, nei credenti, in chi ti cerca con cuore sincero: non stancarti di incendiare il mondo con il tuo amore, donaci sempre il tuo Spirito e allora con la nostra vita diremo a tutti che tu ci fai vivere in modo nuovo, diverso, accesi di speranza, di gioia, di desiderio di essere nuovi ogni giorno e indossare quel grembiule che ci fa servi come tu hai servito ogni uomo.

XVIII domenica del T.O. - 31 luglio 2022

Domenica XVIII anno C

‘Cercate le cose di lassù! Se siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù’. Che poi sono quelle di quaggiù; cioè: cerca di vivere un po’ più leggero, meno ripiegato su te stesso, cerca di vivere oggi, qui, come ti ha proposto il Signore, non più attaccato ai beni di questa terra e in ricerca di uno stile nuovo.

Il Vangelo ci porta dritto al cuore del problema e ci fa riflettere non tanto su ciò che possediamo ma su come possediamo e su come i beni che abbiamo rischiano di chiuderci il cuore, la testa e le mani: tutto è per me, per il mio stomaco, il mio benessere, il mio divertimento, la mia tranquillità, il mio futuro. Il ricco del Vangelo lo vediamo intento a calcolare quanto devono essere grandi i nuovi granai, quanto possono fruttare, quanto grano può produrre, quanto gli renderà.

Per non parlare delle eredità che spaccano e dividono famiglie e parenti: tutto dipende da ciò che metti al primo posto; se una eredità anche modesta divide e fa litigare, vuol dire che al primo posto hai messo ciò che possiedi; se una eredità non divide, vuol dire che al primo posto hai messo la famiglia, gli affetti più cari, la libertà e la serenità. Già, perché si può anche perdere la libertà e la serenità se possiedo male i miei beni, se vivo male, se dico e penso come il ricco del vangelo . Ascoltiamolo: ‘Anima mia hai a disposizione molti beni per molti anni; riposati, mangia, bevi, divertiti’.

Confessiamolo: assomiglia abbastanza a noi quando mettiamo via per la pensione, quando al primo posto ci sono solo le mie esigenze, per non parlare dei miei capricci, quando non siamo capaci di rinunciare a qualcosa da mangiare, qualche vestito, qualche attenzione costosa per il corpo, qualche suppellettile preziosa per la casa, qualche vizietto…. Uno dice: lavoro onestamente dalla mattina alla sera, penso solo alla mia famiglia. Ciascuno pensi alle proprie tasche ma soprattutto all’uso che fa dei propri beni.

Ma c’è dell’altro: Gesù non rimprovera e non condanna i ricchi o altre categorie di persone. Gesù propone di vivere in modo diverso, di ragionare in modo diverso, ti invita a non perdere la tua libertà verso ciò che possiedi, ti suggerisce che i tuoi beni non sono tutti tuoi, ma sono anche di chi non ha nulla o molto meno di te, ti ricorda che ciò che hai nell’armadio, nel frigo, in tasca, in banca non ti appartiene totalmente ma appartiene anche al povero, all’indigente, a quello che ha avuto problemi economici e a chi è più sfortunato o e no capace di te. Gesù ci invita utilizzare i beni che possediamo per aiutare, sostenere, per rendere felici altri per non attaccarci in modo esagerato e per vivere bene il rapporto con persone e cose.

Ci hanno sempre detto che la mia libertà finisce dove inizia quella degli altri, che siamo liberi di fare le scelte che vogliamo, che nessuno può toglierci la libertà... Tutte espressioni al centro delle quali ci sono solo io, il mio EGO, i miei bisogni, i miei disideri; ma il vangelo come sempre ha una marcia in più e dice che la libertà la devi conquistare ogni giorno, che devi lottare per superare dei limiti, il tuo egoismo , il tuo orgoglio che ti chiude in te stesso , ripiegato su di te , incapace di aprire mani e cuore verso i fratelli.

C'è un modo sbagliato di possedere che ci chiude in casa, o nei nostri appartamenti pensando che gli altri siano tutti nemici pronti a rubarci qualcosa. E la vita si intristisce, diventa cupa, perdiamo i rapporti con gli altri, perdiamo la libertà! E non è questione di quanto possiedo ma di come possiedo: ci sono persone che posseggono poco ma sono avide e egoiste, come pure ricchi che invece sono di una generosità esemplare.

Gesù invita il ricco del vangelo e noi a vivere bene l oggi per prepararci non alla morte ma ad una vita in pienezza, libera da un legame sbagliato con le cose ( e le persone) ma con il desiderio di utilizzare bene ciò che possiedo per costruire il suo regno e la mia salvezza.

Aiutaci o Signore ad arricchirci verso di te , ad accumulare tesori fatti di abbracci, aiuto ai fratelli attraverso i nostri beni, incontri, e ascolto dei fratelli e sorelle: questo è il vero tesoro da condividere solo per capire che il vero tesoro sei Tu nelle nostre fragili mani!

XVII domenica del T.O. - 24 luglio 2022

Domenica XVII anno C

Innanzitutto ‘Insegnaci a pregare’ chiedono i discepoli a Gesù! Insegnalo anche a noi perché non ne siamo capaci. Questo è l’inizio, l’esordio, questa è la prima preghiera che rivolgiamo al Signore. Ma oggi è bene che ci chiediamo anche il perché: perché pregare, cosa significa? Cosa mi viene in tasca, che cosa mi da? Domande che non ci facciamo mai.

Gesù non fa tante prediche, non fa lezioni di teologia, dimostrazioni… Gesù traccia una via, un sentiero, lo fa vedere pregando, ritirandosi, mettendosi in disparte, restando unito al Padre e mostrandoci il volto trasfigurato. Fa capire semplicemente che pregare vuol dire trasformarsi, cambiare stile, vita, cambiare testa e cuore, sentire il bisogno di un abbraccio, di quell’abbraccio che mi manca tanto, l’abbraccio di quell’amico, quel papà, quel fratello, per non dire figlio che non c’è più: pregare vuol dire saper attendere di incontrare ancora quella persona nel regno di Dio e abbracciarlo finalmente, senza dire nulla, al buio.

L’ultima sera del campo estivo abbiamo giocato, cantato, scherzato e alla fine la preghiera l’abbiamo fatta abbracciati, in cerchio; e dopo in silenzio, al buio, ciascuno ha abbracciato l’altro, per metterlo nel cuore! I gesti dicono molto più delle parole.

La supplica di Abramo nella prima lettura mi stupisce sempre: Abramo gioca con Dio, tira la corda, abbassa il numero dei giusti da trovare in Sodoma e Gomorra perché tanto lo sa che non troverà nemmeno un giusto in quelle città: e Dio Padre concede, accetta non sperando che ci siano almeno 5 giusti a Sodoma ma pensando ad Abramo, alla sua tenacia, alla sua fede, alla sua testardaggine. E Dio mostra la sua misericordia, senza fine.

Quando pregate dite: ‘Padre’. In Luca c’è solo Padre, in Matteo c'è Padre nostro. Quando preghi non c’è più il mio e il tuo, c è solo il NOSTRO: il salto di qualità di una coppia è quando non esiste più il mio e tuo ma solo il ‘nostro’. Passaggio che fa paura a molti ma che ti fa cambiare rotta, ti mette alla prova, ti costruisce, ti fa volare, ti fa andare ‘oltre’ come quando preghi davvero.

E noi che invece siamo ancora lì a dire: prego quando me la sento, quando sono nel clima giusto, quando mi trovo nelle condizioni giuste. Cioè: sono io al centro, decido io, sono capace di pregare, dipende tutto dal contesto, dall’umore, dagli altri. Il contrario della domanda del discepolo: ‘Insegnaci a pregare’.

Sia santificato il tuo nome, recitiamo nel Padre nostro: che non vuol dire non bestemmiare con la bocca ma non bestemmiare col cuore! Non metterlo dietro le quinte, non chiuderlo in qualche cassetto dell’armadio della tua vita, non imprigionarlo nell’aldi qua, cercalo nell’OLTRE! Mettilo al centro, togli te stesso dal centro, metti solo lui. Consideralo ‘santo’ cioè altro da te, diverso, per fortuna, separato ma che ha attraversato i cieli per venire ad abbracciarti!

Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano: non il mio o il tuo ma il nostro pane. O ce n’è per tutti o non ce n’è per nessuno; e non solo di pane ma di incontri, di speranze, di futuro, di pace! Se vuoi vivere e non sopravvivere, devi cercare e invocare un altro pane: è la sua Parola, l’intimità con lui, il desiderio di entrare nella sua tenda e lasciar parlare il cuore, il tuo cuore. C’è un pane da condividere con sorelle e fratelli: la terra, la casa, il lavoro, la speranza, la gioia. Per non dire più: è mio o è tuo ma è nostro!

Quando è stata l’ultima volta che hai pregato sul serio, quando hai chiesto a Dio: ‘insegnami a pregare’; quando lo hai sentito nel cuore, quando sei entrato nel suo mondo e dunque sei uscito dal nostro mondo; quando è stata l’ultima volta in cui ti sei commosso fino alle lacrime pensando a questo Dio ‘oltre’ che va oltre il suo cielo per abbracciare te e me, senza chiedere nulla in cambio. Quando è stata l’ultima volta in cui ti sei lasciato curare le tue ferite e lui, vero buon samaritano, ha cambiato programma al suo viaggio, perché la sua meta è il cuore di ogni uomo e donna. Quando è stata l’ultima volta in cui come Maria ti sei seduto ai suoi piedi e lo hai ascoltato e adorato?

Amico, Dio è dietro la porta della tua vita, come il personaggio del Vangelo, ascolta la tua supplica anche se tu non ci credi e inizia a rispondere ma tocca a te spalancare il cuore e ascoltare la sua voce.

Pregare vuol dire lasciarsi abbracciare e trasformare a sua immagine, noi che invece vogliamo trasformare lui nella nostra immagine! Pregare vuol dire osare pronunciare il nome di Padre, osare invocarlo nella notte del cuore e prepararsi ad incontrarlo OLTRE ogni nostro sguardo!

XV domenica del T.O. - 10 luglio 2022

Domenica XV anno C

Chissà se hanno fatto più male a Gesù i chiodi nei polsi o queste domande apparentemente sincere ma che in realtà nascondono ostilità, avversione, critica, dubbio. Ma Gesù non si scompone: ‘Lo sai bene, caro dottore della legge cosa dice la Toràh. Lo sai bene chi è il prossimo, perché vuoi tendermi un agguato? Perché vuoi dire a tutti che non sono io il Messia?’ Il problema del dottore della legge era quello di rispettare tutto, senza trasgredire nulla: il suo obiettivo era quello di non essere in debito con Dio, pareggiare i conti, non quello di amare Dio con tutto il cuore! Un bravo ragioniere, non un credente , non un innamorato di Dio e dei fratelli! Per lui Dio era solo uno da non far arrabbiare, da tenere alla giusta distanza, non un Padre da amare e da imitare.

Alcune volte anche per noi è così: vogliamo ‘sentirci in regola’, non sgarrare, mettere i conti in ordine. Come una azienda fa l’inventario alla fine dell’anno o come facciamo l’esame di coscienza quando in macchina vediamo a distanza una pattuglia della polizia: revisione, libretto, velocità, ho pagato il bollo??? Ecco siamo così! Tante celebrazioni delle ‘prime Comunioni ‘ o Cresime, o Battesimi hanno questo sapore: lo fanno tutti, mi hanno battezzato i miei genitori, allora battezzo anch’ io mio figlio; salvo dimenticarsi la domenica successiva che in quel sacramento posso diventare anch’io Dio in mezzo ai fratelli! Il nostro Dio non vuole sudditi in regola, che hanno pagato il dazio, ma figlie e figli, sorelle e fratelli innamorati di lui. Ma forse dopo 2000 anni non lo abbiamo ancora capito!

Gesù capisce anche che quella domanda sulla vita eterna, in realtà ne ha sotto un’altra, quella vera, cioè : ‘Sono davvero felice? Chi mi aiuta a essere felice? Chi mi indica la strada per la felicità? Ecco la domanda che tutti abbiamo nel cuore, per noi e per i nostri cari, per le persone che amiamo. ‘Ma io sono davvero felice?’ ci chiediamo ogni volta che vediamo un sorriso contagioso, ogni volta che siamo delusi da qualcuno, ogni volta che non arriviamo a quel risultato. Ma anche quando va tutto a gonfie vele, c’è sempre sotto quella domandina pungente: ‘Ma sei sicuro che la felicità stia tutta qui? Non c’è qualcosa di meglio, di più entusiasmante, non c’è qualcosa che ti riempie di più il cuore ?

Un giorno una giovane moglie con 2 figli mi cerca e trattenendo a fatica le lacrime mi confida che il marito in 4 e 4 : 8 le ha detto di non essere più felice, di aver bisogno di altri stimoli, di aver bisogno di conoscere altre persone, per cui lasciava la famiglia. Senza preavvisi, senza apparenti segnali; in pochi minuti ti crolla il mondo addosso. Ecco : ‘Ma io sono davvero felice?’ questa la domanda nel cuore di quell’uomo: anche se la soluzione che si è dato quel marito era molto discutibile.

Gesù parte da qui: non fa caso alle cattive intenzioni e alla sfida del dottore della legge ma prende spunto da quella domanda per parlare della vera felicità! Se vuoi davvero essere felice non passare oltre quando vedi un bisogno. Se vuoi essere felice, non guardare ai tuoi presunti bisogni, ma apri orizzonti, testa e cuore; se vuoi essere felice fai il contrario di ciò che pensano tutti: pensa più agli altri che a te. Se vuoi essere felice fai come quel samaritano, forse un poco di buono, con una cattiva reputazione, ma che rompe gli schemi, non passa oltre, si ferma, osserva, ascolta, ha compassione ( letteralmente: gli si contorcono le viscere), carica su di sé, paga di persona…. Ci mette la faccia.

Noi gli diremmo che è fuori di testa, che ha sbagliato tutto, che è meglio farsi gli affari propri e non farsi grossi problemi, tanto non risolvi niente!

Chi è il mio prossimo? Chiede il dottore della legge: domanda posta male! La domanda giusta è: come guardo gli altri? Che atteggiamento ho verso di loro? Cosa vuol dire per me essere felice? Queste le vere domande. Gesù ci direbbe: guarda gli altri senza giudicarli, con cuore aperto, col desiderio di farti loro vicino, attento, sensibile. Così fa questo Dio con noi.

Questa la strada verso la felicità: solo imparando a ‘prenderci cura gli uni gli altri capiremo che felicità non è piangerci addosso o accarezzarci davanti allo specchio ma gettare ancora le reti nel cuore di ogni fratello o sorella feriti nel profondo del cuore.

Sei Tu, Signore il vero samaritano della mia vita: tu ti fermi, ti prendi cura di me, fasci le mie ferite, lasci da parte i tuoi progetti perché il tuo vero progetto è la mia salvezza, il mio bene, la mia felicità. Un Dio così mi fa venire la voglia di rialzarmi, di ricominciare, di riprendere il cammino consapevole che ogni sorella , fratello che poni sulla mia strada è una occasione per incontrarti e per raggiungere davvero la felicità.

XIII domenica del T.O. - 26 giugno 2022

Domenica XIII anno C

Mi piace il tempo ordinario dell’anno liturgico: non disdegno certo la solennità del Natale, la gloria pasquale, o il cammino penitenziale della Quaresima. Ma il tempo ordinario è il momento della semina, della testimonianza, degli incontri occasionali che però ti aprono nuove prospettive; è un po’ come quando per strada, o sui mezzi pubblici, o in spiaggia o in un rifugio in montagna conosci per caso una persona interessante, che ti trasmette qualcosa di nuovo, che non ti aspetti; te la ricordi, racconti a tutti quell’incontro, ti arricchisce. Invece a volte in momenti ufficiali, a un ricevimento o una festa organizzata, non ‘accade’ niente, esci come sei entrato, forse peggio.

Così Gesù cammina con decisione verso Gerusalemme: sembra un momento ordinario, come gli altri, invece è l’occasione per realizzare il progetto del Padre, l’occasione per incontrare per strada molti fratelli e per capire cosa c’è nel cuore dei discepoli. La vita è fatta di sfumature, di particolari, di dettagli che fanno la differenza: Dio parla nei dettagli non nelle parate, nel vento leggero, non nell’uragano, Dio sussurra all’orecchio, non alza la voce. Gesù trasforma i momenti ordinari della vita in incontri che ti sconvolgono e ti toccano il cuore.

Nel suo cammino Gesù e i suoi sono rifiutati, non accolti: anche lui è rifiutato. Se è accaduto a lui, può accadere tranquillamente anche a noi: se ti accade che qualcuno ti chiuda la porta in faccia, non demoralizzarti, sei in buona compagnia!

Giacomo e Giovanni, i figli del tuono, si indignano: ‘Vuoi che facciamo scendere un fuoco dal cielo e li consumi’? Ammesso che riuscissero davvero a far scendere il fuoco dal cielo, la cosa comunque viene bloccata sul nascere da Gesù: lui non è venuto a condannare ma a salvare, non a incenerire i colpevoli col fuoco ma a incendiare i lontani col suo amore. Non era facile a quel tempo capirlo e seguirlo, non è facile nemmeno oggi per noi: lui è misericordia, non se la lega al dito, dimentica le offese ricevute e ricorda solo la sua misericordia.

Su quella strada, Gesù incontra tre persone, 3 tipi, 3 di noi con i nostri dubbi, attese, ansie, sconfitte e rinascite. A tutti e 3 dona una pillola, una parola, un seme che pone nel cuore invitando a farlo crescere e germogliare per la vita eterna. Primo seme: ‘Le volpi hanno le tane, il figlio dell’uomo e figlio di Dio non ha dove posare il capo’. Cioè: se nel Vg, nella chiesa, in Dio cerchi protezioni, sicurezze, un porto sicuro, hai sbagliato di grosso; lui ti dona una strada aperta, porte aperte e porte chiuse, lui ti dona il mare aperto per poter gettare ancora le tue reti. Non cercarlo per star tranquillo, lui non viene per rafforzare le tue posizioni e le tue idee, ma piuttosto per demolirle e abbatterle, per costruire qualcosa di nuovo!

Secondo incontro, secondo seme, Gesù dice : «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Era un dovere del buon ebreo seppellire, curare il corpo e magari dimenticare l’anima. Ma vuol dire di non continuare a tenere in vita ciò che è già morto: lascia il passato dov’è, non tornare indietro, guarda avanti verso la vita e non rimpiangere ciò che è morto in te e negli altri. Anche nella chiesa a volte c’è l’accanimento terapeutico e continuiamo a tener vive alcune tradizioni e riti del passato che non dicono più niente alla gente d’oggi. Il latino tanto caro a chi l’ha studiato non dice più niente nelle celebrazioni di oggi: anche tante tradizioni sono da purificare, trasformare mantenendone il cuore ma cambiando la forma, il modo. A volte facciamo anche fatica a tagliare qualche cordone ombelicale con un amico o un fidanzato che ci ha dato il ben servito, o con un figlio che si sposa o esce di casa, invece di guardare avanti e continuare a vivere quel rapporto nel modo giusto, considerandolo non morto ma vivo in modo diverso.

Terzo incontro, terzo seme: ‘Chi mette mano all’aratro e poi si volge indietro, non è adatto per il regno’. A volte siamo indecisi, partiamo sì ma col freno a mano tirato, usciamo di casa ma anziché partire per un pellegrinaggio, facciamo il giro del paese e poi torniamo a casa con la coda tra le gambe; a volte anche con Dio ci comportiamo così: quell’aratro dopo un po’ pesa, il solco non è profondo come vorrei, la fatica ti toglie il fiato e la speranza. Allora nascono i dubbi: avrò fatto la scelta giusta? Sarò all’altezza? E si rimpiange il passato, ci si volge indietro anziché inventare e sognare il futuro.

Il regno di Dio c’è, si diffonde, contagia tutto il mondo, ci dice questo Dio pellegrino sulle nostre strade: io sono venuto sulla terra per trasformare questo mondo in un paradiso. Hai bisogno di occhi nuovi, cuore nuovo, parole nuove per accoglierlo e diffonderlo innanzitutto in te e poi tra i fratelli. Il fuoco è già sceso dal cielo non per incenerire gli oppositori ma per donare lo Spirito ad ogni sorella, fratello.

Cammina ancora sulle nostre strade, Dio pellegrino, non guardare ai nostri tentennamenti ma continua a far germogliare il tuo regno in ogni cuore ferito e bisognoso del tuo fuoco di amore.

XII domenica del T.O. - Corpus Domini - 19 giugno 2022

Corpus Domini

‘Congeda la folla’ mandali a casa , che vadano a cercarsi il cibo, noi non possiamo farci niente. Gli apostoli non hanno soluzioni per risolvere i problemi di quei 5000 uomini. Anche noi, chiesa del 2000 non abbiamo tante soluzioni e mandiamo a casa, nel migliore dei casi diciamo: ‘Aiutiamoli ma a casa loro!’

Quanta gente anche oggi non cerca solo cibo, ma cerca casa, cerca qualcuno che li accolga come in casa, cerca sorelle e fratelli a che non giudicano, che accolgono che aprono solo una porta ma soprattutto il cuore: nell’era della tecnologia più sofisticata e della connessione con ogni parte del mondo, rischiamo ancor di più la solitudine e abbiamo ancor più bisogno di casa, di fratelli, di incontro, di... abbracci! La festa della Trinità di domenica scorsa ci ha ricordato che Dio è Padre, Figlio, Spirito che vuole abbracciare un mondo e una folla affamata di abbraccio, di accoglienza, di ‘far posto’, di 'prendersi cura’; doti rare oggi, ma anche al tempo di Gesù.

Cristo rilancia, come sempre, e invita a condividere: partendo da chi condivide pani e pesci, invita i suoi a condividere gioie e speranze, futuro e sogni: sarà Lui che veramente condivide ciò che ha o meglio ciò che è! Fate della vostra vita una condivisione, uno spezzarsi, un donarsi agli altri, fai della tua vita un pane e un pesce da donare; impara che solo donandoti cresci, diventi pienamente te stesso, solo il dono ti fa grande agli occhi di Dio e, non sempre, agli occhi dell’uomo. Questo è il vero miracolo: fai come Cristo, lascia che la tua vita sia a disposizione, spesa, donata, spezzata come un buon pane fragrante e profumato!

‘Tutto ciò che non è donato è perso’ conclude con questo proverbio indiano il libro: La città della gioia ‘in cui un prete francese vive per alcuni anni in uno slam di Calcutta condividendo con i poveri la miseria, il caldo torrido, la mancanza d’acqua, la sporcizia, ma anche tanta voglia di aiutarsi e sentirsi parte di una famiglia. Era andato per convertire ma è stato convertito a uno stile di vita fondato sullo slancio per diventare una sola grande famiglia; lo impara soprattutto quando incontra ‘La città della gioia ‘ in cui vivono insieme i lebbrosi insieme a una dottoressa: in mezzo a tanta sofferenza, capisce che quella gente era felice, serena perché erano una sola famiglia dove gioie e dolori erano sulle spalle e sul volto di tutti e tutti portavano i pesi degli altri e ci si sentiva come in una vera famiglia!

In questa festa del Corpo e sangue del Signore, è Gesù che si spezza, si dona, non tiene niente per sé: non c’è la parola moltiplicazione come ci hanno sempre insegnato ma ‘condivisione’; Eucarestia è la presenza di un Dio che condivide tutto di sé, non si risparmia ma ci mostra la via per diventare veramente uomini e donne amanti di ogni povertà e desiderosi di sfamare chi ha bisogno di casa, di cura, di affetto. Lui trasforma il deserto in una casa, in un giardino: nel vangelo di Giovanni e in Marco si dice che c’era molta erba in quel luogo: come un giardino che richiama il Paradiso.

Gesù dona il pane per il corpo, per nutrire il loro corpo ma soprattutto nutre l’anima: lui è il vero pane, il vero vino che ci accompagna nella nostra vita in vista del banchetto vero nel suo regno. Quanta fame hai di questo pane, quanto desiderio hai di fermarti, di accoglierlo, di lasciarti nutrire, di lasciarti trasformare in lui? Noi non solo lo riceviamo ma diventiamo noi stessi pane spezzato per i nostri fratelli. Non siamo ostensorio ma siamo mani aperte, occhi attenti a chi soffre, siamo parole di conforto, siamo piedi in cammino verso chi cerca casa, siamo cellulari per chiamare quell’amico là che non sento da anni, siamo sorrisi con chi gioisce, siamo lacrime con chi piange. La festa di oggi si prolunga per le strade, nelle case, nei cuori di molti fratelli e sorelle e ci fa Dio in mezzo agli altri: i nostri fratelli hanno diritto a questo pane, hanno diritto di ricevere questo Dio, hanno diritto di incontrare cristiani vicini, generosi, attenti, disponibili, innamorati: innamorati del vero pane e innamorati di loro, dei più lontani, dei senza futuro, senza casa, senza fratelli, senza volto.

‘Date loro voi stessi da mangiare’: non è l’ordine del generale verso le sue truppe, ma l’invito di un Padre attento ai suoi figli che chiede ai discepoli di dare la loro vita, di mettersi a disposizione, di spezzare la loro vita, di diventare pane per ogni fame del mondo.

Buona festa del Corpo e sangue di Gesù, buona trasformazione nel suo corpo e nel suo sangue per portare a ogni fratello un Dio sempre più innamorato di ogni figlio.

XI domenica del T.O. - 12 giugno 2022

S. Trinità

Abbraccio! Abbraccio è la Trinità: non tanti ragionamenti, non dimostrazioni, non fiumi di parole nel corso dei secoli ma abbraccio di un Dio Padre amante, Figlio amato, Spirito amore. Tutto qui.

Forse abbiamo dimenticato l’abbraccio della mamma quando eravamo bambini, o quando dopo una caduta, correvamo piangendo dal papà, o l’abbraccio di 2 innamorati, o l’abbraccio negato di chi rifiuta la nostra amicizia, o, peggio ancora, l’abbraccio non possibile di chi è stato ricoverato in ospedale durante la pandemia.

Abbraccio rimanda subito alla famiglia , teatro di mille intimità ma anche di furiose dispute e contrasti per accaparrarsi il favore dei figli, o una proprietà o semplicemente per rivalsa personale . Il nostro Dio vuol fare di tutta l’umanità una sola famiglia, un solo popolo, un solo corpo: siamo ancora lontani, siamo ancora nel fango delle trincee, siamo ancora alla conta dei morti e delle parole di odio ma non per questo ci perdiamo d’animo. La Trinità ha già vinto su satana e sul male ma questo non vuol dire che è tutto fatto: conosciamo la meta del nostro pellegrinaggio ma siamo ancora per strada, in cammino sotto il sole, col fiato grosso, con i piedi dolenti e il desiderio di arrivare tutti insieme.

Terminato il tempo pasquale, salito al cielo il Signore Gesù, ricevuto lo Spirito, siamo pronti anche noi come gli apostoli per partire verso i fratelli nel mondo: dopo averlo incontrato sul monte del calvario e aver ricevuto l’abbraccio bel cenacolo del nostro cuore, ora si spalanca davanti a noi la pianura assolata, brulicante di attività, bisognosa di essere inondata dall’acqua viva e rinfrescata dal soffio dello Spirito. Tanta apprensione: saremo degni di annunciare la Parola di vita ai pagani di oggi? Siamo capaci di custodirla nel cuore? Sappiamo amarci davvero per testimoniare con la vita che lo Spirito ci unisce? Sappiamo mettere in comune delusioni e gioie per unire le nostre anime? Saremo capaci di guardare in faccia i fratelli senza pregiudizi, togliendo prima la trave dai nostri occhi, sazi solo del desiderio di annunciare l’incontro con la sua parola e il suo pane di vita?

Se davvero siamo stati abbracciati dalla Trinità, allora niente ci fa più paura, niente ci lega, niente ci tarpa le ali ma ogni incontro diventa l’occasione per riscoprire che lo Spirito ci spinge oltre , la dove non avremmo mai immaginato, là dove ci sembra di seminare a vuoto e parlare al vento: non importa. Lo facciamo non per vedere i nostri risultati ma per obbedire a un mandato: ‘Andate e annunciate il Vangelo ad ogni creatura’

Se vuoi entrare nella logica di Dio , lasciati abbracciare, lasciati amare , fai esperienza di lui: prima vivi l’esperienza dell’ incontro con lui e poi capirai chi è, cosa fa, cosa ti dona, come vive. Dio non è dove e come vogliamo noi: c’è ma lo vedi a occhi chiusi, c’è ma lo senti col cuore, c’è ma lo scopri là dove non ti saresti immaginato; non nel cielo ma in mezzo agli uomini, là dove si ripete quell’abbraccio della Trinità. I primi cristiani hanno capito che Dio c’era sempre , ancora vivo, che Gesù era vivo più che mai e con lui nel cuore la loro vita sarebbe rifiorita, risorta per sempre.

‘Ho ancora molte cose da dirvi ma per il momento non potete portarne il peso’: è un po’ come cercare di guardare il sole senza lenti scure : non ci riesci, non reggi, non sei capace di portare il peso, l’intensità della luce del sole. Così non siamo capaci di guardare in faccia Dio, la sua luce, la sua bellezza, il suo amore troppo grande per noi! Verrà il momento in cui saremo capaci di portarne il peso: ‘Quando verrà lui. Lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità… e vi annuncerà le cose future’. Abbiamo bisogno di questa verità su noi, su Dio sul mondo, abbiamo bisogno di questo Padre amante, Figlio amato, Spirito amore per raccontare questo amore nel mondo.

Abbiamo bisogno di questo abbraccio per abbracciare ogni sorella e fratello che si sente solo , deluso, disperato: ecco la ricetta di Dio per salvare il mondo: due braccia allargate, un sorriso, una porta aperta per dare una possibilità a chi non ce la fa più, a chi è scappato via, a chi ha commesso uno sbaglio per fargli capire che una caduta non è la fine di tutto ma in Dio può essere l’inizio di una vita nuova.

Buon abbraccio nella famiglia che si chiama Trinità.

Ascensione - 29 maggio 2022

Perché ci hai lasciato?

Parte ancora questo Dio. Lascia i suoi e noi, e parte. Ascende, sale al cielo. Un senso di smarrimento per gli apostoli e per noi oggi. Tutto finito.

Una domanda inquietante: perché li hai abbandonati e abbandoni noi oggi, tua Chiesa, in balia di un mondo che va alla deriva. Abbiamo ancora bisogno di te, non erano pronti gli apostoli, non siamo pronti noi oggi, perché ci abbandoni?

Molti lupi rapaci sono pronti a distruggere l'ovile e azzannare le tue pecore, molta zizzania nel campo della Chiesa rovina il raccolto oggi già scarso, molti personaggi loschi si aggirano attorno ai nostri ragazzi e giovani e rischiano di portarli sulla famosa cattiva strada!

Perché li hai lasciati e perché ci hai lasciato? Se tu fossi rimasto, la Chiesa non si sarebbe divisa, non ci sarebbero state le eresie, niente crociate o guerre sante (come fa una guerra a essere santa ???); e oggi non ci sarebbero altre religioni, niente guerre, niente razzismo, niente stragi americane o europee, … e niente divisioni tra noi, niente chiese vuote, tutto risolto, tutto chiaro, tutto più facile, tutto a posto, con una guida sul campo come te, niente ci farebbe paura, tutti uniti, tutti convinti, tutti collegati on line solo con te, tutto in ordine, come piace a noi. Invece...

Invece no, Tu parti, lasci.

Ma se invece tu volessi dirci qualcosa d’altro che non rientra nei nostri piani? Se tu volessi dirci che adesso tocca a noi, che tocca a noi esserci, starci, restare uniti, seminare il tuo Vangelo? Se ci dicessi che tocca a noi costruire questo regno nel mondo, amandolo come hai fatto tu? Se ci dicessi che tu ci sei sempre con il tuo Spirto santo a guidarci e tocca a noi ascoltarlo e capire cosa ci sta dicendo? Se ci dicessi che tocca a noi annunciarti con i nostri volti , con le nostre facce al lavoro, nelle scuole, nelle strade, negli ospedali, nei luoghi della politica, nei discorsi al bar, tar i ragazzi, accanto a un anziano ammalato?

Se ci dicessi come ai 2 di Emmaus che devono accadere queste cose per realizzare il tuo regno e ci affianchi e ci spieghi le grandi opere del Padre tuo. E se ci dicessi che tu parti perché ti fidi di noi, perché scommetti sulla tua Chiesa, perché lasci i tuoi tesori nelle nostre nani peccaminose e chiuse, se volessi dirci che in realtà sei nel Cenacolo del nostro cuore, più vivo e presente che mai, pronto a ricordarci che sei sempre innamorato di noi? Se ci dicessi che questo mondo che a volte noi odiamo, tu lo ami ancor di più e ci inviti ad amare e perdonare il traditore, l’assassino, il violentatore e a trasformare il male in bene, come hai fatto tu?

Se ci dicessi che vuoi i tuoi discepoli di ieri e di oggi fuori del tempio per fare di tutto il mondo un tempio, una casa , una famiglia perché ogni uomo è tuo figlio, amato, accolto? Se volessi dirci proprio questo?

E’ proprio questo che ci annunci oggi nella festa della Ascensione: ‘Uomini di Galilea, perché continuate a guardare il cielo? Questo Gesù… verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo’. Questo ci consola: ti rivedremo, ti incontreremo ancora e sarà festa senza fine. Allora non ci sentiamo orfani, non ci sentiamo abbandonati perché possiamo incontrarti in ogni volto, in ogni piazza, in ogni luogo, nel cuore di ogni fratello sorella disperato, deluso, affranto come pure in ogni momento di felicità e di gioia.

Siamo Chiesa di Ascensione e di Pentecoste: non chiederti : ‘Dove sei andato Signore, perché ci hai lasciato?’ Ma ringrazia perché il nostro Dio innamorato ha scelto noi per essere Dio in mezzo agli uomini, per amarlo ancor di più e per trasformare questo mondo in un nuovo Cenacolo , ogni croce in germe di resurrezione, ogni caduta in un nuovo inizio.

Buona Pasqua allora sorella fratello, buona Ascensione , buona Pentecoste: da quando se ne è andato, questo Dio è ancor più vicino, più vivo che mai perché invita noi a essere chiesa, nel cuore, nella vita di ogni uomo.

VI domenica di Pasqua - 22 maggio 2022

"Che cosa sarà di noi?"

Ancora all’ultima cena. Giuda se n’è andato: sogni infranti, speranze deluse, rimpianto nel cuore e quella domanda angosciante. ‘ che cosa sarà di noi?’ La Pasqua per loro non è ancora arrivata, all’orizzonte solo la croce , non la resurrezione. Mi viene spontanea una domanda: noi che abbiamo già visto il risorto, che lo abbiamo incontrato, quanta speranza abbiamo nel cuore? Quanta fede? Quanto Spirito santo?

Forse siamo anche noi come gli apostoli ancora alla ricerca del risorto, dei suoi passi, della gioia che solo lui sa donare: ogni giorno dobbiamo ‘fare Pasqua’.

Gesù saluta i suoi , li lascia , lascia il Cenacolo ma dice che li incontrerà in un altro cenacolo, più intimo, meno affollato, più silenzioso: il cenacolo del cuore , nel profondo della loro anima. E’ li che lo possiamo incontrare questo ‘ospite dolce dell’anima’ come pregheremo nella sequenza di Pentecoste. Dio non si merita, non si conquista , non si raggiunge : Dio si ospita! Dio lo puoi solo custodire nel cuore, non lo crei tu, se mai lo inviti. Come un fiore: non lo crei, non lo inventi, lo puoi solo custodire, proteggere , contemplare, oppure distruggere.

Ma accade l’imprevisto: escono dal cenacolo, mentre vanno ad annunciare che lo avevano incontrato , Gesù lo sentono vivo, accanto a loro, vivo più di prima, in modo diverso. Una presenza nascosta ma reale: dava loro una forza incredibile , inattesa. Più si fidavano e più la forza , il coraggio aumentavano: ecco il vero miracolo per loro e per noi! Quando ti fidi di questo Dio , quando butti alle spalle tante domande, quando ti lanci, lo senti dentro vivo ancora di più, lo senti fuoco che riscalda, luce che ti guida, carezza che ti conforta. Quando continui a chiedere, a porre dubbi, a ripiegarti su te stesso, a dire : ‘mah, sarà vero? Dov è? non lo vedo! Voglio dei miracoli…’ Ecco questo è il modo migliore per perderlo e ucciderlo dentro, nel tuo Cenacolo!

Dio cerca casa , cerca nuovi cenacoli oggi per risorgere e donare la sua presenza, cerca comunità vive e accoglienti, cerca delle case dove la presenza di Dio la tocchi con mano, cerca cuori innamorati di Lui, cerca occhi che lo vedono nel mondo, che, con il dono della sapienza lo sanno trovare nella vita di ogni giorno, nei drammi e nei sorrisi donati gratuitamente. Non ci sarà e non c’è più nel corpo ma c’è di più nell’anima, più vivo di prima.

La parola chiave di questo vangelo: ‘dimora’ . Un Dio dentro, da custodire , da amare, da regalare: questa la nostra forza ma anche la nostra responsabilità! Come un gioiello prezioso, come una sorgente limpida, come un ricordo di tuo papà , tuo nonno o un amico che prima di morire te l’ha donato dicendoti: ‘Abbi cura di questa cosa , custodiscila, ti ricorderà che io sono sempre con te!’ Così Gesù affida ai suoi non qualche oggetto prezioso ma affida lo Spirito santo , dentro, che dimora sempre con noi , ce lo fa sentire vivo : Gesù non è con noi, non per noi ma IN noi, nei sacramenti , diventiamo noi Dio, diventiamo quel Dio donato , regalato, innamorato.

Allora anche noi dimoriamo nel mondo , dimoriamo nel cuore dei fratelli e sorelle, prendiamoci cura e diciamo loro: ‘Non ho nulla da offrirti ma ti regalo la cosa più preziosa che ho: Dio in me.

Così Dio vive oggi, così dimora nella Chiesa nelle comunità , nelle nostre case, nei posti di lavoro, accanto a chi si è spento e ha bisogno di essere ancora acceso incendiato dal suo fuoco d’amore.

Allora ‘Non sia turbato il vostro cuore’: non sarà turbato, non saremo in preda dell’angoscia, all’ansia, non ci sentiremo abbandonati se lo custodiremo vivo in noi.

Gesù parte perché l’uomo parta, vada nel mondo : amare è farsi da parte, cedere il passo, considerare l’altro al primo posto, è amare questo Dio a tal punto da pensarlo più importante di me; un Dio che ‘dimora’ in me, che mi trasforma in lui , che mi permette di diventare lui e di vivere nel mondo con la gioia e la responsabilità di renderlo presente, vivo , più di prima , più che mai!

Dimora in me , nella Chiesa , Dio Spirito santo: ‘vado e tornerò da voi’! Sei partito ma ritorni in noi in modo nuovo: fecondando la nostra terra arida e facendo fiorire finalmente uomini e donne nuovi.

V domenica di Pasqua - 15 maggio 2022

Un Dio in perdita

Il Vangelo di oggi fa un balzo all’indietro: dagli incontri del crocifisso risorto si ritorna all’ultima cena nel momento in cui Giuda, ormai organizzato il tradimento, lascia i suoi, e Gesù. Momento drammatico di grande tristezza come quando un amico ci lascia, ci abbandona, o un amore finisce… un velo di grigiore cala e oscura tutto. Chi ha provato questi momenti sa che cosa vuol dire: ti poni tante domande, ti metti in discussione: “Cosa ho sbagliato? Perché è andato via? Per favore parliamo, proviamo ancora, cerchiamo di vedere dove abbiamo sbagliato!”

Finché si gira pagina con amarezza nel cuore dicendo: “Le ho provate tutte, doveva andare così, rassegnati”.

Invece Gesù dice ORA! Adesso è la gloria di Dio. Dio è stato glorificato (5 volte c’è la parola “gloria” in questo brano), cosa significa? Perché Gesù parla di gloria? È più una sconfitta, una disfatta che una gloria! Un fallimento: Gesù con Giuda, e non solo, ha fallito; cosa c’entra la gloria?

C’è Gloria e gloria: quella del mondo è la gloria dei grandi risultati, del massimo profitto, dei bilanci in positivo, delle passerelle, dei grandi premi delle folle ai concerti, degli applausi a scena aperta: la gloria di Dio è un’altra cosa. Per lui la gloria è amare senza misura, continuare ad amare proprio chi se né andato via sbattendo la porta, per lui Gloria è lasciare le 99 pecore e cercare quella che si è perduta, è aspettare il ritorno del figlio che se n’è andato via per regalargli il perdono, per lui Gloria è incontrare ancora Tommaso e mostrargli le ferite per restituirgli la fede, Gloria è amare in perdita senza profitto, senza portare a casa niente! Questo è Dio: ogni volta che facciamo i nostri calcoli: “quanti siamo? Abbiamo raggiunto l’obiettivo? È andata bene quella riunione? Ci siamo ancora tutti? Abbiamo perso qualcuno?” Lì Dio scappa via non ci sta ai nostri schemi. Lì di gloria non ce n’è lui preferisce chi non fa tanti calcoli, chi ci riprova chi ama come fa lui, chi mette al centro l’uomo, l’uomo della strada, l’uomo con le sue piaghe, con la sua storia, per lui Gloria è non dire “non c’è più niente da fare, chi capisce che l’amore vero inizia quando l’altro non se lo merita più"!!!

Dove c’è amore in perdita, lì c’è la Gloria di Dio! Non nelle processioni, nei raduni di migliaia di giovani, nelle dichiarazioni ufficiali, non nelle crociate di oggi contro qualcuno: vuoi proclamare al mondo la gloria di Dio? Ama in perdita, ama perché ti piace amare, ama perché fa bene a te, ama perché Dio ama, TI ama!

Il vero peccato di Giuda non è il tradimento ma l’aver calcolato tutto, anche il rapporto con Gesù: e siccome si sentiva tremendamente in mancanza, non poteva far altro che togliersi la vita. Per lui Gesù era un Messia giustiziere non il Figlio di un Dio che osa perdonare anche i traditori. Anche noi diventiamo Giuda ogni volta riduciamo Dio ai nostri volgari calcoli umani, ogni volta che barattiamo il suo amore senza fine con i nostri regalini tristi, magari riciclati più volte!

Ma tutto ciò è solo una premessa alla vera opera d’arte di questo Vangelo, solo un delizioso antipasto prima del piatto forte: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri…” Non è l’undicesimo comandamento, non è un ennesimo precetto da aggiungere alla lista ma è la chiave per entrare nella casa di Dio, l’alfabeto per comporre parole d’amore, il primo respiro a pieni polmoni dopo mesi di ospedale, la promessa di un Dio che ci fa nuovi, ci ridona la somiglianza a sé stesso. La Gloria di Dio, eccola: ama come lui fa con ogni figlio, soprattutto con quello più scapestrato, più traditore!

Amare fa bene a chi ama più che a chi riceve l’amore: questo è il senso; invece noi crediamo che amare sia pareggiare i conti, che sia dare e ricevere, crediamo che significhi donarmi a chi lo merita, ai familiari e basta. Dio guarda oltre addirittura a considerare ogni donna e ogni uomo membro della sua famiglia!

Amarci gli uni gli altri, questo è il compito principale di una comunità: la vera gloria, la vera gioia e speranza sta proprio qui: amarci un po’ di più, far spazio al fratello alla sorella nel tuo cuore, dilatare il nostro cuore fino ai confini del mondo per far posto a tutti, soprattutto a chi è in deficit di amore. Qui sta la gloria vera di Dio: vuoi far felice Dio? Incomincia tu ad amare proprio quando e dove lo fai in perdita, senza ricompensa, senza capirci niente: allora Dio fa festa, Dio salta di gioia, Dio è felice quando qualche suo figlio imita IL FIGLIO che dal cenacolo, dall’ultimo sguardo a Giuda, dall’ultimo respiro in croce ha amato i suoi fino alla fine.

IV domenica di Pasqua - 8 maggio 2022

Nessuno ci strapperà dalla sua mano

Di solito preferiamo la Quaresima al tempo pasquale: identifichiamo di più la vita di fede con i sacrifici con la croce, con qualche rinuncia (I famosi fioretti…) anziché con la luce della Pasqua, con la resurrezione, con il Cristo che affianca i suoi nelle fatiche, nelle delusioni, nelle sconfitte della vita. Ci smuove di più il venerdì santo che il mattino di Pasqua. Forse perché associamo a Dio più la sofferenza che la gioia. Eppure siamo fatti per la luce della Pasqua non per il buio del sepolcro, siamo fatti per la vita vera, non per la morte, siamo fatti per risorgere dopo ogni caduta e non per fermarci alla croce.

Oggi riecheggiano ancora le 3 domande di Gesù a Pietro: “Mi ami Pietro? Mi ami? Almeno mi vuoi bene?” Tre domande impellenti che hanno inchiodato Pietro alle sue responsabilità: ma Gesù non accusa, non punta il dito, non fa l’offeso: Lui è il Dio dell’amore e non sta nei nostri schemi. Alla fine: “Seguimi”. Anche per noi ci sono quelle 3 domande forti e taglienti, domande alle quali prima o poi non possiamo sfuggire nella vita: mi ami? Almeno un po’ mi ami? Sei capace di buttare in aria la tua vita per un amore? Hai capito che la cosa più bella nella vita è non tenere per sé, non accaparrare non dire “questo è mio” ma dire: “ti dono quello che ho e che sono”? Seguilo su questa strada e la tua vita risorgerà adesso, qui.

Anche le pecore nel Vangelo di oggi seguono il pastore; “Io le conosco ed esse mi seguono”. Ma afferma anche: “Ascoltano la mia voce”. Udiamo tante voci, tanti rumori ma ascoltare è un’altra cosa. Ascoltare è fermarsi, decidere di mettere l’altro al centro, far spazio, intuire i suoi sentimenti, entrare nel cuore, nella vita e percepire che cosa evocano in me quelle parole. “Ascolta Israele” così inizia la preghiera ebraica: fermati e ascolta, non scappare come fai sempre.

Così hanno fatto Paolo e Barnaba negli Atti degli apostoli: hanno ascoltato lo Spirito, hanno ricordato le parole di Cristo e annunciano a tutti la salvezza. “Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi (giudei) la Parola di Dio ma poiché la respingete…ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci aveva ordinato il Signore”. Paolo e Barnaba mettono a rischio la propria vita pur di proclamare questo Vangelo, questa Parola; i giudei vicini rifiutano mentre i pagani lontani accolgono. Pensiamo bene a questo: possiamo essere noi quei vicini cresciuti in famiglie cristiane, catechismo, sacramenti, tutto in regola ma che diciamo “No, grazie, ho altro da fare, non mi interessa”. Oppure possiamo trovare altri a cui annunciare noi la Parola, visto che molti la rifiutano, non la accolgono!

Ma oggi al centro del Vangelo domina la voce del pastore, la voce che vibra e da colore alle parole: tutto dipende dal tono della voce. La voce della mamma che fin da piccoli ci chiama alla vita, la voce e i rumori che sentivamo ancora nella pancia della mamma, richiamo alla vita al bisogno di nascere, di risorgere. La voce di un innamorato che ti sussurra parole delicate all’orecchio ti conquistano e ti affascinano, ti invitano a partire. La voce di questo pastore oggi vogliamo ascoltare, mettere al centro, imparare a fidarci: in mezzo a tante voci sappiamo riconoscere una voce amica; in mezzo a voci discordi abbiamo la voce di Dio che ci invita a seguirlo.

Infine conclude il pastore: “Nessuno le strapperà dalla mano del Padre”. Un giorno durante un corso per il Battesimo, un papà chiede: “ma perché dobbiamo battezzare i figli così piccoli?” Ecco la risposta: “Perché così nessuno e niente li strapperà dalla mano del Padre!” Nessuna lontananza, nessun peccato, nessuna malattia, nemmeno la morte li strapperà, saranno sempre in quelle mani dolci, forti, calde. Ecco la sorte del cristiano: siamo nelle mani di Dio! a volte diciamo questa frase con un senso di rassegnazione, invece è la nostra salvezza, la nostra vita! Siamo certi di questo che nessuno ci strapperà dalla sua mano, a meno che decidiamo noi di scappar via: allora lui ci lascia liberi, apre la mano e non ci trattiene. Questo è il nostro Dio.

O Signore pastore bello e buono, a volte ci vien voglia di ascoltare altre voci, scegliere altri pastori, scappar via: invece solo con te siamo al sicuro nelle tue mani e nulla ci strapperà da te! Insegnaci a seguirti e ad ascoltarti perché in mezzo a mille altre voci, la tua ci fa sentire figli amati, protetti salvati da una vita inutile, vuota, chiusa nel sepolcro anziché aperta alla resurrezione.

III domenica di Pasqua - 1 maggio 2022

Mi ami?

Mi vuoi bene? Chiede Gesù a Pietro e a ciascuno di noi. Quanto mi vuoi bene? Non quante Messe, quanti rosari, quanti soldi, quante iniziative hai portato avanti; ma quanto mi vuoi bene? Sta tutto lì! E questa è la vera domanda che dobbiamo farci quando ci confessiamo: Quanto ti voglio bene Signore? Quanto ti ho visto nel cuore di un amico, di un fratello, quanto ti ho cercato, quanto il tuo pensiero mi ha fatto risorgere, quanto di te mi manca, quanto la tua Parola mi fa star meglio, mi fa vivere meglio, mi fa vedere il sole anche nella bufera: mi fa gettare ancora le reti dopo mille notti senza alcun pesce, senza frutto, senza risultati, senza entusiasmo, senza gioia.

Per la terza volta in Giovanni Gesù si mostra vivo, li incontra, cerca, ricomincia: sono i giorni della svolta, del cambiamento, della conversione. Ma anche giorni impegnativi in cui apostoli e discepoli si ritrovano, dopo lo smarrimento e il terrore della croce, della morte e della presa di coscienza del tradimento! Noi lo abbiamo rinnegato, dimenticato, non siamo stati amici fidati, anzi, nel momento del bisogno, noi siamo scappati via terrorizzati! E lo abbiamo dimenticato.

“Come posso incontrarlo, cercarlo ancora, io che l’ho abbandonato: non merito niente” ha pensato Pietro.

Deluso e amareggiato, Pietro torna a pescare: non a pescare uomini, come gli aveva detto Gesù. Torna alla vita di prima per dimenticare, per metterci la famosa pietra sopra, per accontentarsi del minimo sindacale, per chiudere la parentesi di quella bella/brutta storia finita male di Gesù.

Eppure… eppure non può finire tutto così! Come una bella storia d’amore in crisi profonda: i 2 si chiedono non può finire così! Per Pietro era finita così: per Gesù NO! Lui riparte, rinnova, ricrea, riconcilia, risorge!

La nostra fede ha inizia a essere vera e forte quando vede il Signore nei piccoli gesti e fatti di ogni giorno, quando lo percepiamo vicino a occhi chiusi, quando solo il suo pensiero mi dà speranza e respiro…. Pietro aveva perso ogni speranza infatti afferma: “Io vado a pescare!”. Cioè: io ritorno indietro, Gesù non c’è più, è morto, tanto vale tornare a casa, alla vita di prima, tanto vale riprendere le reti e ritornare a essere pescatore non di uomini ma di pesci: rinuncio, non ci credo più (ammesso che prima Pietro ci credesse).

Pietro torna a pescare, preferisce la sicurezza di quei pochi pesci rispetto all’insicurezza della parola di Cristo che gli disse: diventerai “pescatore di uomini”. Finché non lo riconosce e non si getta in acqua cioè finché non si immerge completamente nel mistero, finché non si decide a lasciare le certezze della terraferma e non si lancia nel mare dell’amore del Signore, Pietro rimane pescatore di pesci, rimane schiavo, non si lascia risuscitare…

Solo la fede di Giovanni che grida “È il Signore” lo smuove, lo risveglia: finché non incontriamo qualcuno che ci dice: “Guarda che il Signore è qui, con te, guarda che è vivo, guarda che puoi risorgere, allora saremo sempre schiavi dei nostri dubbi e fallimenti, saremo sempre sulla riva incapaci di buttarci”.

“Figlioli, non avete nulla da mangiare?”. Il Risorto non li rimprovera, non rinfaccia i tradimenti, non fa la conta di chi è rimasto o chi se n’è andato. Il risorto si preoccupa per loro, si prende cura, conosce il loro cuore di pietra ancora una volta. Li aspetta per poter iniziare ad annunciare a tutti la bella notizia.

E infine le tre domande a Pietro: brucianti, taglienti ma amorose. Come 3 erano stati i “Non lo conosco” nella notte più buia della sua vita. Pietro mi ami più di questi? E Pietro risponde “Ti voglio bene”. “Pietro mi ami?”. Pietro è sincero non sa rispondere “Ti amo”, al massimo vuol bene al Signore. La terza volta Gesù abbassa il tiro: “Pietro mi vuoi bene?” Almeno mi vuoi bene? So che non riesci ad amarmi… Ti aspetterò, finché ti butterai e imiterai il mio amore per te.

Sei capace di dirgli “Ti amo” o sei solo al “Ti voglio bene”? Magari nemmeno a questo arriviamo: ma Lui sa abbassare il tiro, rallenta per mettersi al nostro passo, non ha programmi da rispettare, obiettivi da raggiungere, consegne da effettuare: a lui sta a cuore il mio cuore, il tuo cuore perché batta al ritmo del suo. A lui sta a cuore la mia pace, la mia serenità, la mia gioia e sa che la trovo solo quando sono capace di spogliarmi come Pietro delle mie certezze e buttarmi nell’acqua della sua grazia.

Allora “Seguimi” dice a Pietro, a te, a me: seguimi ogni giorno, a occhi chiusi, per cercare i miei passi, per ascoltare il mio invito, per capire che quel Cristo sarebbe capace di andare ancora in croce per salvarmi, per abbracciarmi e per farmi finalmente risorgere!

II domenica di Pasqua - 24 aprile 2022

Nostro gemello

E Dio riparte, ricomincia a scrivere la sua storia. Parte dal mattino di Pasqua, dalla corsa delle donne, dal loro annuncio ai discepoli. Parte da Pietro e Andrea che corrono anche loro e vedere, a capire cosa era successo, a riannodare i fili della storia, la storia del crocifisso, ora risorto. Dio riparte dai due discepoli di Emmaus, delusi che scappano via da Gerusalemme per dimenticare quel messia che li aveva delusi e traditi: ma in quella fuga il risorto li affianca, li ascolta, spiega le scritture, spezza il pane e riscalda il loro cuore. E il nostro! Dio riparte dalle nostre guerre, si aggira tra le macerie, è a fianco di ogni sofferenza e si prepara a ripartire a scrivere una nuova storia di pace: come i due di Emmaus siamo anche noi sfiduciati, delusi, increduli, incapaci di riconoscerlo, incapaci di pensare alla pace. Saremo all’altezza della sua altezza? Sapremo costruire dei ponti e non dei blocchi opposti, guarderemo oltre? Saremo capaci di risorgere dopo questa ennesima caduta dell’umanità?

Oggi è la volta di Tommaso, Didimo, gemello: qualcuno dice gemello di Cristo; molto meglio gemello nostro, dei nostri dubbi, delle nostre assenze come pure dei nostri generosi slanci di fede. Gesù appare vivo, sta in mezzo, è lui il centro, non noi! Dona la pace, e lo Spirito santo a quel tempo e oggi. Ma Tommaso non c’è quando appare Gesù. Al suo ritorno, i discepoli gli annunciano: “Abbiamo visto il Signore”. Ma Tommaso non crede: certo, come faceva a credere a chi ha dimenticato Gesù, a chi lo ha tradito e rinnegato, a chi è scappato via dal Golgota. “Come faccio a credervi? Quali segni mi date?”

Tommaso cerca i segni, i passi del risorto: è autentico Tommaso, non è l’incredulo che molti pensano, cerca veramente il Signore, ha bisogno ancora di abbracciarlo, di ascoltare le sue parole di vita e di toccare con mano che Lui è vivo. Gesù lo attende, lo aspetta al momento opportuno per mostrare i segni del suo amore: Dio sa pazientare, sa aspettare i nostri ritardi e anche i nostri ritorni. E quando Gesù apparirà dopo 8 giorni, Tommaso non toccherà il petto e le mani del Signore ma si metterà in ginocchio dicendo: “Signor mio e Dio mio”.

Tommaso risorge, come il Cristo: ma noi siamo risorti o ancora un po’ nel nostro bel sepolcro dorato? Facciamo fatica a buttar via i teli della nostra vita consueta, dei nostri dubbi, dei nostri… chissà! Siamo pronti a fare pasqua o vogliamo anche noi ungere un cadavere e restare schiavi del sepolcro, delle nostre paure, della nostra incredulità? Sei pronto a passare dalla paura alla fede, dalla guerra alla pace, dal dubbio alla speranza, dalla tristezza alla gioia? Sei pronto come Tommaso a gettarti in ginocchio e a supplicare la sua pace, la gioia nel cuore, la forza che solo lui sa dare?

Gesù è risorto: ora tocca a noi risorgere!

Possiamo diventare noi quei beati di cui parla Gesù: “Beati coloro che non hanno visto e hanno creduto”.

Nel pellegrinaggio con gli adolescenti a Roma, abbiamo cercato alcuni segni della fede dei cristiani nel corso dei secoli. Ci hanno impressionato le catacombe dove venivano sepolti i cristiani: i simboli incisi nella roccia ci dicono una fede che li sosteneva nelle persecuzioni. Eppure i primi cristiani si riunivano, pregavano rischiando la vita, venendo denunciati, catturati e torturati: i simboli del buon pastore, le iniziali della parola Gesù in greco, il pesce disegnato che serviva a riconoscere se l'altro era un cristiano o no… Nonostante torture e morte, i primi credenti dichiaravano la loro fede nel risorto e questa fede li sosteneva.

Santa Cecilia, legata, bendata, mentre veniva uccisa, con la mano faceva il numero 3, la trinità e solo quel pensiero la incoraggiava. Dicevano che il sangue dei martiri era il seme per nascere nuovi cristiani. Sulle tombe dei pagani c’era scritto: questa è l’ultima dimora sulla terra; sulla tomba dei cristiani c’era scritto: questa è la dimora di passaggio verso l’eternità!

Ecco i segni che abbiamo trovato a Roma ma anche quando la guida ci ha detto che il Papa in visita alle catacombe gli ha raccomandato: “Devi dire a tutti che le persecuzioni ci sono ancora oggi, che i cristiani vengono uccisi ancora a causa della loro fede! Dillo a tutti!”

Tocca a noi cercare i segni del risorto: cercali tu, cerca dove vuoi, cerca con tutto il tuo impegno perché da quei segni dipende la tua resurrezione, la tua Pasqua oggi, nel nostro mondo.

Ma c’è dell’altro: Tommaso poi è andato in India ad annunciare il risorto e la è stato ucciso: a noi non è chiesto tanto ma ci è chiesto di diventate noi un segno, diventare testimone della presenza del risorto oggi. Qualche sorella o fratello sta cercando dei segni: sta cercando te, sta cercando me.

Sta cercando i passi del risorto: si pronto: servono mani nuove, occhi nuovi, cuore nuovo per trasformare ogni sofferenza in inizio di gioia, ogni fine in nuovo inizio, ogni guerra in inizio di pace!

Pasqua - 17 aprile 2022

C’è ancora tutto da fare!

Questa sera (oggi) vorrei fermarmi con voi ad ascoltare le donne in quel primo giorno dopo il sabato, di buon mattino mentre corrono al sepolcro e si recano alla tomba; hanno in mano gli aromi per ungere il cadavere di Gesù e prepararlo alla sepoltura. Gesti che indicano una grande passione, gesti fatti con le lacrime agli occhi, con la rassegnazione di chi tocca con mano la morte, la fine: e non una morte per malattia, o un incidente, ma una morte per omicidio, una condanna ingiusta, per di più in croce, la condanna dei delinquenti, dei peggiori assassini! Nei loro occhi, nei loro sguardi la rassegnazione, la disperazione: tutto è finito! Era bello prima, adesso non più!

Anche “Giuseppe d'Arimatea si fece coraggio, si presentò davanti a Pilato e gli chiese il corpo di Gesù”. Era un notabile e ricco Giuseppe di Arimatea, anch'egli discepolo di Gesù, ma in maniera nascosta, per timore dei giudei. Marco annota: “fattosi coraggio, si presentò da Pilato”: in realtà non ci vuole un gran coraggio a chiedere un corpo morto, un cadavere, ci voleva il coraggio prima per chiedere la sua liberazione, per opporsi alla folla, per dire che non aveva commesso alcun crimine; quello sarebbe stato coraggio, ci sono degli amici che prendono posizione solo quando non c'è più niente da temere, ma sappiamo bene come vanno queste cose. “E lo depose nel suo sepolcro nuovo” addirittura Giuseppe offre il suo sepolcro: non poteva ospitarlo a casa ma lo ospita nel sepolcro.

Sembra di leggere nel volto di Giuseppe mentre si pulisce le mani e asciuga il sudore, come nei commenti delle donne: “Tutto è finito, non c'è più nulla da fare! Noi abbiamo fatto una buona azione! Di più non si può!”

Qualcuno se n’era già andato prima, qualcuno ha negato di conoscere Gesù, qualcuno ha gettato la spugna.

Ecco, noi arriviamo fin qui, e diciamo: non c'è più niente da fare! Dobbiamo rassegnarci! Tutto prima o poi finisce e non abbiamo soluzioni. Il terrorismo ci sarà sempre; la guerra è ritornata, quanto dolore, quanta disperazione; oppure pensiamo che quella famiglia lì ormai è rovinata, non c'è più niente da fare: l’unica soluzione è separarsi; quel ragazzo ne ha già combinate troppe, ora è in carcere, gli sta proprio bene; i ragazzi in chiesa non vengono più, dopo la Cresima chi partecipa tutte le domeniche? Non c’è più niente da fare; quanti matrimoni finiscono prima del tempo, quante separazioni, non c'è più niente da fare; non ci sono più preti e suore, i seminari si vuotano, la Chiesa non durerà ancora per molto! Non c'è più niente da fare; quello lì non cambierà mai, non c’è più niente da fare; poi il lavoro, e tante altre situazioni. Ecco noi arriviamo fin qui: non c'è più niente da fare! Anche noi siamo come le donne e come Giuseppe, fermi lì inchiodati dai nostri occhi, dalla poca fede, dal vedere le cose secondo i nostri schemi, la nostra testa, non ne usciamo più! Condannati alla disperazione, alla fine, senza via d' uscita!

Ma là al sepolcro quel giorno è accaduto qualcosa: il corpo non c'è più, due uomini dicono: “Perchè cercate tra i morti colui che è risorto?” Alcune donne dicono di averlo incontrato, ricordano che Gesù aveva detto loro che dopo 3 giorni sarebbe stato vivo per sempre!

Da qui ricomincia Dio: noi ci fermiamo prima, lui riparte da qui. Riparte quando diciamo quella frase che abbiamo stampata in testa: “Non c'è più niente da fare”; ma lui la trasforma così: “C'È ANCORA TUTTO DA FARE”! Per Dio c'è da fare il mondo nuovo, c'è da vivere con speranza. Nelle mani di Dio, i segni come la tomba vuota ma soprattutto il grande cambiamento dei suoi amici dopo la morte ci dicono chiaramente che C'È ANCORA TUTTO DA FARE! Oggi risorge la speranza ma non la nostra speranza umana: quella di guarire da una malattia, di un amico che spero mi rivolga ancora la parola, la speranza di trovare il lavoro, no, questo è ottimismo, importante, bello, ma non c’era bisogno di Dio per capire che l'ottimista affronta le cose nel modo giusto!

La speranza del Risorto è un’altra cosa: la speranza vera supera la ragionevolezza e si spinge nel terreno dell'impossibile, se non mette in discussione tutto, non è vera speranza! La speranza cristiana ti fa dire che anche di fronte alle tragedie che ci circondano Dio dice: “c’è ancora tutto da fare!” Non rassegnarti, Dio ricomincia tutto, Dio c'è ancora, c'è sempre, anzi più di prima. Di fronte a un fallimento della vita Dio ti dice di voltar pagina e ricominciare o meglio andare avanti perché c'è sempre un futuro. Nel fallimento dei tuoi progetti dice di fidarti, di uscire dai tuoi schemi (“è giusto, è sbagliato”), ti dice di non giudicare ma di ripartire. Dio ti dice di non giudicare e gettar a terra i tuoi sassi come nel vangelo dell'adultera, perché Lui ragiona solo con la misericordia; Dio ti dice che per recuperare il figlio più disperato e disgraziato della storia, ci vuole un padre che spalanca ancor di più le braccia, così fa lui con ciascuno di noi! Dio ti dice che di fronte ai conflitti internazionali, di fronte alle stragi, al terrorismo proprio lì lui è ancor più vivo e sta già mettendo le basi per un mondo nuovo! Di fronte all’ennesima guerra che ci prostra a terra nella disperazione più totale, lui non si rassegna e ci aspetta tutti dopo, a contare i morti, ma soprattutto ad accogliere i vivi, a rifare rapporti nuovi, ad aprire case, oratori, scuole per accogliere i bambini ucraini e scrivere con loro un futuro senza odio, senza terrore, senza guerra, senza blocchi contrapposti! Impossibile dice l’uomo; possibile dice l’uomo che ha nel cuore la resurrezione di Gesù e la speranza: possibile a questo Dio e a chi si fida di lui! C'È ANCORA TUTTO DA FARE, grida questo Dio e lui è il primo a ricominciare, ma poi aspetta noi e ci chiede: vuoi ricominciare con me? Vuoi fidarti? Vuoi risorgere già ora? Allora vieni, scriviamo insieme un’altra pagina del Vangelo, o meglio scriviamo un altro Vangelo, costruiamo un altro mondo, come il mattino di Pasqua corriamo a toccare con mano i prodigi di Dio e cerchiamo i prodigi nascosti che Dio opera anche oggi.

Di fronte alla sconfitta più devastante per Dio, cioè la morte di suo figlio (che cosa c'è di più atroce?) lui fa rinascere la speranza, trasforma quella tragedia in futuro, in riscatto, in salvezza per noi; il seme caduto in terra sembra morire ma in realtà porta frutto, un frutto inatteso, una speranza inattesa, nuova: questo è il nostro Dio! Mentre tu sei fermo ancora nel tuo sepolcro, lui è già evaso, non ci sta, non può starci nei nostri sepolcri perché lui è il Dio della speranza! Se vuoi risorgere anche tu, lasciati affascinare, lascia che trasformi il tuo cuore di pietra in un cuore di carne, lascia che i tuoi castelli di carta, i tuoi progetti cadano uno per uno perché Dio ricomincia proprio da lì e ti fa capire che dai tuoi fallimenti lui riparte per fare cose nuove, per farti diventare nuovo, per buttare all'aria i tuoi schemi e invitarti a essere il protagonista di un mondo nuovo. Come ha fatto il papa venerdì sera che durante la processione ha fatto portare la croce a una famiglia ucraina e una russa: insieme! Ecco i germi di un mondo nuovo.

Allora la mensa dell'ultima cena si estende a tutto il mondo, quella tavola non ha confini, quel pane non finirà mai, quel vino scorrerà a fiumi e quel bacio di Giuda diventerà un'infinità di baci dati ad amici e soprattutto a nemici non per tradire ma per perdonare!

Amico, fratello che sei disperato per qualcosa che ti è accaduto o a te che pensi di non far niente di male e dunque non hai bisogno del perdono e credi di non dover cambiare nessun atteggiamento, forse ti sei stancato di cercare, di migliorare , hai accumulato delle delusioni, ti consideri uno sconfitto dalla vita o un vincente perché bravo e con tanti meriti; forse ti sei rassegnato a subire la presenza di quel pesante masso sull'ingresso della tua prigione e ti sbarra la strada verso la luce, il calore, verso la voglia di vivere. Ti parlo come a un complice (siamo nella stessa barca): se accetti l 'annuncio della Pasqua, se lasci filtrare nel tuo buio il raggio luminoso di quella bella notizia, scoprirai che Lui ha già rimosso quel macigno insopportabile, scoprirai che è già iniziato un mondo nuovo, ancora intatto! Passiamo insieme dalla condizione di prigionieri a quella di evasi, senza perdere le tracce del grande evaso, il Cristo!

Ci incontriamo la mattina di Pasqua fuori, fuori del sepolcro ma soprattutto fuori dai nostri schemi per vivere da risorti, per donarci gli uni gli altri la speranza dopo tutto e nonostante tutto: o schiavi del nostro mondo vecchio e del nostro sepolcro o risorti come Lui.

Buona Pasqua a tutti, ai vostri cari, a chi sta soffrendo, o meglio, come dicono gli orientali: Cristo è risorto! Questo è la cosa più bella che ti poteva capitare, che Cristo risorgesse da morte, ed è proprio ciò che sussurriamo all'orecchio gli uni gli altri: Cristo è veramente risorto!

Venerdì Santo - 15 aprile 2022

Alla tavola dell’Amore - Venerdì Santo 2022

Da sempre nel Cristianesimo l’evento della Croce è uno scandalo e follia (anche se oggi a Dio, alla croce, a questa Pasqua non ci pensiamo più tanto, non fa notizia, non ci riguarda più). A noi oggi si presenta la tentazione di “svuotare la croce”, di toglierle valore, di ridurla a un segno senza significato, come un cartello stradale di periferia, o come gli orari appesi a scuola, durante le vacanze! Nei nostri tempi caratterizzati da benessere materiale, ricerca di comodità, e piacere a basso prezzo dalla convinzione che tutto ciò che è tecnicamente possibile ed economicamente ottenibile, è automaticamente lecito e giusto, senza farsi tante domande, la rimozione della croce non dai muri, dove la mettiamo ben in vista, ma dalla nostra vita è ormai avvenuta. A volte si presenta un Vangelo accattivante, un insieme di “belle maniere”, quasi di buon senso eliminando completamente la rinuncia, il sacrificio, il rinnegare sé stessi, prendere la propria croce e seguirlo.

Questo modo di parlare oggi è ritenuto sconveniente, arretrato, diciamo che non si fa una buona pubblicità al Cristianesimo in questo modo, svuotandolo della “follia della croce” scandalo non solo ai tempi di san Paolo ma anche oggi.

Ormai non ci sono più i filosofi del II° secolo che prendevano in giro i cristiani a causa del loro Dio povero e in croce: ma c’è un mondo che non parla più di Dio perché non interessa, ci sono cristiani che hanno vergogna di dire a tutti che abbiamo fede, vergogna di farla vedere e vergogna di sporcarci le mani: una fede da “vengo quando me la sento, quando ho voglia“, una fede da “ai miei tempi andavano a catechismo solo i bambini e i genitori, a casa”, una fede da vecchi e bambini che non ha niente da dire alla mia vita di oggi!

Non ci sono più gli imperatori e i soldati romani che “accarezzavano con la frusta la schiena” dei cristiani per costringerli a rinnegare la croce o chi ci confisca i beni per impoverirci, ma c’è chi ci arricchisce, ci riempie la pancia, ci dà le offerte Sky per tutti i gusti, per starsene tranquilli a casa e ci fa dimenticare il vero bisogno di restare uniti e ci offre su un vassoio d’argento la morte dei rapporti tra noi, la morte del cuore, la morte della fede!

Per il nostro mondo la fede è cosa d’altri tempi, pregare è da vecchie di 90 anni, confrontarci sulla Parola di Dio è tempo perso: le cose importanti nella vita sono altre!

Certo noi pensiamo: “se sono qui, stasera è perché ci credo”. Stiamo attenti perché è proprio quando si abbassa la guardia e si dà tutto per scontato che si infiltra il pericolo, è proprio quando cala l’attenzione che vai a sbattere in macchina!

L’unica nostra salvezza è tenere alta la croce nella nostra vita, la croce della preghiera, della rinuncia a ciò che ci ostacola, la croce del bisogno di Dio, la croce del non fidarsi troppo della opinione degli altri trascurando quella del Vangelo.

Almeno oggi la Croce sia il segno di un Dio che si dona, si perde, si consegna a noi per amore, solo per amore e ci invita a vivere come ha fatto lui oggi, proprio con quella persona, proprio con quel collega, proprio con mio figlio, proprio lì dove tengo fuori la croce e penso di cavarmela da solo! Proprio lì il nostro Dio ci chiede di contemplare la croce e capire che solo portandola, accettandola, amandola troviamo il senso vero del nostro vivere!

O Signore, Dio che in croce spalanchi le tue braccia su tutto il mondo: donaci il desiderio di contemplare quella croce per capire quanto Dio sia qui per noi, per te, per me, per riempire il mio cuore del tuo amore e per dirmi che solo se accetto la mia croce imparo ad amare come tu hai fatto con noi. Abbiamo bisogno di Pasqua in questo tempo di odio, violenza, tristezza: abbiamo bisogno di contemplare la tua croce per risorgere a una vita nuova.

Giovedì Santo - 14 aprile 2022

Alla tavola dell’Amore - Giovedì Santo 2022

Chissà cosa c’era nel cuore di Gesù in questa cena di addio: intimità, dolcezza, desiderio dell’ultimo abbraccio prima dell’abbraccio della morte; gli ultimi sguardi, la consegna di quel mandato: “Amatevi, siate una cosa sola! Senza misura, lavatevi i piedi come io ho fatto con voi!” Ma anche molte paure, angoscia, i sospetti, il tradimento nell’aria, la tragedia incombente; un Dio preda delle nostre paure e meschinità: Lui ci regala la vita e noi gli diamo la morte!

Sempre così quando ci siamo di mezzo noi con la nostra storia! Anche nel momento decisivo riusciamo a essere doppi, meschini, violenti contro noi stessi e contro Dio: prima vicini quasi abbracciati ma appena fuori ci prendiamo a coltellate! Il Giovedì Santo è proprio così: Lui che in modo definitivo si mette nelle nostre mani e noi che ci scanniamo per rubarci la briciole di pane sulla mensa dell’Amore.

Stasera vorrei osservare le mani e i piedi di Gesù: mani che offrono un pane, mani che allacciano il grembiule, mani che tengono la brocca per lavare i piedi: mani che hanno guarito e risanato, mani che presto verranno trafitte e inchiodate perché hanno scandalizzato per il troppo Amore che hanno manifestato: condannate per eccesso di amore! Anche noi avremmo fermato quelle mani: “fermatevi, c’è un limite a tutto: quelli là non meritano il vostro abbraccio e la vostra carezza: non sono dei nostri, non è conveniente!”

Così i piedi che hanno camminato per giorni sulle strade della Palestina, pronti a fermarsi dove c’era un povero, un lebbroso, un figlio di Dio perché per quei piedi non c’erano differenze; qualunque piede camminasse su quelle strade alla ricerca della salvezza era il piede di un figlio, un fratello da amare, senza limite!

Comprendete ciò che vi ho fatto?” chiede Gesù. Dopo duemila anni dobbiamo ancora comprenderlo e imparare a viverlo: Gesù non ci ha lasciato solo l’Eucarestia, ci ha lasciato anche la lavanda dei piedi! La lavanda dei piedi è la conseguenza logica dell’Eucarestia; Cristo ci ha lasciato in eredità la brocca, il catino, lo straccio e… il bacio ai piedi dei suoi: Anche la lavanda dei piedi è un “memoriale”: un gesto da rendere attuale e vivo oggi, adesso: non il ricordo di un fatto passato trascorso ma un affetto per una persona cara che mi stimola a perdonare oggi qualcuno, adesso qui, ora! Straccio, brocca, catino e bacio sono i segni di una Chiesa che ancora oggi vuole essere a servizio dell’uomo, a servizio dei fratelli senza timbri, permessi di soggiorno o passaporto: eppure quella brocca è esposta al nostro sacrilegio, alla nostra bestemmia , al nostro insulto ogni volta che voltiamo la faccia, ogni volta che dividiamo il corpo di Cristo, ogni volta che non ci fermiamo a curare le ferite di un fratello, ogni volta che non comprendiamo che servire è il modo più bello di vivere: servire è il modo più bello di vivere!

Straccio, brocca, catino, bacio: un bacio in questa notte ha decretato la fine del figlio di Dio: Dio si consegna nelle mani dell'uomo, Dio si lascia condannare dalle nostre paure dai nostri dubbi. Quella domanda di Giuda, stasera è anche la nostra domanda: “Sono forse io Signore?” Sono forse io, siamo forse noi quelli che ancora oggi ti rifiutano e ti rinnegano perché chiedi troppo, perché ami troppo perché perdoni troppo, sei un Dio troppo, come il profumo che la donna ha versato sui tuoi piedi, come il vino alle nozze di Cana, come il tuo sangue versato in croce: troppo!

Eppure qualcuno ha chiamato Giuda, fratello: nostro fratello Giuda, disse don Primo Mazzolari, fratello perché anche noi abbiamo tradito il Signore!

Stasera senza parole, prendiamo in mano anche noi quella brocca e il catino per lavarci i piedi, lo straccio per asciugarli, stasera accanto a te ci sentiamo poveri, bisognosi del tuo sguardo, del tuo bacio, del tuo perdono, l'unica possibilità per sentirci ancora figli!

V domenica di Quaresima - 3 aprile 2022

Dio sul banco degli imputati

Ancora un vangelo nel Vangelo, ancora una pennellata di speranza, di perdono, di pace nel nostro cielo cupo e triste per una guerra e per tutte le nostre guerre: eppure rifiorirà la pace, o almeno il silenzio delle armi, non sappiamo come e quando. Come la primavera giunge all’improvviso e lo vedi dai primi germogli: rifioriranno primavera e pace.

Questo splendido racconto ci porta al cuore del messaggio di Gesù, il figlio che non giudica nessuno e per questo verrà giudicato e condannato! L ‘imputato vero non è la donna ma Gesù: l’adultera è solo l’esca per trovare un motivo di condanna verso di lui.

Nei primi secoli della Chiesa questo brano era messo da parte, non accettato: troppo rischioso parlare di un Messia che faceva queste cose, che non faceva applicare rigidamente la legge, che si permetteva di redimere una peccatrice. Un perdono senza condizioni, come non piace a noi. Chissà quali conseguenze avrebbe avuto, perdonare i peccatori come ha fatto lui, chissà quanti se ne sarebbero approfittati; chi sbaglia paga, punto! Lo diciamo anche oggi, però con una piccola variante: lo pensiamo degli altri, ma non di noi stessi. Con noi siamo di manica larga, con gli altri facciamo le pulci e cerchiamo il pelo nell’uovo.

È senza nome la donna che viene chiamata solo “l’adultera”: a nessuno interessa chi è, quale storia ha alle spalle, ha famiglia, figli? E poi chi è l’uomo con cui era? Perché non c’è anche lui? Quando dimentichi chi c’è dietro un atto, dietro una parola di troppo, dietro un gesto qualunque, allora sei già in guerra, sei già con il dito puntato o forse con il mitra puntato. Uccidere nel nome di Dio: i più grandi dittatori della storia hanno citato anche la Bibbia per giustificare i loro delitti e si sono circondati di filosofi che teorizzavano la loro superiorità.

Gesù volta pagina ancora una volta: mentre la donna è posta nel mezzo, o meglio nel mezzo c’è il suo peccato, non la sua persona. Ma a loro interessa mettere al centro Gesù per giudicarlo: se avesse detto di lapidarla sarebbe andato contro la legge romana; se avesse detto di non lapidarla, sarebbe andata contro Mosè! Lo scacco matto è pronto.

Gesù volta pagina, cambia gioco e cambia anche le regole del gioco! È venuto per salvare, per ridare speranza e dignità: inguaribile malattia quella di un Dio capace solo di perdonare e di riabbracciare chi si era perduto; “c’è più gioia in cielo per un peccatore che si converte che per 99 giusti”.

Il Maestro scrive per terra: qualcuno dice che scrive sulla pietra come Dio aveva scritto i comandamenti sulle tavole della legge: ma questa volta lui vuole scrivere sul cuore dell’uomo, vuole imprimere la legge dell’amore non più sulla roccia ma nella vita e vuol donare il perdono che riassume la legge nuova data da Gesù sul monte delle Beatitudini.

Gesù guarda il cuore non le mani, cerca un cuore docile e capace di fermarsi e sentire il bisogno di una rinascita, di un nuovo inizio: dietro e dentro il peggior delinquente, Gesù sa cogliere un cuore che ha sete di perdono, di amore, di bellezza. La bellezza della donna è niente rispetto alla bellezza del figlio di Dio e alla bellezza di quel perdono; solo lui ridona la bellezza vera alla donna, quella rovinate a e deturpata dal peccato.

“Chi è senza peccato scagli per primo la pietra”: Gesù torna indietro, torna alle origini dell’uomo alla sua dignità di figlio, torna all’immagine e somiglianza di Dio. Nel cuore dell’uomo Dio c’è sempre, non lo puoi togliere, non lo puoi eliminare, nessun peccato può cancellare Dio dal cuore dell’uomo!

Tocca a noi gettare a terra qualche pietra che stringiamo tra le mani: piccole, non macigni ma che possono fare tanto male a qualche fratello, sorella. Ma soprattutto tocca a te implorare quel perdono che non meriti mai, sempre oltre le aspettative. Quella donna siamo noi, è la Chiesa che non sa essere all’altezza di un amore pieno e totale dello sposo: siamo noi gli adulteri che adulteriamo, deturpiamo il rapporto con questo Dio e lo riduciamo a un fantoccio, un idolo nostro piacere. Nella mia casa, nella mia vita, nel mio lavoro, nella mia storia, nelle mie preoccupazioni, nei miei affetti c’è posto per Dio o lo ho già tagliato fuori, gli dico garbatamente: “Le faremo sapere, abbiamo il suo recapito…” Ma quella telefonata non arriva mai: troppo presi dai nostri traffici e dai nostri dubbi; assomigliamo tanto o al figlio minore vittima di una falsa immagine del padre, o al figlio maggiore schiavo del proprio orgoglio. In ogni caso figli ribelli.

O Signore amante del mio cuore: in ogni situazione in cui il peccato mi schiaccia oppure penso di non aver alcun peccato, tocca il mio cuore, fa che senta il bisogno di te, del tuo abbraccio di padre e di quelle parole: “Neanch’io ti condanno”. Solo quelle pietre cadute a terra mi fanno ancora innamorare di te e della tua bellezza, ma anche del tuo desiderio di rifarmi bello, bella a tua immagine e somiglianza.

IV domenica di Quaresima - 27 marzo 2022

Oltre quella linea

Nonostante ciò che sta accadendo a tanti nostri fratelli e sorelle ucraini, questa è la domenica della gioia, della festa: abbiamo un Dio che fa festa, non sta più nella pelle e attende giorno e notte quel figlio che è scappato via sbattendo al porta; il suo cuore è inquieto e scruta l’orizzonte sognando ogni istante quel ritorno, quell’abbraccio. Ogni giorno lacrime e lacrime, ma non si perde d’animo.

Anche oggi il nostro Dio scruta l’orizzonte sognando segnali di pace, immaginando il momento in cui le armi taceranno e i popoli si incontreranno: lui non perde la speranza mai e invita anche a noi a pregare, digiunare, prepararci non solo a non fare altre guerre ma soprattutto a portare pace dove due o tre sono in lotta senza tregua.

La parabola non ha bisogno di commenti: come un’opera d’arte ci mette in ginocchio, con la bocca aperta e ci inchioda al muro perché noi siamo lontani dal cuore di un Padre così: che dimentica il torto di un figlio che lo voleva addirittura morto per accaparrare i suoi soldi. Lui dimentica i torti subiti ma ricorda bene la sua promessa di Padre misericordioso e non viene meno alla sua Parola: “bisognava far festa”!

Tra i due figli non so chi preferisco; una cosa è certa: nessuno dei due conosce il padre e lo capisce. Il minore perché lo ritiene un antagonista, uno che gli toglie la libertà: un padrone più che un padre. Nemmeno il maggiore conosce il padre: lo guarda con sospetto temendo che preferisca il fratello scapestrato! Lui, il maggiore è quello delle regole, del lavoro, uno che c’è sempre, con mani e piedi ma non con il cuore. Cosa te ne fai di un amico che viene a trovarti con l’orologio in mano pronto a scappar via, che ti elenca tutti i suoi impegni e preoccupazioni ma non ti ascolta mai, non ti sorride e non ti chiede “Come stai? Avevo voglia di vederti, mi sei mancato!”. Senza cuore!

Nessuno dei due figli capisce il cuore del Padre e nemmeno noi comprendiamo il suo cuore: ci spiazza , ci fa paura un Dio così che perdona all’infinito, che fa festa , che ci mette l’anello al dito per rinnovare il patto d’amore con noi, che ci riveste dell’abito nuziale, coprendo le nudità causate dal peccato, che non sta più nella pelle di regalarci il suo perdono, mentre noi facciamo i preziosi, ci giriamo dall’altra parte e non ci schiodiamo dal nostro egoismo: “Dammi la parte che mi spetta e ti saluto: voglio essere libero, voglio andarmene!”

Il dramma dei due figli che non conoscono il Padre è anche il nostro dramma: c’è una linea davanti ai due figli e davanti a noi; al di qua della linea pensi che quello è un padrone, oltre la linea, pensi che lui è un padre. Al di qua della linea, c’è la religione, oltre la linea, la fede; al di qua sei schiavo, oltre la linea, sei figlio; al di qua fai un contratto, oltre la linea fai un matrimonio; al di qua conti quante volte devo perdonare, oltre la linea dici: ‘sempre’. Al di qua accampi i tuoi diritti, oltre la linea pensi al dovere di essere a servizio; al di qua dici “Non tocca a me”, oltre la linea dici “Perché non posso fare io quella cosa?”. Al di qua ti chiedi: perché devo confessarmi? Di peccati non ne ho. Oltre la linea dici: “Che fortuna che ho: c’è un Dio Padre che mi perdona, sempre”. Finché sono al di qua, sono schiavo di me stesso, ripiegato sulla mia fame, pronto a soddisfare ogni desiderio: oltre la linea mi lascio abbracciare da questo Dio che fa festa per me e lo ringrazio senza fine.

Tante volte mi sono chiesto quale dei due figli si è convertito: penso che nessuno dei due lo abbia fatto. Non il maggiore e nemmeno il minore: lui torna a casa perché aveva fame e aveva l’acqua alla gola; forse si converte dopo l’abbraccio del padre ma il Vangelo non lo dice. Ci convertiamo solo dopo aver incontrato davvero il cuore del padre e facciamo festa con lui, altrimenti siamo destinati a una vita senza slancio, una vita triste, di serie B: la conversione non nasce da noi, ma fuori di noi, da un incontro che ci cambia la vita!

Come continuerà la parabola? come vuoi farla finire? Tocca a te e a me scrivere il finale ma i protagonisti non sono i due figli bensì noi. Diventiamo noi i protagonisti: Luca ci sostituisce ai due figli e ci invita a scrivere il finale. Il padre ci aspetta oltre quella linea per una vita nuova, per un amore nuovo, per ricevere e donare il perdono, per diventare figli e non schiavi, per capire che il nostro Dio non è un padrone severo ma un Padre misericordioso.

Oltre quella linea la parabola della nostra vita ci fa fiorire e ci introduce già nella Pasqua da risorti e ci fa ritornare nelle nostre vigne di ogni giorno completamente rinnovati e capaci di vivere con la festa nel cuore come il padre fa con ciascuno di noi.

III domenica di Quaresima - 20 marzo 2022

Ancora un anno…

Continua il cammino del popolo nel deserto guidato da Mosè: continua anche il nostro cammino in questa Quaresima cupa in cui sentiamo ancor di più il bisogno della pace, della luce del Tabor di domenica scorsa, abbiamo bisogno di ascoltate la voce “Questi è il figlio mio, l’eletto, ascoltatelo” per uscire dalla nube e tornare a ritrovare il cammino. Abbiamo bisogno di toglierci i calzari come Mosè nel deserto per capire che c’è qualcosa di sacro da rispettare: questo tempo è sacro, questa Quaresima, la vita dei nostri fratelli ucraini, la serenità dei bambini che devono fuggire, gli anziani violati nella loro dignità.

Se non impariamo a fermarci di fronte a ciò che è sacro, facciamo il male nostro e di tutti gli uomini, violentiamo, adulteriamo, sprechiamo opportunità, dimentichiamo chi siamo e siamo vittime del male che serpeggia in noi! Cosa c’è di più sacro nella tua vita?

Il brano del Vangelo di oggi capita a proposito: perché c’è il male intorno a noi? Perché la guerra, le tragedie, perché la morte innocente di molti fratelli e sorelle, perché il dolore, se questo Dio è buono e attento a noi? Perché? Domande che la Bibbia si è sempre posta e l’uomo si è sempre posto nel corso dei secoli. Perché quei 18 senza alcuna colpa sono morti sotto la torre di Siloe e quei Giudei sono stati uccisi da Erode mentre pregavano e facevano sacrifici nel tempio? Dov’era Dio?

La stessa Bibbia non sa dare risposte: semplicemente ci ricorda che nel deserto Dio ha dato al popolo l’acqua, ha dato i comandamenti, li ha sfamati con le quaglie, li ha protetti con la nube durante il giorno per riparali dal sole. Lui è il roveto ardente che brucia ma non si consuma: il suo fuoco d’amore non viene mai meno per noi, non si consuma, il suo fuoco amore non teme i nostri rifiuti e i nostri no, non teme nemmeno la nostra poca fede. Lui lo sa che il tentatore è all’opera e le prova tutte ma Lui non si scompone: non reagisce alle provocazioni del maligno ma fa gli straordinari per salvare quel ragazzo in crisi, quella coppia che si sta spegnendo, quello là che pensa di fare guerra al suo vicino a suon di denunce, o a quello là che vigliaccamente per ripicca riga le fiancate delle macchine, il tuo collega che ha qualche guerra aperta su molti fronti.

Chi si fa queste domande è già caduto nella trappola del demonio con la sua arte di insinuare il dubbio su Dio, sull’uomo, sul futuro: “Non ce la puoi fare, guarda quante brutte cose accadono nel mondo e Dio ti ha abbandonato, anzi è colpa sua se ti accade qualcosa di brutto!” Ecco la sua tattica oggi e sempre! Invece Dio corre a destra e a sinistra per salvare per i capelli qualcuno ma allo stesso modo non cade nella trappola di satana che gli dice: ‘Fai vedere chi sei, trasforma pietre in pane e tutti ti seguiranno, buttati giù e fai vedere che gli angeli ti sosterranno.

La domanda giusta allora non è: “Chi ha peccato, chi ha colpa di questa guerra”? o di tante piccole guerre alimentate dal nostro egoismo. La domanda giusta è: “Come posso sfuggire alla trappola del demonio che fa di tutto per far ricadere le colpe su Dio?” La domanda giusta è: “Come faccio a non aggiungere odio a odio, a trasformare il male in bene, a stare accanto a chi sta soffrendo e a pazientare se una croce si presenta alla mia porta?” Questa è la domanda giusta prima di decidere di non imitare il demonio ma seguire piuttosto il Dio del deserto che ci è vicino in ogni guerra e manda tanti fratelli e amici ad accogliere sostenere, abbracciare chi è partito con 4 vestiti addosso e un peluche in mano ai bambini.

Gesù parte da questa constatazione per sposare l’attenzione su di noi: ‘tu come stai vivendo, come ti prepari ad affrontare gli imprevisti della vita? La soluzione giusta sta nello smettere di essere sterile come il fico del Vangelo! Inizia a portare qualche frutto maturo, ce la puoi fare a produrre qualche germoglio e qualche frutto: la Quaresima è l’occasione buona. I veri frutti non sono fuori di noi ma dentro; non sono i gesti verso gli altri ma la conversione del cuore e dell’anima.

“Sono 3 anni che vengo a cercare i frutti ma non ne trovò Per 3 anni Gesù ha seminato amore e speranza: non ha raccolto frutti ma solo spine; quel fico ruba il terreno, non ha diritto di stare li, taglialo!”. Quel ragazzo a scuola scalda il banco, fermalo! Quello li in oratorio rompe le scatole, quel disabile quante pretese ha, quel profugo scappato da guerra e violenze non ha diritto, ci porta solo malattie! Taglia, elimina, caccialo via! Ecco; quanto mai attuale la storia del fuco sterile! Però il vignaiolo da ancora un’altra possibilità, un altro anno, un'altra occasione per portare frutti maturi per il mondo: a chi non combina niente nella vita e a noi! Il vero frutto maturo è Gesù sull’albero della croce, noi siamo quelli che promettono i frutti domani, dopo domani, tra un anno, poi accampiamo mille scuse: “non ho tempo, tocca agli altri, Dio ce l’ha su con me, guarda cosa mi ha fatto!”

O Signore vero frutto maturo: fa’ che non cadiamo nella trappola del demonio che vuole convincerci che sei un Dio assente e lontano ma piuttosto converti il mio cuore perché finalmente dalle mie spine, possa germogliare qualche frutto maturo di conversione, di fede e di speranza.

II domenica di Quaresima - 13 marzo 2022

Il Bello che è Dio

Il nostro Dio non si dimentica, anzi viene a cercarci, per fare un’alleanza, un patto, anzi di più: un fidanzamento con il popolo e con noi. Dio e Abramo passano in mezzo agli animali divisi in due per indicare che ‘ci possa accadere la stessa cosa accaduta agli animali se vengo meno al mio patto, alla mia alleanza con te. Il popolo ebraico ha sempre ricordato questo e lo ha trasmesso ai figli, ai giovani: “guarda che Jahwè non si dimentica: anche se una madre si dimenticasse del figlio, Lui non si dimenticherà mai di te.

Sul monte Tabor continua quell’alleanza, Dio mantiene le promesse: proprio quando l’ombra della croce già si staglia all’orizzonte e gli apostoli si chiedono: “ma cosa sta dicendo? Perché parla di croce, cosa significa, non lo riconosco più!”. Proprio in quel momento, Gesù prende con sé Pietro Giacomo e Giovanni e li porta in alto; Pietro il pescatore di uomini, Giacomo il figlio del tuono, pronto a incendiarsi subito e a scoppiare come un tuono, e Giovanni il discepolo prediletto, chi meglio di lui, quello che Gesù amava più di tutti.

In alto: stai andando in alto in Quaresima, cerchi di salire per incontrare Dio e ritrovare te stesso? Hai voglia di lasciare un po’ la pianura, il mondo, il ritmo di ogni giorno, settimana, mese, vuoi lasciare giù le preoccupazioni non per dimenticarle ma per guardarle nel modo giusto, dall’alto, senza farci sottomettere, senza farci sopraffare, per dire a tutti: nella mia anima non entra nessuno se non Lui che mi fa amare la mia famiglia in modo vero. Ascolti di più la sua Parola, la cerchi? Ne senti il bisogno? C’è qualche monte Tabor che ti attende per ridarti fiato, ridarti speranza, per rifare il tuo look a Sua immagine e somiglianza. Per uscire dall’incubo di questa guerra e non solo: per non lasciarci sopraffare dalle tante guerre che possono esserci fuori e dentro di noi.

Venendo nelle vostre case sto incontrando tanti affanni ma anche tanto entusiasmo, tante storie di amore, di felicità, di gioia: mi piace gustare l’intimità che si respira, il desiderio di rigenerarsi attraverso uno sguardo, un abbraccio, un sorriso. Come un piccolo Tabor in cui ci si ferma, ci si incontra, ci si scambia la vita, ci si disseta alla vera sorgente, nel cammino nel deserto.

Oggi ti vogliamo seguire sul monte Signore per fare il pieno di te e per fare come alcune tribù africane che dicono: ‘Mi fermo per aspettare la mia anima’ quando si è corso troppo e l’anima - dicono - è rimasta indietro.

Gli apostoli lo seguono sul monte e contemplano il suo volto luminoso che parla di luce infinita, parla di eternità: è ancora l’alleanza promessa che Gesù mostra. È come se dicesse: non temete, non abbiate paura, siamo nelle tenebre ma vi anticipo come sarà la gioia vera nel regno del Padre. Guarda la bellezza del mio volto, è la bellezza di Dio che è presente in ogni creatura, nascosta, sotto la polvere, come un diamante da pulire dalle incrostazioni per lasciarlo brillare in tutto il suo splendore. Ma non è la bellezza che troviamo nelle pubblicità, sui nostri schermi, sui social, una bellezza solo esteriore e apparente: è la bellezza di 2 mani callose, il sorriso di un vecchio magari senza denti, la bellezza di un tramonto, la bellezza di 2 ragazzi innamorati, la bellezza di un ritorno a casa, la bellezza di un perdono dato e ricevuto che ci ridona l’immagine di Dio. È questa bellezza che serve oggi, abbiamo bisogno di gesti belli perché in ogni bellezza si riflette il volto bello di Dio.

Non è solo giusto per noi seguire questo nostro maestro, non è solo vero, o doveroso ma è bello! È bello seguirti, stare con te perché stare con te mi fa star meglio, mi completa, mi ridona fiato e speranza. Un bambino non gioca perché così fa attività aerobica ma gioca perché è bello; non pratichi un hobby perché sviluppa le mie capacità ma perché è bello; non ti innamori perché così vinci la solitudine ma perché è bello. Non ce l’hanno mai detto che Dio è bello: ci hanno sempre detto che è onnipotente, onnisciente, onnipresente, eterno, infinito, e altro ancora: nessuno mai ci ha detto che Dio è bello, luminoso, splendente e ti affascina con la sua bellezza e ti attira come una calamita, come il miele attira le mosche, come un amico attira un amico, come ti attira un buon profumo che ti inebria e ti affascina, ti conquista.

“La bellezza salverà il mondo” diceva Dostoevskij ne “i fratelli Karamazov”, solo la bellezza, il bello ci salverà da ogni guerra, dal buio, dall’odio, da una vita scialba, senza stimoli, da una giornata senza sorrisi e senza gioia.

La bellezza non sta solo nelle cose e nelle persone: sta nel nostro sguardo, nei nostri occhi e nel modo in cui guardiamo gli altri: se li guardiamo per possedere e dominare roviniamo la loro bellezza e rovino la mia anima, se li osserviamo per cogliere in loro la bellezza che Dio ha seminato in loro, allora li esaltiamo, li amiamo, e ci lasciamo illuminare dalla bellezza che c’è in loro.

“Questi è il figlio mio, in cui mi compiaccio: ascoltatelo”. Solo se ti ascolto col cuore in questa Quaresima, potrò scoprire i tesori di bellezza che hai seminato in me e intorno a me: potrò vedere che anch’io, come una pietra preziosa, posso riverberare nel mondo la tua bellezza.

I domenica di Quaresima - 6 marzo 2022

Fame!

Le Ceneri quest’anno hanno un sapore ancor più amaro: è l’amaro delle lacrime dei nostri fratelli ucraini, l’amaro delle bombe, le colonne di gente che fugge via con 3 cappotti addosso, con bambini e vecchi per mano, l’amaro di un futuro incerto: cosa sarà di noi?

Una Quaresima ancor più triste: non bastava il dolore per i nostri peccati, ci voleva anche questa ferita per tutta l’umanità! Il diavolo nel deserto del mondo ha lavorato proprio tanto per separarci così: ha fatto bene il suo lavoro!

Nonostante tutto buona Quaresima: preparati alla lotta, perché se ha dovuto lottare Gesù, dovremo farlo anche noi. Buona preghiera per i nostri peccati e per la pace in Ucraina. Buon desiderio di aiutare, soccorrere, farci prossimi, iniziare a pensare dove ospitare alcune famiglie che arriveranno da noi. Siamo pronti, siamo accoglienti, saremo buoni fratelli e sorelle?

Anche noi tentati come Cristo nel deserto: tentati a risolvere tutto da soli, a darci cibo, potere, dominio. Tentati a farci qualche idolo, a mettere sul piedistallo della nostra vita noi stessi o il lavoro, o i soldi, o il piacere, o il prestigio, o la fama: tanti piccoli dei premono alla nostra porta, ci girano intorno, cercano il punto debole e si infiltrano. da dove è entrato? Quando? Mah? Eppure c’è, te lo trovi in casa, ti accorgi che non è tuo amico ma non riesci a cacciarlo fuori!

Ci vuole qualcosa in più: ci vuole il deserto, ci vuole il silenzio, ci vuole la decisione di entrare nella tua stanza del cuore, ci vuole la Sua Parola, non la mia, ci vuole la volontà di cercare questo vero Dio non i nostri idoli!

Alcune parole delle letture ci guidano in questa lotta: la prima è “fame”. Gesù ha fame, fame di pane ma soprattutto di incontro con il Padre, fame di amore, fame di seguire la volontà di Dio Padre. Quale fame hai? Quale fame prevale in te? C’è un cibo che sazia solo il corpo e c’è un cibo che ti nutre per la vita eterna: scegli il cibo giusto per la tua fame. La Quaresima è il momento giusto!

La seconda è: “sul punto più alto”. il diavolo porta Gesù in alto. Il diavolo attraverso il potere, il piacere fine a se stesso, la superiorità ti porta in alto, ti fa sentire importante, ti fa sentire qualcuno, ti fa pensare che gli altri siano tutti a tua disposizione, e che tu vali molto di più di quanto tu non venga riconosciuto dagli altri. Stiamo vedendo proprio in questi giorni che disastri accadono quando il capo di uno Stato si sente superiore….

Gesù salirà lui stesso in alto, senza bisogno del diavolo, in alto per amare ancora di più, in alto per raccontarci l’amore del Padre, in alto per salvare quel disgraziato vicino a lui, in alto sulla croce, trasformando uno strumento di morte nella fonte della vita.

Ultima parola: “al momento fissato”. Il diavolo tornerà per cercare di convincere Gesù a non seguire il piano del Padre. Sarà l’ora della croce, l’ora del dubbio, l’ora della vera tentazione, l’ora del silenzio di Dio; l’ora in cui non ci capisci più niente e ti chiedi: “Ma chi me l’ha fatto fare? Ma avrò fatto bene a iniziare quel lavoro, avrò fatto bene a sposarmi? A fare un figlio, due, tre? Avrò fatto bene a conoscere quella persona? A prestare dei soldi a quello là? Avrò fatto bene a dare troppa corda a quel collega, che se ne approfitta?”

L’ora del dubbio arriva prima o poi: qualche dubbio da tenere acceso ci sta, ma c’è un dubbio che viene da satana, dal diavolo, c’è un dubbio che ti distoglie dal vero progetto, c’è un dubbio maligno che ti blocca, che ti genera paura, che ti devasta e ti succhia la liberà.

Invece la Parola di Dio ti libera davvero, ti rafforza per andare avanti, ti dice che ce la puoi fare, che una caduta non vuol dire che non sei più capace di rialzarti.

Gesù ha scelto chi ascoltare e seguire, e tu, hai scelto? Che uomo o donna vuoi essere? Hai scelto come giocarti la tua vita? Che tipo di marito o moglie vuoi essere? Che tipo di consacrato vuoi essere? A te la scelta, il mondo ti mette continuamente alla prova ma sei tu il padrone della tua vita. Dipende tutto da te, dalla tua fame, o meglio dal cibo di cui ti nutri, dipende se vuoi andare in alto per dominare o in lato sulla croce, dipende da quanto dubiti di te stesso, di Dio, dei fratelli ma soprattutto da quanto ti fidi!

Buona Quaresima, sorella, fratello: il deserto non è solo il luogo della tentazione ma anche il luogo dell’incontro con Dio: tocca a te scegliere se vuoi diventare schiavo de i tuoi idoli o farti amare dal Dio che ti libera, che è già nella stanza del tuo cuore, il Dio che ti ricorda che quella cenere sul capo in realtà prima era un fuoco acceso: se guardi al fuoco dell’amore di Dio, per te certe cose del mondo diventano poca cosa… come la cenere.

Buon cammino illuminati dalle forti parole di Cristo!

VIII domenica del T.O. - 27 febbraio 2022

Buoni e cattivi maestri

Non abbiamo ancora digerito il porgi l’altra guancia di domenica scorsa, il perdono ai nemici e oggi Gesù ci scuote ancora con la trave e la pagliuzza: togli prima la trave dal tuo occhio per poter aiutare tuo fratello a togliere la pagliuzza. Sembra che Gesù voglia coglierci alla sprovvista, metterci un po’ alle strette, sembra che voglia mettere il dito in qualche nostra piaga e farci cadere. Beh, a dir la verità meglio uno così che uno che mi liscia sempre il pelo e mi da sempre ragione: quando vado dal medico non mi aspetto che dica necessariamente: “va tutto bene”, ma che mi consigli bene per risolvere un eventuale problema.

Luca non parla a sadducei, scribi, farisei come fa Matteo: Luca parla ai suoi amici di origine greca, convertiti alla nuova fede. Parla a noi, alla Chiesa di oggi, a chi ha iniziato a seguirlo e poi magari si perde per strada o pensa come gli altri o riduce la fede a alcune norme da seguire, e basta.

Oggi Luca ci guarda dritto negli occhi e ci chiede: chi è il tuo maestro? Chi segui, chi ascolti? Di chi ti fidi? E noi da buoni figli del nostro tempo rispondiamo: ‘Di nessuno, non ho bisogno di nessuno, sono io il maestro di me stesso’. Che non è vero, perché tutto respiriamo e subiamo il contagio di qualcuno o di qualche idea o della maggioranza o della cosiddetta società. Chi è la tua guida? Di chi ti fidi? Sei certo di non aver bisogno di niente e di nessuno? La guida giusta, che non segue le mode del momento, il maestro giusto tira fuori il meglio di te, ti conosce, ti squadra e ti porta in lato, il maestro sa tirar fuori il meglio di te. Una volta con alcuni amici abbiamo chiesto l’aiuto di una guida alpina pe runa via ferrata. Appena giunti all’appuntamento la guida ci saluta, poi ci fa camminare, ci osserva, ci fa alcune domande: poi dice “Adesso possiamo salire”. Ha voluto conoscerci prima di affrontare l’arrampicata. E vedere dove potevamo arrivare. Non farti guidare da un mondo cieco che vede solo ciò che fa comodo e ti dice di farti tuoi interessi: affidati a chi ti conosce bene, non è cieco ma vede le cose, sa osservare nel modo giusto e giudicare per il tuo bene!

Gesù, maestro fa così con noi: lui ci porta davvero in alto: però devi fidarti, devi lasciarti andare, devi lasciare il timone nelle sue mani, rinunciare a capire tutto e andargli dietro per imparare e arrivare in alto! Nella vita in famiglia, nel rapporto con altri, nel rapporto con i miei beni, nel rapporto con Dio.

A volte diventiamo anche maestri degli altri: un genitore, un insegnante, anche un politico… Grande responsabilità: l’essenziale è che abbiamo gli occhi puntati non sul figlio, su quel ragazzo, o sulla persona che devo istruire ma sul maestro! Perché allora ho bisogno ancor di più di un Maestro: il vero maestro di mio figlio non sono io, ricorda! Tieni salda la corda che ti unisce al maestro per diventare a tua volta una guida vera.

Oggi in particolare ci dice: “Non giudicare”. “Prima di guardare la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello, togli la trave che è nel tuo occhio!’ Quando nasciamo abbiamo 2 sacche addosso: davanti a noi c’è quella piena dei difetti degli altri, dietro a noi c’è quella piena dei nostri difetti! I peccati degli altri li conosciamo alla perfezione; i nostri sono più nascosti ma ci sono. Vediamo solo ciò che ci fa comodo vedere: siamo fatti così! Questo è il nostro “peccato originale!”

Siamo bravi a giudicare, a sentenziare a sparare a zero, a non metterci nei panni dell’altro; tutti d’un pezzo e bravi solo noi!

Al corso fidanzati ne succedono sempre delle belle: una volta una coppia di genitori dei fidanzati, alla fine dell’incontro si avvicina e mi dice: “Noi abbiamo incontrato Gesù”. Oddio, ho pensato, un’altra veggente che vede madonne, santi e cuori di Gesù; “cos’è successo?” – ho domandato, cercando già il modo per liberarmene! “Gesù ci ha aiutato e siamo di nuovo insieme io e mio marito”; e qui ho capito che la cosa era seria! “Lui era scappato di casa, era andato via, il nostro matrimonio era una tragedia ma poi tutto è ricominciato, ho pregato, il Signore mi è stato vicino, gli ho voluto ancor più bene, abbiamo parlato, abbiamo pregato insieme e il Signore ci ha donato il suo amore. Adesso ci amiamo davvero e continuiamo a pregare insieme! Non l’ho giudicato e questo ci ha permesso di ricominciare, meglio di prima, più di prima. L’ho guardato in modo diverso, non come un marito traditore ma come un fratello da amare ancora di più!”

Mi sono seduto sconvolto, ammirando la loro forza, li ho guardati e ho detto: “Avessi io una fede grande come la vostra”!

Tutto dipende dal mio sguardo sugli altri, o meglio, tutto dipende da come mi lascio guardare dal Signore! Se colgo il suo sguardo di compassione su di me, se lascio che il Crocifisso mi guardi, se mi rendo conto che lui che potrebbe giudicarmi non lo fa, allora capisco che nemmeno io ho il diritto di giudicare il cuore di una sorella, di un fratello. Questione di sguardi: è bastato uno sguardo di Gesù in croce per trasformare un delinquente nel primo ad entrare nel regno dei cieli: basta un solo mio sguardo per accorgermi della trave nel mio occhio e non giudicare la pagliuzza nell’occhio del fratello! Tutto allo scopo di convertire me e per salvare lui.

VII domenica del T.O. - 20 febbraio 2022

Nel cuore di Dio

Sei beato, sì beato quando hai fame, sete, quando sei povero, quando senti il bisogno del vino nuovo di Cana, quando getti ancora le reti non sulle tue idee ma sulla sua Parola; beato oggi quando ti fidi di un Dio in croce che ha perdonato chi lo rinnegava, chi lo tradiva e lo metteva in croce . Sei beato se inizi a fidarti un po’ di più che le tue reti si possono riempire ancora e che con lui, tutto rifiorisce.

Confessiamolo: anche oggi ci capiamo ben poco di queste letture: faccio fatica a perdonare chi mi vuol bene, mi lego al dito un piccolo sgarbo di un amico, di mia moglie, di mio papà. Non ho ancora mandato giù quella volta che il mio collega mi ha fatto notare un mio comportamento; ho ancora la ferita aperta per quella parola offensiva di quello là e Gesù viene a dirmi di perdonare offese, tradimenti, cose impegnative addirittura di un nemico. Siamo al paradosso: e la mia dignità dove va a finire? Dovrei perdonare chi fa del male non solo a me ma anche a mio figlio, mia figlia, mia mamma, mio fratello? Dovrei porgere l’altra guancia? Ma dove siamo….

“Amare i nemici”: ecco siamo al cuore, al centro della nostra fede, siamo al cuore del cuore di Dio che invece lui sì che continua a perdonare senza misura e non dice la parola fine: nemmeno su di me e sui miei continui tradimenti. Ama il tuo nemico: allora inizierai a seguirmi davvero; ama il tuo nemico e allora inizierai a provare ciò che ha provato Dio Padre; ama il tuo nemico, allora vuol dire che stai iniziando a prendere sul serio il Vangelo; ama il tuo nemico e allora avrai imparato a mettere da parte te stesso, le tue idee, le tue ambizioni, la tua falsa dignità.

Non è che abbiamo annacquato un po’ troppo il Vangelo? Non è che lo abbiamo fatto diventare un manuale del buon senso? Non è che uso la Messa, la Parola di Dio, la Chiesa, l’oratorio per educare i miei figli a ciò che ho in mente io? Attenzione, perché il pericolo c’è! Si vede questo quando i figli magari diventati grandi, non frequentano più Messa, sacramenti, oratorio: allora un genitore dice: “Ho fatto il mio dovere, sono a posto”. E non partecipa più nemmeno lui! Eh no, caro: se sei convinto, figlio o non figlio tu ci stai, vieni, continui: altrimenti sei un ipocrita, vieni intanto che tuo figlio è piccolo, per convenienza, per altri interessi!

Ancora: prova chiederti: ma io come metto in pratica il mio essere cristiano, come lo faccio vedere, che tipo di testimone sono? Se non avessi fede, se non venissi a Messa, in che cosa la mia vita sarebbe diversa? Qual è la differenza? Da che cosa un mio amico, collega capisce che domenica scorsa sono andato a Messa, ho fatto Comunione con Dio e con i fratelli, da cosa capiscono che possono incontrare Dio quando parlano con me? Da cosa lo intuiscono se non dal perdono, da come sto in mezzo a loro, da come rinuncio anche a me stesso, ai miei “diritti” pur di annunciare con la vita che abbiamo un Dio che fa del perdono il senso della sua vita!

Uno potrebbe dire: “vado già a Messa, da questo si capisce che sono cristiano!”. È come se uno dicesse: “scrivo sul mio campanello ‘ingegnere’ così lo sono”: eh no, non basta! Oppure ho lo zaino, scarponi, ramponi: sono un alpinista… Non basta nemmeno questo! (anche se certamente la Messa è molto di più di una targa sul campanello!)

Gesù non cerca cristiani della domenica, quelli non servono a niente e a nessuno: cerca credenti, testimoni, amanti, cerca chi fa vedere che credere in lui e seguirlo è la cosa più bella che mi sia capitata, cerca chi fa capire e ha il coraggio di dirlo che l’incontro con questo Gesù mi ha trasformato e sto meglio, dormo meglio, lavoro meglio, riesco a perdonare, tutto è migliorato e tanto. Non torno più indietro perché con lui sto veramente bene!

E tutto questo ho ricevuto non per dei miei meriti particolari ma perché lui è buono, misericordioso e mi perdona, sempre: solo questo perdono mi fa venir la voglia di cambiare e di convertirmi, non le minacce, le condanne, le punizioni, ma solo il suo sguardo su di me!

Chiedetelo a chi è in carcere per un crimine commesso, a chi è in comunità di recupero: che cosa ha fatto scattare in loro la voglia di cambiare? Non quando con la forza sono stati fermati, arrestati, condannati ma quando qualcuno li ha amati e perdonati; allora dicono: “Mi sono sentito vinto, ho capito il mio errore, ho capito il mio fallimento e ho iniziato a chiedere perdono, a voler bene agli altri e a me. Il loro perdono, il loro amore mi ha conquistato e mi ha vinto”.

La canzone “Non mi avete fatto niente” di Ermal Meta e Fabrizio Moro si riferisce agli attentati di Londra, Parigi, Nizza, Barcellona e vuole spezzare la catena di odio, di fronte a stragi contro innocenti, senza parlare di vendetta e afferma: “Non mi avete fatto niente, non mi avete tolto niente. Questa è la mia vita che va avanti… Perché tutto va oltre le vostre inutili guerre”.

Molti cristiani anonimi, quasi invisibili, senza annunci su giornali o pagine Instagram vivono così, perdonando ogni giorno chi ha fatto del male a loro o alla loro famiglia: e seminano ogni giorno amore nel mondo! Questi testimoni silenziosi mandano avanti il mondo!

VI domenica del T.O. - 13 febbraio 2022

Rallegrati, sei amato!

Sono i primi passi del cammino degli apostoli insieme a Gesù: l’hanno visto nel deserto, hanno sentito parlare del vino eccezionale alle nozze di Cana, poi ha riempito reti di pesci e cuori di stupore. Chi sei Signore? Come possiamo seguirti?

Il brano di oggi parla di Beatitudine: innanzitutto Dio ti vuole beato, felice; ciascuno di noi cerca la felicità, cerca di essere felice lui e la sua famiglia. È il senso della vita essere felici: c’è chi è felice quando lavora, chi quando gioca, chi in famiglia, chi mentre prega. Tutti ci dicono: sei felice se non hai problemi, se sei stimato, se sei giovane, ricco o almeno benestante, sano. Ma il vangelo di oggi ci dice dell’altro, va controcorrente, apre una nuova via: è un po’ un pugno nello stomaco questo Vangelo di oggi! Diverso, alternativo, da capire, da accogliere: la novità ci spaventa, ci mette alla prova: “abbiamo sempre fatto così” è la frase che abbiamo in bocca o in testa anche se non la diciamo!

Gesù no: nel Vangelo non c’è un Dio che dice “abbiamo sempre fatto così” ma che rilancia perché ci vuole veramente felici, oggi, adesso e ancor di più nel suo regno!

Innanzitutto la folla che lo segue e lo cerca ma volge lo sguardo ai discepoli per indicare che ciò che sta dicendo è per loro in particolare: Beati voi poveri, non più poveri in spirito come in Matteo. No, beati voi poveri! Primo pugno nello stomaco! Beati voi che avete fame, che piangete, beati quando vi odieranno, vi metteranno al bando, vi insulteranno… rallegratevi, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli! E non ci capiamo più niente.

Cosa vuole dirci Gesù? Innanzitutto ci dice di non ragionare come tutti gli altri: la felicità sta nel cuore, non in quanto possiedi; le cose che hai rischiano di chiuderti il cuore e ti illudono di fare tutto da solo e di bastare a te stesso! A Sanremo qualcuno si è battezzato da solo: l’auto battesimo! Lui pensava di aver inventato chissà cosa invece è una storia vecchia come il mondo: niente meno che Adamo ed Eva credevano di fare tutto da soli. Certe cose non te le puoi dare da solo: un bacio sulla guancia, l’amore, un abbraccio: hai bisogno di un fratello, una sorella, di un amico. E puoi renderti conto che qualcuno ha bisogno del tuo abbraccio, del tuo bacio, del tuo sguardo. Siamo uniti, siamo popolo, siamo famiglia: qui sta la felicità. Allora cerca qualcosa d’altro! Cerca il regno di Dio, cerca di essere felice, beato adesso nella tua vita.

Dio abita negli ultimi, in chi ha bisogno di cibo perché capisce che ha bisogno di Dio: Dio è nel cuore di chi piange per asciugare le sue lacrime, è nel cuore di chi è messo da parte, escluso, povero di affetti, di attenzioni, di chi è all’ultimo posto nella lista, di chi non ha dignità, né raccomandazioni, né santi in paradiso. Ricorda che Dio è lì: non nei templi dorati, non nei luoghi del potere, non nei vip e nelle stanze dei bottoni ma in chi è spoglio perché la sua vita appoggia su altro, su ciò che conta di più, su ciò che non passa.

Di fronte a queste affermazioni, noi cerchiamo scappatoie e vie di fuga: ma io faccio del bene, aiuto qualcuno, se qualche bisognoso suona la porta, non lo mando via a mani vuote! Dio non ti chiede quanto dai e quanto fai: lui ti chiede dov’è il tuo cuore, su cosa si fonda la tua vita, e che cosa ti rende felice. “Rallegratevi, esultate, perché la vostra ricompensa è grande nel cielo”.

Dio non ci vuole affamati, poveri, indigenti, disprezzati: Dio ci dice che il suo cuore è vicino a chi ha bisogno di tutto e invita te e me a rallegrarci per la sua presenza, non per quello che possediamo.

Le Beatitudini sono la carta di identità di Gesù, ma possono diventare anche la nostra se ci affidiamo a lui, lo seguiamo sulla strada del regno.

O Signore sei venuto tra noi come un Dio povero affamato, assetato, non solo di amore ma anche di pane, di casa, di coperte, di affetto: oggi ci togli un po’ di poesia nel seguirti: quella del Natale, dei bei miracoli, della pecora smarrita… Oggi spalanchi il tuo regno a chi è povero, affamato, tagliato fuori, e ti confesso che ci capisco ben poco: chi è povero è più vicino a Dio perché Dio è povero e in cammino verso il regno. Anch’io voglio liberarmi da un po’ di cose che mi pesano e non mi lasciano libero, mi chiudono il cuore e mi impediscono di gettare le reti e di volare. La tua proposta è alta, nuova, controcorrente ma mi spalanca le porte verso una felicità nuova che nessuno mi sa donare.

Auguri agli innamorati: a chi è innamorato dopo 20,30,60 anni; a chi è innamorato della vita e sa sognare, a ogni cristiano innamorato di Dio e a Dio innamorato di ogni peccatore.

V domenica del T.O. - 6 febbraio 2022

Nella mia barca

Dalla sinagoga alle piazze, alla strada, alle sponde del lago di Genezareth: Gesù è in cammino, va verso gli uomini per dire che Dio è con loro, per loro, in loro! Non è più solo, oggi entrano in scena alcuni apostoli. Parla alle folle ma lui guarda ogni uomo, guarda ogni sguardo e ogni cuore: per lui non è una folla ma tanti fratelli da amare.

Incontra i pescatori non in sinagoga, non in una festa particolare, non durante una bella predica ma un lunedì (o martedì, …) mattina, li incontra mentre lavorano, anzi mentre il lavoro va male, quando qualcosa va storto, quando le retri sono vuote e gli occhi si riempiono di lacrime. Quando si spegne il sorriso, quando perdi per strada qualche fratello, quando la pandemia ci ha segregato in casa o quando vegli tuo marito, tuo padre, tua sorella in un letto di ospedale o addirittura vedendolo sullo schermo di un tablet. Lui c’è, quando magari i cosiddetti amici ti abbandonano, lui c’è; sempre. C’è e chiede anche a te di esserci ma nel modo giusto.

È l’inizio della storia di questo Messia con i suoi: anche noi ogni tanto dobbiamo ritornare agli inizi: ai ricordi dell’infanzia, ai primi amici, ai primi giochi, ai primi passi della fede: chi c’è, che emozioni avevi ai tuoi inizi? Tutto è partito da là, da alcuni istanti in cui la tua storia è diventata la storia di altri, intrecciata per diventare storia di tanti, di un gruppo, di una comunità!

Le barche a terra, le reti vuote e una domanda: “cosa darò da mangiare a i miei figli?”. Intanto il predicatore scalda la folla: “Cosa avrà da dire al mattino presto? Un altro Messia che vuole tirarci dalla sua parte! Un altro ciarlatano: Ma non ha nient’altro da fare?”

“Salì in una barca, che era di Simone e lo pregò di scostarsi un poco da terra”: è lui che viene nella barca della mia vita, è lui che chiede il permesso e “prega” Simone. Ma come? È Pietro che ha bisogno di lui, sono io che ho bisogno di Gesù e lui mi prega e mi chiede di salire nella mia barca…. Il nostro è un Dio che in punta di piedi chiede il permesso di entrare nella mia vita, in silenzio, incrociando il mio sguardo.

“Prendi il largo e gettate le reti per la pesca”: chissà cosa ha pensato Pietro, chissà quante gliene ha dette! Cosa vuole sapere questo qua? Non è un pescatore, non ha i calli sulle mani, non è stato in mare tutta la notte, non conosce tutte le correnti e tutti i tipi di pesci...” Eppure: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte… MA sulla tua Parola getterò le reti”.

Quando non c’è più niente da fare, quando reti, mani e cuore sono vuoti, quando hai perso ogni speranza, questo Maestro rilancia, ricomincia, riparte. Però ci vuole il “MA” di Pietro cioè: le ho provate tutte Signore, non c’è più via d’uscita, ma si fida, accetta una chiamata, contro ogni evidenza. Ogni tanto ci vuole il MA di Dio e della fede per ripartire come prima, anzi, meglio di prima. Da soli non ce la facciamo, non riusciamo, ci vuole qualcuno che ci porta in alto, che rilancia, che si fida di noi, che entra in punta di piedi nella mia barca e mi invita a prendere il largo.

Non siamo fatti per l’acqua stagnante di un porticciolo, non siamo fatti per 3 pesciolini surgelati ma per pescare nell’oceano immenso, non siamo fatti per una preghierina ogni tanto ma per una preghiera che ti fa rifiorire, non siamo fatti per “vivere da separati in casa”, siamo fatti per matrimoni e famiglie che sono un nuovo sole per l’umanità; non siamo fatti per amori usa e getta, siamo fatti per amare senza misura, per sempre.

Allora prendi il largo cristiano, quando qualche secca rischia di impantanarti nei tuoi traffici senza sbocco, quando credi di bastare a te stesso, quando reti, mani e cuore sono vuoti, senza scampo! Prendi il largo!

Il vero miracolo non sono le reti riempite di pesci dal Maestro: il vero miracolo è questo Dio che chiede di entrare nella mia barca, è il suo interesse per le mie reti vuote, il vero miracolo è il MA di Pietro che si fida: lì si decide tutto!

Solo grazie a quel MA, Pietro diventerà pescatore di uomini: molto più dei pesci, chi si lascia trasformare dal Maestro, può raggiungere il cuore di molti fratelli e sorelle, tirarli fuori dall’acqua del male e del peccato e tracciare una vita nuova.

O Signore, vero maestro entra nella mia barca, insegnami a prendere il largo e a gettare ancora quelle reti; senza di te rischiano di rimanere inesorabilmente vuote; solo la tua Parola mi libera dalla paura, mi fa prendere il largo per diventare pescatore di uomini.

IV domenica del T.O. - 30 gennaio 2022

Non profeti ma amanti

Splendido questo Vangelo che ci invita a metterci in cammino come fa Gesù alla fine del brano: “passando in mezzo alla folla, si mise in cammino”. Nessuno lo può fermare nel suo proposito di salvarci. Tutta la sua vita è un cammino verso il Calvario, o meglio verso la resurrezione!

Le domeniche precedenti lo abbiamo visto in fila con i peccatori per annunciare la salvezza, lo abbiamo ascoltato alle nozze di Cana per donare il vino nuovo del Vangelo e della gioia senza fine, poi ancora in sinagoga a Nazareth per annunciare un anno, un tempo di grazie per tutti e oggi continua il racconto, anzi il brano riporta l’ultimo versetto di domenica scorsa: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Ma appena fatto questo annuncio iniziano le mormorazioni, le critiche, le voci di corridoio: “Non è costui il figlio di Giuseppe? Chi si crede di essere? Cosa vuole qui da noi? Fai un bel miracolo e ti crederemo, fai vedere chi sei... qui a Nazareth nella tua patria”. E Gesù riprende due fatti accaduti: quello di una vedova e di un generale siriano, entrambi pagani che hanno creduto in Dio senza chiedere miracoli! I non giudei credono più e meglio dei giudei: un po’ come se oggi Gesù fosse adorato, amato e testimoniato più da altri che da noi cristiani. Glielo chiediamo anche noi a volte: fai un miracolo e ti crederemo! Come se con un miracolo si risolvesse tutto e sarebbe una prova che ci costringe a credere davvero che Gesù è Dio... Ci vuole ben altro!

Ci vuole il salto della fede che ti fa accogliere, accettare, ti fa dire: sì, ci credo! E questo mi basta. Non cerco segni o miracoli perché se hai fede ogni tramonto, ogni fratello, ogni amico, ogni incontro, ogni istante è un miracolo! Ma se non hai fede, anche un prodigio mai visto non ti basta: vuoi sempre di più! E metti in discussione Dio invece di mettere in discussione te stesso.

Li abbiamo ancora i profeti oggi, a volte nascosti, appartati ma ci sono; anzi possiamo diventare noi stessi nuovi profeti che accendono la Parola nel cuore di tanti fratelli, come i servi del brano delle nozze di Cana: donare quel vino nuovo insperato, prelibato, eccezionale. Invece anche a qualche profeta anche noi diciamo: chi ti credi di essere? Cosa vuoi da noi? Cura te stesso, invece di parlare tanto… Troppo impegnati a guardare le differenze e le divisioni tra noi invece di cercare sempre l’essenziale che ci unisce!

Sei “profeta” per il tuo vicino di casa, per i tuoi genitori, per qualche amico, sei profeta là dove il Signore ti chiama: non tirarti indietro! Ma soprattutto riconosci il vero profeta che è Lui.

Non c’è bisogno di profeti come Elia e Eliseo; oggi c’è bisogno di amanti, di innamorati come Lui è innamorato di noi.

Guardaci Signore dallo scetticismo degli abitanti di Nazareth, ma piuttosto fa che usciamo dalla nostra chiesa non più come siamo entrati ma rinnovati, più liberi, più leggeri, senza la brama di cercare altri segni ma desiderosi di essere noi segno, essere noi in cammino, in ricerca, essere noi capaci di cogliere in ogni gesto la tua presenza di pace e di luce. Sei tu il vero profeta che ci parla di un Dio che non butta via e non distrugge ma di un Dio che ricicla, inventa, rinnova il mondo e soprattutto il nostro cuore. Il vero miracolo di cui c’è bisogno è la guarigione del cuore.

III domenica del T.O. - 23 gennaio 2022

Parlami di Lui

Quando conosci una persona nuova, un amico, un collega, un ipotetico “ragazzo”, “ragazza”, subito nasce un po’ di curiosità e gli chiedi: “Come ti chiami? Dove abiti? Che lavoro fai? Poi che hobby hai, come giudichi quella cosa lì? Come ti vesti? Dove vai in vacanza? Poi chi è la tua famiglia, che studi hai fatto”? E via di questo passo. Non solo per curiosità ma perché ‘tu mi interessi, la tua persona mi ispira qualcosa di interessante, mi attrai, mi sei simpatico/a”. Sta nascendo qualcosa di nuovo! E poi chiedo agli altri, mi informo, cerco di capire, di studiare, di conoscere meglio per vedere se posso allacciare una amicizia, un rapporto un po’ più intenso, più vivo. Voglio toccare con mano, voglio informarmi di persona. Insomma questo nuovo incontro mi ha smosso, mi mette in movimento, mi sembra che sia l’inizio di qualcosa. Il “piccolo principe” insegna! I bambini ci insegnano quando chiedono a un amico: “Vieni a casa mia a giocare? Stai qui a dormire?”.

È proprio quello che fa Luca nel Vangelo: “Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti… Così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate… e scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teofilo”.

La domanda è se accade la stessa cosa con Gesù: forse ho capito che mi trasmette qualcosa, mi interessa, quello che dice lui non me lo dice nessuno, come è vissuto lui non è vissuto nessuno. E mi informo, cerco, chiedo a chi l’ha già incontrato, a chi lo conosce meglio, a chi lo ha già seguito.

Quanto io mi informo, quanto cerco di conoscere, quanto chiedo a qualcuno: “Parlami di lui, raccontami, dimmi quanto sei cambiato da quando l’hai incontrato, come viveva, cosa diceva, cosa ti ha lasciato, insegnato?”. Perché se non mi informo, non “cerco” io, allora vuol dire che quel Gesù lì non mi interessa poi tanto, è uno tra molti, passa inosservato, non mi sento attratto, non dice niente alla mia vita! Quanto mi piace, quanto mi entusiasma questo Cristo?

Per molti la fede in Dio, è una fra tante, è una bella tradizione da portare avanti da insegnare ai bambini, diciamo che dobbiamo conservare la nostra identità rispetto ad altre religioni, poi vado in chiesa perché faceva così anche mio nonna, mia mamma, poi il Battesimo, la Cresima, la Comunione: massì, male non fa, così poi siamo protetti da qualche male…

Punto a capo. La fede è un’altra cosa: è per gli innamorati! Impariamo dai bambini e dagli innamorati a metterci in cammino! Tocca a me prendere sul serio questa fede e cambiare qualcosa: cercare, chiedere, leggere, fermarmi. Altrimenti mi faccio una mia idea di Dio, di Chiesa, di Vangelo, di Gesù: e questo non va bene.

Lui mi invita, mi chiama, in fila con i peccatori nel Battesimo al Giordano, a Cana a inebriarmi del vino nuovo delle nozze eterne, oggi nella sinagoga a proclamare un tempo di grazia, di salvezza, la misericordia di Dio per tutti. Invita anche me ad annunciare a amici, familiari, colleghi, persone in crisi, ad annunciare che non tutto è perduto, che c’è sempre un domani, una speranza, che questo Dio non è venuto a condannarti ma a rialzarti, sempre! Nella sinagoga Gesù non legge il brano del giorno ma apre il libro e cerca il profeta Isaia, proprio quel brano preciso, ma non legge tutto, si ferma e annuncia: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.

Come oggi? Perché? E poi tu chi sei? Perché non continui il brano di Isaia annunciando la vendetta del Signore per chi non lo riconosce, cioè per i Romani, per tutti i nemici! Chi ti credi di essere? Proprio nella sinagoga, Gesù è rifiutato, non capito, proprio dagli ebrei, da chi diceva di credere in Dio.

Dio non è venuto a sbaragliare i nemici, Dio non ha nemici, ha solo figli da amare da salvare! Tocca a me oggi cercarlo, informarmi, chiedere a chi lo conosce, fare gesti di fede non per tradizione o perché mi hanno insegnato così, ma perché ho deciso io, fa bene a me, perché questo Cristo dice tanto alla mia vita di oggi, ai miei pensieri, alle mie decisioni, al mio futuro, al mio cuore. Senza di lui, la mia vita sarebbe diversa, senza una meta!

Buon cammino, buona ricerca, buon desiderio di ascoltare il suo annuncio e ripeterlo con la vita di ogni giorno.

II domenica del T.O. - 16 gennaio 2022

L’ora del vino buono

Chissà cosa avrebbe pensato Giovanni Battista, il solitario profeta del deserto che si nutriva di cavallette e miele selvatico se avesse visto alle nozze di Cana quello spreco di 600 litri di vino pregiato; gli avrebbe detto che quello non era il modo per invitare la gente a convertirsi.

Invece Gesù è quello dei banchetti, delle feste, del vino nuovo, abbondante, prelibato! Gesù ci vuole felici, sorridenti, ci vuole in festa come a un bellissimo banchetto dove incontri tanti amici, vecchi e nuovi, dove stai bene e non vorresti finisse mai quella festa e inviti altri amici. Una festa di cui tutti parlano e che ricordano. Gesù non paragona il regno di Dio a un sacrificio, a penitenze e flagelli ma a una festa speciale: scandaloso questo Dio festaiolo!

A quella festa c’era la madre di Gesù, annota Giovanni e poi anche Gesù. Ma come? Sembra che la prima invitata sia lei, non Cristo. Lei perché doveva accorgersi per prima che era finito il vino, cioè la festa non poteva continuare: spegni le luci, tutti a casa, buonanotte. Che brutto. Maria c’è, veglia, ascolta, si preoccupa per quella festa e per la festa della nostra vita: se ci manca qualcosa, lei lo intuisce subito. Quante volte la festa della nostra vita si spegne, non c’è più entusiasmo, è finito qualcosa, “è cambiato tutto” diciamo. Quante amicizie, quanti rapporti di lavoro, quanti matrimoni, quanti amori… senza vino, senza, gioia, senza speranza.

Gesù sembra trattar male sua madre: “Donna, che vuoi da me?” Se un figlio rispondesse così a sua madre, rischierebbe di dormire fuori casa! In realtà Giovanni mette in bocca a Gesù quel “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”, per far capire che lui ha un compito, una missione che supera il rapporto madre-figlio, per creare qualcosa di nuovo: lei diventerà discepola di quel figlio, discepola come tanti altri perché quel figlio in realtà è figlio di Dio chiamato a raccontare al mondo l’amore del Padre. L’ora di cui parla Giovanni è l’ora della croce in cui Gesù apparirà in tutta la sua gloria e affiderà Maria a Giovanni e viceversa.

Siamo davanti non a un miracolo prodigioso, che fa restare a bocca aperta ma a un “segno” come lo chiama Giovanni, un segno di qualcosa d’altro! Sono speciali queste nozze, questo banchetto, questo vino forte, delizioso, abbondante. Giovanni ci dice che Gesù inaugura un tempo nuovo, un regno nuovo in cui possiamo avere in dono il vino del vangelo, il vino della gioia e della festa e non solo l’acqua per compiere i riti antichi dei Giudei. C’è un mondo nuovo, un tempo nuovo che avanza e che vogliamo accogliere a braccia aperte: è la sua presenza tra noi che può trasformare ogni fine in un nuovo inizio, ogni dramma in una ripresa, ogni delusione e amarezza in un tempo di gioia.

Non ce la facciamo da soli a vivere da risorti e da innamorati: Partiamo convinti, decisi, partiamo in quarta poi un po’ di monotonia, un po’ di ruggine, qualche granello di polvere blocca tutto e tutto diventa grigio. Abbiamo bisogno di qualcosa d’altro, abbiamo bisogno di un Dio in croce, nella mangiatoia, un Dio vino nuovo che disseta il corpo e ridona vigore allo Spirito, abbiamo bisogno di spiccare il volo come aquile, non polli, abbiamo bisogno di “fare quello che ci dirà” questo Dio nuovo.

Le giare sono sei, di pietra, servivano per i riti di purificazione dei giudei: rappresentano la legge antica scritta su tavole di pietra che ha reso di pietra il cuore degli israeliti; Gesù non le elimina, non dice di romperle e gettarle via come facciamo noi, perché non servono più! Ma dice di riempirle fino all’orlo: cioè “metteteci tutto il vostro tempo, le vostre energie, il vostro impegno per far nascere questo regno, per fare le nozze di Dio con ogni uomo, ma ricordatevi che è solo lui che trasforma l’acqua della vostra abitudine, dei vostri fallimenti, delle vostre stanchezze nel vino nuovo della gioia, dell’entusiasmo, della festa senza fine”. Servono ancora le giare di pietra ma perché siano riempite di speranza, di gioia di desiderio di andare avanti: se il numero 6 indica l’incompletezza e rappresenta l’umanità (l’uomo è creato il sesto giorno), il numero 7 indica la pienezza e la totalità (Dio il settimo giorno contempla ciò che ha creato)! Solo Dio ci completa.

Anche la mia fede impietrita, Signore, assomiglia tanto a quelle giare di pietra fredde, vuote, o piene solo di acqua: ho bisogno del vino del tuo amore, della tua forza, della speranza che solo tu sai aggiungere. Per diventare un servo che annuncia con la vita che tu sei il vero sposo che da la vita per la Chiesa tua sposa.

Battesimo di Gesù - 9 gennaio 2022

Battesimo di Gesù


E chi lo capisce questo Dio nato per noi! Chi lo capisce? Appena nato lo troviamo già a 30 anni o giù di lì; ma non in un tempio, non a predicare, non a fare qualche miracolo spettacolare per far vedere al mondo chi è lui, per dimostrare che è il vero Messia! Atteggiamenti che piacciono tanto a noi: mostrare quello che valgo! Lo insegniamo anche ai ragazzi: fatti valere, fa vedere chi sei, fatti strada nella vita, e via di questo passo. Già, ma cosa vuol dire farsi strada nella vita?


Lo troviamo invece nel deserto, in fila con i peccatori, non a battezzare ma ad essere battezzato, pronto a seguire Giovanni battista e a fare ciò che dice lui. Chi lo capisce questo Dio? Accanto ai peccatori, ai ladri, ai delinquenti: preferisce le cattive compagnie, proprio il contrario di quello che raccomandiamo ai nostri ragazzi: “Stai attento alle cattive compagnie”. E ancora: “Si fa trascinare dalle cattive compagnie”!


Ed è solo l’inizio, perché queste cattive compagnie lui le cercherà ancora in tutta la vita: farisei, pubblicani, prostitute, esattori delle tasse fino a quei 2 avanzi di galera appesi sul Golgota insieme a lui. Chi lo capisce?


Eppure tocca a noi cercare il senso, il significato di questo gesto: gli interessano i peccatori, i disgraziati, i non voluti da nessuno, gli interessano i vuoti perché hanno bisogno di essere riempiti, gli sta a cuore questo mondo a volte violento e corrotto; gli sto a cuore io, gli stai a cuore tu. Gli sta a cuore chi cerca la conversione, chi vuol cambiar vita, chi segue Giovanni, gli sta a cuore chi si batte il petto, non chi lo gonfia!


Ci hanno sempre insegnato che devi “temere Dio”, rispettarlo, aver un po’ di paura, soprattutto non devi farlo arrabbiare, altrimenti rischi grosso (scherza coi fanti ma lascia stare i santi). Non abbiamo capito niente: lui ci sta dicendo che l’ultimo sentimento che devi avere verso Dio è la paura. In fila con i peccatori sta dicendo loro che Dio è lì proprio per eliminare ogni paura di Dio! “Non abbiate paura: io ho vinto il mondo”, dice il vangelo di Giovanni. Chi lo capisce?


Ma c’è di più: Gesù supera anche Giovanni perché non dice “convertiti se vuoi incontrarmi”. Dice io ti amo. Punto. E non ti chiede niente in cambio; “sono qui per amarti, anzi più sei peccatore più io ti amo”. Una volta durante un ritiro con dei ragazzi si parlava di questo amore di Dio per noi e un ragazzo di 14 anni mi chiede: “Ma Dio ama anche quelli che hanno fatto la strage di Parigi in cui erano morte persone innocenti?”. Quando si arriva a certe domande, vuol dire che hai colpito nel segno: “ancor di più” ho detto, ancor di più perché quella persona lì è lontana da Dio e allora Dio lo ama di più proprio per avvicinarlo e salvarlo! Proprio il contrario di quello che insegniamo ai nostri figli. Chi lo capisce?


“Tu sei l’amato” dice la voce del Padre: tu in fila con gli ultimi sei amato, tu che cerchi i senza volto, senza dignità, senza futuro, sei amato, mi piaci! “Sei amato” lo dice anche a me e a te. Non sei senza speranza, sei amato, da quando sei nato, dal giorno del Battesimo, sei amato, ricordalo. Perché sei figlio, perché suo Figlio ha squarciato i cieli per incontrarti!


Sei amato, punto. Dio non ti ama perché sei bravo ma ti ama per farti diventare bravo: lui è sempre prima di ogni nostra azione. Se una nostra azione o gesto o parola nasce da noi, prima o poi si esaurisce: se nasce da lui, no. Chi lo capisce?


"Vi battezzerà in Spirito santo e fuoco”, non con la sola acqua di Giovanni: ma col fuoco che riscalda che accende una speranza, il fuoco dell’ innamorato che lascia il lavoro e la casa dei suoi per stare con lei, il fuoco della mamma che rinuncia a curarsi pur di mettere al mondo suo figlio, il fuoco di un dissidente che fa lo sciopero della fame per opporsi al dittatore, il fuoco di un prete in campo di concentramento che celebrava ogni giorno la messa con una briciola di pane e 3 gocce di vino, il fuoco di una moglie che accudisce da anni giorno e notte il marito infermo ; questo è il fuoco che trasforma da dentro chi si lascia amare da Dio.


Chi lo capisce questo Dio? Infatti, sorella, fratello, non devi cercare di capirlo, devi solo amarlo.


Lascia che il fuoco e lo Spirito trasformino tutta la tua vita: anche tu sei il figlio amato.

Epifania del Signore - 6 gennaio 2022

Dov'è colui che è nato?


Dio si manifesta oggi, sempre, quante volte si è manifestato non per eliminare ma per aggiungere, non per togliere ma per dare, non per finire ma per iniziare qualcosa! Eppure noi rischiamo di fare come dice Giovanni nel primo capitolo del suo Vangelo: "Venne tra i suoi ma i suoi non l’hanno accolto". Buona Epifania allora, buona manifestazione e buon desiderio nostro di contemplare e adorare la sua venuta.


I magi giungono o meglio maghi, personaggi dal mondo pagano, indovini, studiosi, anche ingannatori; dunque non quei re romantici sui cammelli come la tradizione ce li presenta! Era difficile per la Chiesa delle origini, per i primi cristiani ammettere che i primi a riconoscere Cristo fossero questi lontani, non ebrei, gente di cattivi costumi, come i pastori del resto. Allora per togliere l’imbarazzo li abbiamo trasformati addolciti: un po’ come Babbo Natale che da Santa Claus (il Vescovo che si prodigava ad aiutare chi aveva bisogno lo abbiamo fatto diventare quel nonno simpatico che porta i regali ai bambini. A volte il mondo trasforma e tradisce il vero significato originario).


Il senso però è sempre quello: stai attento perché i lontani ti soffiano il posto, ti rubano la scena, ti battono in volata: un po’ come se in una finale dei 100 metri piani, molti si preparano, con una selezione ferrea, allenamenti durissimi, mentre a fianco della pista c’è un ragazzo che parte insieme agli atleti, tiene testa , tutti lo osservano e alla fine arriva prima lui degli atleti! Ti immagini che scandalo, che imbarazzo? “Chi è quel ragazzo, fagli la foto, è importante, è lui il vero vincitore, va premiato lui”. Mentre qualcuno dice: "ma no, c’è un trucco, tutto falso, non è vero". Ecco noi non crediamo che questo Dio cerchi gli ultimi, i più improbabili, i lontani, i senza volto, senza storia, senza dignità.


3 segni oggi ci accompagnano e ci illuminano: innanzitutto la stella. La stella conduce i magi da Gesù (credevano che a un evento astronomico, corrispondesse un evento storico, che interessasse gli uomini). Abbiamo bisogno di una luce, una stella, una guida che ci indica una strada. Qual è la tua guida, la tua stella cometa che ti indica una via: un genitore, un amico, un catechista, una suora, un prete, ma anche un episodio significativo nella tua vita.


Secondo segno: la strada. I magi o maghi vanno, lasciano, partono sono in movimento. Strada vuol dire cammino, lasciare un punto di partenza e tendere verso l’arrivo. Vuol dire che sto cercando una meta, un senso, un nuovo orizzonte. Siamo un po’ troppo sedentari non solo perché facciamo poco sport o movimento ma perché siamo fermi dentro, nei modi di fare e di vivere e di pensare: un po’ ingessati e scontati, senza slancio. Le nostre assemblee eucaristiche assomigliano più a un corteo funebre o ad una festa di anniversario di matrimonio? Sappiamo già la risposta! Forse tutta la Chiesa è un po’ così: si sente arrivata, depositaria della verità, si sente un po’ troppo al centro e aspetta che gli altri la riconoscano, e la applaudano: l’esatto contrario dell’atteggiamento di chi è in cammino!


Terzo segno: Erode il re malvagio che vuol uccidere Gesù. Anche lui serve perché da informazioni ai magi: per chi è saggio tutto serve e ha un senso e può aiutare a cercare e trovare il volto di Gesù. Anche il peggior nemico ti può servire, ti può dare un vantaggio, ti può dare un indizio, un segno: devi solo cercarlo, aver fiducia, non chiuderti, credici. Dopo il terremoto dell’Aquila, un cronista ha intervistato delle persone in un centro di accoglienza tra tende e saloni prefabbricati: tanta desolazione e tristezza! Ma una donna anziana ha detto: "Ho perso la casa e tutto quello che c’era dentro ma ho trovato mille amici! Prima ero sola tutto il giorno, non vedevo nessuno e spesso piangevo: adesso ho tanta gente vicina che mi aiuta, mi soccorre, mi sorride. Ho trovato tanti fratelli , tanti amici, non mi sento più sola!". Per la serie, in mezzo alla tempesta, puoi trovare un segno di ri-nascita.


"Dov’è colui che è nato? Il re dei Giudei?". Qualcuno ci chiede questo, ci chiede dove nasce ancora il Cristo? "Fammi vedere dove nasce oggi il figlio di Dio, mostramelo, dove sono i segni che è nato davvero? Dove lo posso trovare?" ci chiedono tanti fratelli. Tocca a noi essere stella, essere strada, tocca a noi in mezzo alle tempeste della vita, indicare a qualcuno la via per accorgerci che lui è vivo, presente, non nel presepe di resina e tra i re magi sui cammelli ma nelle nostre case, nei nostro paese, nelle nostre strade, là dove c’è una stella da accendere nel cuore di una sorella, di un fratello.


Buona festa dell’Epifania: Dio si manifesta oggi e sempre affinché noi possiamo diventare la sua stella che brilla nelle tenebre.